The Room – Tenacia o follia?
Quando il brutto diventa cult
«Questo è il mio film. Questa è la mia vita. Spero che possiate imparare qualcosa e scoprire voi stessi. Be cool». Era il 27 giugno del 2003 a Los Angeles e con queste parole Tommy Wiseau presentava al pubblico la première del suo film, The Room. Fine di un lavoro estenuante e strampalato per chi ne aveva preso parte, inizio della consacrazione nell’Olimpo dei peggiori registi della storia per Wiseau. Disastro d’opera destinata a lasciare il segno, così brutta da suscitare una curiosità irresistibile nel pubblico, divenendo fenomeno di culto nell’immaginario americano, tanto da aggiudicarsi l’appellativo di “Quarto Potere dei film brutti”. In effetti basta guardare la prima mezz’ora per accorgersi che nulla di questa follia sembra funzionare: tutto ruota attorno al melodrammatico triangolo amoroso tra il banchiere Johnny (interpretato da Tommy Wiseau), la sua fidanzata Lisa (Juliette Danielle) e il suo migliore amico Mark (Greg Sestero). Una trama che, seppur scontata, potrebbe avere un certo appeal. Il problema è che le motivazioni dei personaggi cambiano da una scena all’altra, importanti questioni vengono sollevate per poi cadere nel vuoto, come il tumore al seno della madre di Juliette, e i dialoghi si ripetono all’infinito durante la visione (le frasi di Johnny iniziano quasi sempre con «Oh, hi»). Tutto ciò risulta ridicolo perché c’è la pretesa del prendersi sul serio, corredando momenti pateticamente drammatici con discorsi no-sense, come la sequenza in cui Juliette, in lacrime, confessa alla madre che Jhonny diventa violento quando beve e quest’ultima sconcertata le risponde: «Johnny è astemio!».
A peggiorare ulteriormente la situazione sono la regia iper-amatoriale, degli attori totalmente inesperti, l’esasperato uso del green screen e una curiosa ossessione per il football americano. Per non parlare dell’atmosfera pacchiana che regna sovrana in un universo in cui il romanticismo è fatto di rose rosse, candele e frasi agghiaccianti quali: «Lo sapevi che il cioccolato è il simbolo dell’amore?». Ma la cosa più raccapricciante – e in un certo senso, anche affascinante – del film di Tommy Wiseau è Wiseau stesso. La sua fisicità, i suoi lunghi capelli di un nero impossibile che incorniciano quel volto asimmetrico, la parlata dall’accento misterioso, ma, soprattutto, la spontaneità combinata con una totale inconsapevolezza di essere un cane come attore. Il giornalista Tom Bissel ha dato la descrizione più pertinente della pellicola, descrivendola come “Un film realizzato da un alieno che non ha mai visto un film, ma a cui è stato spiegato meticolosamente che cos’è un film”. Dieci anni dopo l’uscita di The Room, Greg Sestero, attore e partner in crime di Wiseau, racconterà i retroscena dell’esperienza che macchiò per sempre la sua carriera, nel libro Disaster Artist: My Life Inside The Room. Il ragazzo aveva un sogno, quello di sfondare nel mondo dello spettacolo; la prima volta che incontrò Wiseau fu proprio frequentando un corso di recitazione. Era impossibile non notarlo, in primis per il portamento da Frankenstein abbinato a un look improponibile con fantasie zebrate, occhiali neri a tutte le ore e ben due cinture. In secondo luogo per il suo modo di affrontare il palcoscenico: il fatto che riuscisse a rendere completamente inespressiva ogni frase recitata era così incredibile da sembrare una dote, soprattutto nelle scene drammatiche in cui urlava frasi cantilenate scagliando bicchieri contro il muro. I due iniziarono a frequentarsi, ma Wiseau mantenne sempre un alone di mistero attorno alla sua persona, senza rivelare all’amico la vera provenienza, l’età e come potesse avere un conto in banca senza fondo. Poteva permettersi di girare su una costosa auto e di avere un secondo appartamento a Los Angeles presso il quale ospitò Sestero, con l’intento di provare entrambi a coronare il sogno di un successo hollywoodiano. Non andò così, le porte in faccia sembravano l’epilogo di ogni provino, soprattutto per Tommy, finché un giorno decise di scrivere e dirigere un film che avrebbe cambiato la sua vita.
Per coronare questo desiderio spese qualcosa come 6 milioni di dollari, soldi sprecati in capricci inutili come la scelta di comprare tutta l’attrezzatura necessaria invece di affittarla, girando il film sia in 35mm che in digitale, pagando due diverse troupe specializzate. Sestero nel suo libro racconta come le stravaganze sul set fossero all’ordine del giorno: invece di girare in un vicolo o su un vero tetto, Wiseau si ostinava a ricostruire tutto in studio perché “a Hollywood si fa così”; per filmare le sequenze in cui era il regista stesso a recitare, sprecarono giornate intere, a causa della sua incapacità di ricordarsi le battute. La crew impallidì quando vide la toilette personale del regista, costruita dietro al set spendendo ben 6000 dollari, ma nessuno poteva lamentarsi perché le strambe decisioni provenivano dalla persona che, non solo dirigeva il film, ma rivestiva il ruolo di produttore, fondatore, presidente, pubblicitario e segretario della Wiseau Films. A dispetto delle rosee aspettative dei partecipanti al progetto, The Room fu concluso e proiettato in due sale di Los Angeles, pagate da Wiseau, che per pubblicizzare il suo film comprò un tabellone pubblicitario per 5 anni, spendendo 5000 dollari al mese. Follia o tenacia? Probabilmente entrambe. Nel 2017 James Franco con The Disaster Artist, mette in scena il fallimento cinematografico destinato a diventare storia, mostrando addirittura lo stesso Wiseau in un cammeo: outsider che alla fine ha conquistato Hollywood.