La notte del giudizio
2013
La notte del giudizio è un film del 2013, diretto da James DeMonaco.
Tra qualche anno gli Stati Uniti saranno sfiancati da una rovinosa serie di crisi economiche che porteranno il Paese sull’orlo del disastro sociale. Per mettere fine al declino e portare l’America a una rinascita, l’associazione dei Nuovi Padri Fondatori prende le redini del governo e modifica la Costituzione. Consapevoli che il male è una parte non controllabile dell’animo umano, stabiliscono che una volta l’anno per dodici ore, dalle 7 di sera alle 7 del mattino del 7 luglio, ogni cittadino può dare sfogo ai propri istinti più violenti e compiere ogni sorta di reato senza temere alcuna punizione da parte della legge: è possibile quindi utilizzare armi e uccidere persone che si ritengano una zavorra per la società (per lo più poveri senzatetto) in nome dell’Epurazione, un bagno di sangue catartico che dovrebbe portare alla rinascita non solo economica ma anche morale della Nazione. Un sistema che a quanto pare funziona e che ha portato nel 2022 a percentuali bassissime di crimini. Restii a partecipare alla notte di massacro e protetti da un sistema di sicurezza casalingo che blinda porte e finestre con delle saracinesche, James Sandin (Ethan Hawke) e la moglie Mary (Lena Headey) si barricano dentro casa per far passare la notte e tenere al sicuro i due figli, la ribelle Zoey e il nerd Charlie (Adelaide Kane e Max Burkholder). Il blocco dell’ingresso ha però lasciato dentro il ragazzo di Zoey, che apparentemente vuole chiedere al padre perché è così contrario alla loro unione, mentre in realtà vuole approfittare dell’Epurazione per farlo fuori. Inoltre un homeless di colore, ferito e inseguito da una banda di “epuratori” mascherati, chiede aiuto e il figlio nerd di James lo fa entrare. La situazione precipita all’istante e inizia l’assedio da parte della banda di giovani borghesi mascherati che sono disposti a tutto pur di finire il loro lavoro, mentre James è indeciso se dar loro l’ospite indesiderato, che però fa il classico gioco del gatto col topo per non essere preso, e mettere al sicuro la propria famiglia o tenerlo al sicuro evitando di essere complice di un omicidio che non vuole avere sulla coscienza.
Home Invasion
Nonostante il rating restrittivo della censura che ne limita il potenziale pubblico, La notte del giudizio, a fronte di un budget di appena tre milioni di dollari, ne ha incassati al box office statunitense più di 36 soltanto nel weekend di apertura e già questo è stato sufficiente a mettere in moto il meccanismo per realizzare un seguito e lanciare un possibile franchise redditizio, l’ennesimo, in mano alla Platinum Dunes di Michael Bay. Un successo figlio di tanti fattori, tra cui la presenza nel cast di Ethan Hawke, che ha già garantito incassi simili al genere con Sinister, e di Lena Headey, attualmente sulla cresta dell’onda grazie alla serie televisiva Game of Thrones, e l’onesta regia di James DeMonaco, autore anche dello script, che per la terza volta incrocia la strada di Hawke, avendolo diretto anche nel suo esordio alla regia in Staten Island e avendo scritto e prodotto il recente remake di Distretto 13. Nondimeno gran parte del successo va attribuito alla furba determinazione del produttore Jason Blum, che in pochi anni è riuscito a mettere su una serie di film fortunati al botteghino e con un certo seguito di culto. Il concetto vincente su cui Blum punta è una formula semplice e atavica nella sua concettualità ma pur sempre attuale: l’irruzione da parte di un’entità malvagia, che sia soprannaturale o reale, nella propria casa. Grazie al sempreverde sottogenere della home invasion, Blum è riuscito a ottenere incassi di tutto rispetto, con la serie di Paranormal Activity, Insidious, Dark Sky e Sinister, partendo da budget risicati e puntando tutto sulle atmosfere e sulla più facile delle paure: la violazione da parte di forze irrazionali del proprio spazio familiare.
Tra paura e sociologia
La peculiarità di La notte del giudizio è il suo insolito viaggio a cavallo di una storia prettamente di tensione inserita in un contesto di fantascienza distopica e pieno di risvolti morali interessanti. Da una parte c’è un ambiente casalingo, unità di luogo di quasi tutto il film e teatro della classica quotidianità alto-borghese che si trasforma improvvisamente in un ambiente cupo e sconosciuto, abitato da pericoli in ogni angolo, nascosti da un buio onnipresente. Questa parte della storia si concentra maggiormente sulle classiche dinamiche interne a un assedio, che ogni appassionato del genere già conosce anche senza andare troppo lontano: i déjà vu più evidenti rimandano a The Strangers – la famiglia minacciata in casa propria da individui mascherati – o, per aumentare il gioco di riferimenti, a Distretto 13, il cui remake è stato scritto e prodotto dallo stesso DeMonaco, anche se alla fine dei conti questa parte della storia si trasforma presto in un lungo e trito tour de force visivo con i componenti della famiglia sparsi per la casa in costante pericolo perché qualcuno spunta, dal buio e improvvisamente, sempre alle spalle.
L’aspetto più importante de La notte del giudizio è probabilmente il coté socio-politico in cui è immersa la vicenda: si calca la mano su un mondo distopico in un futuro abbastanza prossimo, in cui ogni regola morale viene meno una volta l’anno dando la possibilità di commettere ogni tipo di reato per poter seguire un percorso parareligioso di completa purificazione e rinascita della razza e della nazione – sul web è possibile trovare un sito promozionale del film dedicato all’associazione dei nuovi padri fondatori, dove vengono approfondite la storia delle nuove regole costituzionali e l’importanza religiosa dell’Epurazione. La necessità di affrancare la parte più bestiale dell’uomo da ogni restrizione sociale e la conseguente rottura dai vincoli della legge sembra comportare, all’interno del film, soltanto una spiccata tendenza dell’animo umano all’aggressione verso il prossimo e all’omicidio, secondo una superficiale estremizzazione dell’assunto homo homini lupus: una tendenza che viene inizialmente trasfigurata e disumanizzata dalle maschere che gli aggressori portano, quasi a voler tranquillizzare il pubblico rendendo meno familiari e più distaccate figure così violente, per poi assumere in maniera scioccante, nel finale, fattezze molto più familiari. Proprio nell’epilogo si gioca maggiormente sul tema etico dell’impunità concessa dall’autorità e dallo scontro con la morale autonoma kantiana, ma lo spunto, più che per riflettere su questioni filosofiche che poco interessano al pubblico del genere, viene utilizzato per fare una satira superficiale sull’uso anti-illuministico della forza, tramite le armi, vera piaga di una società, come quella americana, dove la violenza è lo strumento per piegare il volere dei più deboli ed emarginati alla volontà della classe dirigente. Un argomento impegnativo che avrebbe necessitato mezzi e aspirazioni diverse da quelle di un onesto thriller con tanti sani spaventi e una storia carica di tensione.