Halloween: la storia della saga – Seconda parte
Quarant'anni di Michael Myers
Nella prima parte del nostro speciale dedicato alla storia della saga di Halloween ci eravamo lasciati parlando di Halloween III – Il signore della notte, che sarà ricordato come il peggior capitolo della saga fino a quel momento. Con Halloween 4 – Il ritorno di Michael Myers (1988) le cose si fanno, se possibile, ancora più fosche. Concepito dal produttore Paul Freeman e dall’ormai aficionados Akkas – l’unico che probabilmente ha continuato imperterrito a vedere la luce in fondo al tunnel anche nei momenti più oscuri – come necessario ritorno paraculo all’epopea narrativa originale, la pellicola diretta da Dwight H. Little cerca di rimpolpare la ciccia primigenia partendo dalla notizia shock della morte della beniamina Laurie a seguito di un incidente stradale e di un Michael Myers (George P. Wilbur) appena uscito dal coma e pronto a tornarsene nuovamente in quel di Haddonfield per ritracciare nientemeno che la nipotina Jamie (Danielle Harris), figlia della defunta sorellastra. Venendo da Free Willy 2, uno come Little non pareva certo la scelta più azzeccata per un’operazione del genere, tanto da costringere la produzione a chiamare l’esperto di effetti speciali John C. Buechler per “rinforzare” l’inadeguata truculenza generale con sequenze aggiuntive, tutto mentre in sottofondo i battibecchi di protagonismo tra l’incrollabile Donald Pleasence e la stizzosa madre della Harris gettavano ancora più benzina sul fuoco di un ennesimo annunciato flop. In preda alla disperazione più totale, ma in parte sostenuti dallo zoccolo duro di un folto gruppuscolo di fedelissimi disposti a sorbirsi di tutto pur di continuare a godere dei loro beniamini su grande schermo, Freeman e compagni decidono di tentare il tutto e per tutto. Se Halloween 5 – La vendetta di Michael Myers (diretto nel 1989 da Dominique Othenin-Girard) e Halloween 6 – La maledizione di Michael Myers (di Joe Chapelle, ultima apparizione del veterano Pleasence prima della sofferta dipartita) rappresentano degli stiracchiati fan service specificatamente concepiti per allungare il brodo stringendo il cerchio attorno al remunerativo pazzoide mascherato (interpretato rispettivamente da Donald L. Shanks e nuovamente da Wilbur), con Halloween – 20 anni dopo (Steve Miner, 1998) e Halloween – La resurrezione (Rick Rosenthal, 2002) si assiste invece a un vero e proprio repulisti narrativo che richiama in pista le penne del duo Carpenter-Hill, impiegando la paraculissima tattica combinata del reboot/sequel per azzerare completamente il trascorso degli ultimi quattro impuri capitoli e riallacciarsi alle vicende delle due pellicole primigenie, scegliendo addirittura di resuscitare un’attempata Jamie Lee Curtis e ricollocarla al centro della macabra vicenda.
Ma nemmeno questi due ritorni di fiamma “ufficiali” sembrano da soli poter risollevare a dovere le sorti di uno storico franchising decisamente zoppicante sotto il peso delle decadi. E così, ben prima del contestatissimo remake/reboot/re-fate-un-po’-voi del Suspiria argentiano ad opera del Guadagnino nazionale, fra il 2009 e il 2007 quel pazzoide di Rob Zombie si arrischia a rielaborare, secondo il proprio gusto e sensibilità, un oggetto cinematografico di culto come la torbida saga d’Ognissanti, scegliendo di maneggiare una patata decisamente bollente e pronta a rivoltarsi contro colui che ha incautamente scelto di coglierla. Protetti dalla (scettica) benedizione di babbo Carpenter e conditi fino al midollo della lercissima poetica del metallaro cineasta di Haverhill, Halloween – The Beginning e il suo seguito Halloween II spostano il blocco narrativo d’origine dall’America di periferia di fine anni ’70 ai giorni nostri, tentando di scavare un poco più in profondità sulle vicende relative all’infanzia e adolescenza del folle Michael (qui incarnato dalla possente mole del wrestler canadese Tyler Mane) e dando all’intera vicenda un sapore nettamente più realistico, seppur nella laida e truculenta follia filmica che tutti ben conosciamo. Con un folto cast di fedelissimi (tra cui l’immancabile musa e compagna Sheri Moon) e volti di genere arcinoti come quelli di Brad Dourif, Udo Kier, Danny Treyo e il sommo Malcom McDowell nei panni del dottor Loomis, questa diade prequel/reboot ha contribuito, nella sua director’s cut, a ribadire la necessità di togliersi cappotto e cappello dinnanzi al papà de La casa dei 1000 corpi, senza tuttavia incontrare il riscontro di pubblico e critica tanto faticosamente agognato.
L’indecisione sul da farsi sembra dunque regnare ancora sovrana se, dopo una reunion d’emergenza negli oscuri uffici della Blumhouse – venuta golosamente in possesso dei diritti della saga nel 2016 – alla presenza del produttore esecutivo Carpenter, si è infine deciso di dare un ennesimo vigoroso colpo di spugna alla lordura drammaturgica accumulatasi negli ultimi anni, provando finalmente a dare un degno seguito universalmente condiviso dell’inarrivabile capostipite del ‘78. Educatamente estromesso Adam Wingard e chiamato in cabina di comando David Gordon Green, il nuovo attesissimo progetto di Halloween – un nome, una sicurezza! – si prefigge, nelle intenzioni dello script vergato a sei mani dal regista stesso assieme a Danny McBride e Jeff Fradley, di mettere in scena un nuovo catartico scontro fra la tosta Laurie e il di lei apparentemente immortale fratellastro Michael, a distanza di quarant’anni esatti dal loro ultimo tête-à-tête, richiamando a raccolta per l’occasione la sensazionale coppia attoriale d’annata composta da Jamie Lee Curtis e Nick Castle. Con in stand by due ulteriori seguiti pronti all’uso a discrezione dell’implacabile giudizio popolare, la trepidazione attorno al progetto è davvero molto alta, e dunque non resta che attendere per poter tornare a godere di uno dei più letali incubi seriali su grande schermo, senza dimenticare che, come la celebre inquietante nenia già insegnò ai nostri genitori: “la vigilia d’’Ognissanti han paura tutti quanti… è la notte delle streghe! Chi non paga presto piange!”.