Predator – 30° Anniversario
Prima che gli universi narrativi trans mediali diventassero la norma, si parlava di licenze. Molto semplicemente, piuttosto che utilizzare le sinergie fra diversi mezzi narrativi per un world building più profondo, complesso e articolato, si riscriveva l’opera per la trasposizione di turno, per esempio le novelization di alcuni film oppure le versioni a fumetti degli stessi, alcune molto valide come Atmosfera Zero a opera di Jim Steranko. Un editore che ha lavorato parecchio in tal senso è, nel mondo dei fumetti, Dark Horse, che negli anni ’80 ha messo la firma su diverse icone dell’horror e della fantascienza dando vita a diverse storie autonome e indipendenti dalle pellicole hollywoodiane.
Se Aliens è stato il maggior successo dell’editore in tal senso, non mancano altre linee interessanti quali Robocop, Terminator e Predator che, a celebrazione del trentesimo anniversario della pellicola che ha reso famoso il cacciatore alieno, nemesi di un Arnold Schwarzenegger in una delle sue interpretazioni più classiche, torna nelle fumetterie con volume in cui Saldapress raccoglie alcune delle più trasposizioni a fumetti. L’aspetto interessante di Predator – 30° Anniversario è la capacità, da parte dello sceneggiatore Mark Verheiden, che firma i testi di tutte e tre le storie presenti nel libro, di cogliere la funzione peculiare del personaggio di Predator nei film che lo vedono, più che protagonista, una sorta di motore narrativo esterno attorno a cui si sviluppano la trama le relazioni fra i personaggi.
Un deus ex machina al contrario che interviene attivamente a sparigliare le carte, tendenzialmente in maniera cruenta, ma che sta per certi versi all’esterno di una narrazione che si sviluppa intorno a esso e verso di esso. Le storie sono solide, senza picchi di eccellenza ma funzionano, avrebbero funzionato, mutatis mutandis, anche come ulteriori pellicole della saga. Il punto debole del volume è il disegno. Graficamente, Predator – 30° Anniversario è datato e si vede. I disegnatori illustrano, e nemmeno in maniera eccelsa, ma a livello di storytelling sono piuttosto piatti, non aggiungono un reale valore alle storie che, al contrario, si ritrovano tendenzialmente penalizzate da un aspetto poco attraente.