Intervista ad Alessandro Parrello
Alessandro Parrello è quello che si chiama un self made man. Uno che ha perseguito con tenacia un’idea fino a compierla. Racconta che è riuscito a diventare la persona che voleva essere a 18 anni. Facendo un lavoro che gli permette di vivere. Non è da tutti. Attore, produttore, regista, lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del film che ha prodotto e interpretato per la regia di Igor Maltagliati La banalità del crimine e ne è venuta fuori una conversazione piuttosto interessante, da cui si evince che non bisogna mollare mai. Mai…
Ho appena visto il tuo film, La banalità del crimine, che è in distribuzione in questi giorni in tutta Italia. Una domanda preliminare, intanto: non lo avete girato in italiano, mi pare di avere capito?
No, infatti… La banalità del crimine è stato girato in inglese. Noi, dopo l’uscita italiana e dopo la distribuzione su un network televisivo, abbiamo già il distributore estero, quindi…
Sei soddisfatto?
Molto, considerando tutte le difficoltà produttive che ci sono state.
Tu sei produttore associato, però…
Sì, produttore associato e anche distributore, perché poi, alla fine, l’ho distribuito con la mia società. Il film è stato prodotto dalla Rossellini Film di Renzo Rossellini. Praticamente, gli ho dato un destino, altrimenti non avrebbe avuto un seguito. Sarebbe stato un peccato perché è tecnicamente un prodotto di qualità, quasi americano, tant’è vero che abbiamo anche vinto due premi speciali al Formia Film Festival, io per la produzione e il regista, Igor Maltagliati, per la regia.
Infatti, ho visto che è stato girato alcuni anni fa…
Sì, il film è stato girato nel 2014, ma è stato completato nel 2017 quando ho finalizzato tutta la post-produzione, ho seguito tutto l’iter del film da quel momento in poi… abbiamo fatto anche delle integrazioni di colonna sonora con Pivio e Aldo De Scalzi, è stato ridoppiato, risonorizzato, è stata fatta la colonna internazionale, cioè tutta la lavorazione necessaria per avere il film che è oggi, anche tagliando una serie di cose. Lo abbiamo reso più corto ma anche molto più fruibile. Quindi, per tornare alla tua domanda, sono soddisfatto del risultato e anche molto orgoglioso, in un periodo così difficile, di averlo fatto uscire in Italia anche in grandi circuiti. Dalla Sicilia fino a Torino, il film esce.
Parliamo del regista, Igor Maltagliati, con il quale hai un rapporto abbastanza stretto, vedo dalla tua filmografia…
Ci siamo conosciuti facendo Le ombre degli angeli, nel 2009, un film indipendente in cui interpretavo un fidanzato misterioso. Il film non credo sia nemmeno uscito, ma grazie ad esso abbiamo poi realizzato insieme a Igor Il bastardo innocente, una serie web che ci ha aperto tante strade, perché Fox Factory ha acquisito i diritti web dandoci un contributo per la produzione. Dopodiché, dalla serie abbiamo ricavato anche un film, con un montaggio diverso, musiche diverse e un’ultima scena che abbiamo girato a New York. E Amazon Prime lo ha comprato. L’unica serie web italiana che è finita su Amazon Prime Usa. Per dire: un prodotto che è costato pochissimo, nemmeno 30 mila euro, ci aperto un sacco di porte, permettendo di farci conoscere.
La banalità del crimine è arrivato successivamente…
Sì. Si tratta di un esperimento particolare: è girato a Roma, in inglese, con attori italiani, tranne una, perché la ragazza bionda è inglese per davvero, è l’unica originale (ride). La sceneggiatura è stata scritta da Igor Maltagliati, a partire da un episodio vero: nel 2013, mentre Igor si trovava in un bar di Los Angeles, sentì due persone che stavano facendo conversazione, apparentemente in modo normale, solo che, ascoltandoli, capì che si trattava di due malavitosi. Sentì questo dialogo poi venne da me e mi riferì ‘sta cosa, che ci sembrò curiosa. Così, mi disse di volerci scrivere un film. Nasce in questo modo. E infatti nella prima scena io e Marco Leonardi facciamo conversazione parlando di cose banali, quotidiane, seduti su un cadavere. Il senso finale del film è un po’ questo, si racconta come anche la vita di un criminale si possa svolgere in maniera ordinaria e comunissima. Fare il gangster come fare l’impiegato. La banalità del crimine, appunto.
La tua storia è piuttosto singolare. Tu sei partito dall’Italia e sei approdato in America, so…
Ho cominciato tardi a fare l’attore, avevo 22 anni quando ho partecipato a Elisa di Rivombrosa, che è stato il mio debutto. Avevo accompagnato la mia fidanzata a fare i provini per le comparse e l’aiuto regista mi aveva notato, provinato e contrattualizzato subito per un piccolo ruolo. L’anno dopo ho interpretato come protagonista una serie, Sweet India, una sit-com. Poi ho fatto un programma tv con Daniela Poggi. Era il 2005.
E come sei arrivato negli Usa?
Era una cosa che sognavo da un bel po’. Mi ero lasciato con la ragazza e non stavo lavorando. Era il 2006. Un giorno apro un’agenda, la sfoglio e metto un dito a caso: il 7 marzo 2007. Decido che quella è la data in cui partirò per l’America. Mia madre mi compra il biglietto per gli Stati Uniti. Nell’ottobre dell’anno prima, a una giornalista che mi aveva intervistato per Sweet India, avevo detto che sarei andato a Los Angeles a studiare un po’ di recitazione. Ma quando uscì l’articolo, il titolo diceva: “Alessandro Parrello va a New York a studiare recitazione”…
L’hai preso come un presagio…
Sì, tant’è che ho cambiato il biglietto aereo che era per Los Angeles e sono andato a New York. Avevo in tasca 1000 euro, ed ero da solo, senza alcun appoggio: una follia totale. Ho finito quasi subito tutti i soldi. Insieme a un mio amico che mi aveva raggiunto dopo tre, quattro giorni, abbiamo fatto un viaggetto, zaini in spalla, a Los Angeles e Las Vegas. Per farla breve, non avevo più soldi. Un giorno siamo andati a pranzo in un ristorante sulla West 46th a Manhattan, i cui proprietari erano due signori romani, Carla e Vittorio, e, parlando, mi chiedono che faccio. Io gli rispondo che devo stare lì tre mesi e mi piacerebbe lavorare un po’, anche come cameriere. «E perché non ti fermi qui a lavorare per noi?». Insomma, ho iniziato a guadagnare i primi dollari facendo il training come cameriere in quel locale. Ed è da questo che è nato poi il nome della mia società di produzione che si chiama West 46th Films. Pensa che si tratta dello stesso posto dove Emanuele Crialese ha fatto il cameriere per tanto tempo. Questo lavoro mi ha portato fortuna, perché poi sono diventato modello per Prada, tanto tempo, e sono andato a fare dei voice over, dei doppiaggi. A seguire, ho girato anche dei corti… Facevo la spola tra l’Italia e lì, ogni tre mesi. Alla fine ho preso il visto artistico. Gli Stati Uniti sono incredibili per l’esperienza che ti riescono a dare, sia come uomo sia a livello professionale, perché lì davvero non ti regalano niente se tu non ti rimbocchi le maniche e lavori. E quando cadi, non hai appoggi. A me è successo diverse volte di piangere, di sentirmi tremendamente solo. Perché non è facile integrarsi, già solo le barriere della lingua sono un ostacolo da affrontare.
Quando hai deciso di fondare la tua società di produzione?
Nel 2011, il 25 gennaio, a Roma. E l’ho fondata perché vedevo che in America i ragazzi che volevano fare cinema o che studiavano alla Film Academy – io avevo partecipato a un piccolo film indipendente co-prodotto dalla New York Film Academy, Thank you New York – avevano la tendenza ad aprirsi un team di lavoro, un piccola società, una Company, come le chiamano loro. Così ne ho fondata una anch’io cercando di auto produrre le mie cose, facendo un salto nel vuoto perché, in qualche modo, è anche un atto di incoscienza o di fiducia. I primi due, tre anni, sono stati molto difficili, perché a chi non ti conosce ancora devi dimostrare che sei capace di fare prodotti di qualità. Poi, dopo quattro anni, grazie a un western che avevo prodotto, Shuna, l’aria è cambiata. Era il primo progetto realizzato dalla mia società, grazie anche al grande contributo di uno sponsor, ma la differenza ho dovuto poi aggiungerla io, perché il budget non bastava per fare un prodotto di alto livello. Grazie a quello ci siamo fatti conoscere e apprezzare poi da Rai cinema, con cui tuttora collaboriamo.
Che cos’è La porta sul buio, che trovo nella tua filmografia?
Un film che abbiamo girato lo scorso anno a Pescara e che proprio in questo momento sta cominciando a fare il giro dei festival. Un film indipendente diretto da Marco Cassini, realizzato con una troupe tutta abruzzese. Un’operazione che abbiamo realizzato anche per cercare di riportare il cinema in una zona martoriata. Lì ho curato tutta la produzione, ma non recito nemmeno in un fotogramma. È una specie di noir su una coppia di fidanzati che abitano in un appartamento dove c’è una porta che non deve essere mai aperta ma che sembra essere viva. Il film ha una mono-location, tre interpreti, ed è tutto giocato sulla sceneggiatura.
Citiamo anche gli altri attori che ci sono nella Banalità del crimine…
Intanto Marco Leonardi, con il quale ho condiviso gran parte delle scene perché noi siamo i due killer della banda. Un attore con un cuore gigante, molto generoso in scena, e anche molto bravo. La scena iniziale sul cadavere è stata scritta la mattina e girata subito dopo. Abbiamo avuto mezzora per memorizzarla e farla. Poi c’è Alessandro Prete, che molti ricordano per Romanzo criminale, il “Cinese”. Bravo anche lui nel tratteggiare questo personaggio di capo, alfa, quindi anche un po’ aggressivo. Poi Mauro Meconi, che fatto Tre metri sopra il cielo, Romanzo criminale, ed Ettore Belmondo con il quale abbiamo lavorato ancora di recente assieme in Casanova, una progetto molto particolare. Tra le donne, c’è Claudia Vismara, bravissima attrice, dotata di un fascino e di una sensualità incredibili, che trasmette sia in scena sia sullo schermo. Harriet MacMasters-Green è la ragazza bionda, inglese, che ci è stata segnalata dal dialogue coach. E vorrei anche ricordare la partecipazione di Lidia Vitale, che interpreta la moglie di uno dei due capi.
Visto che lo hai citato, vogliamo dire un paio di cose sul progetto Casanova. Di cosa si tratta, esattamente?
Oltre a fare cinema, con la mia società ci occupiamo di realtà virtuale e di 3D, applicando questa tecnologia ai beni culturali. Questo ha comportato che oggi noi realizziamo contenuti storici e cinematografici per i più importanti musei italiani assieme ad ETT SpA. Abbiamo cominciato con l’Ara Pacis, l’Ara come’era, Romeo e Giulietta e, ultimamente, abbiamo fatto questo Museo su Giacomo Casanova, che si trova a Venezia. Per questa circostanza, abbiamo realizzato tutti i contenuti video e ho curato la regia sia delle riprese cinematografiche convenzionali, sia di quelle in realtà virtuale stereoscopica, con i bellissimi costumi del Settecento, realizzati dal famoso Atelier Nicolao. In questo importante progetto, oltre la regia e la produzione video, ho avuto anche il privilegio di interpretare Giacomo Casanova. Abbiamo fatto un lavoro incredibile, sul quale sono uscite pubblicazioni in tutto il mondo, anche sul New York Times. Nel giro di pochissimo dovremmo avviare anche un nuovo progetto cinematografico che racconterà un certo periodo della vita di Casanova, legata a un suo amore molto particolare…