Santa Claus is killing to town
I Santa Killer più spietati del cinema, per un Natale di sangue
Ma chi l’ha detto che a Natale siamo tutti più buoni? Anzi! Pare proprio che, con l’avvento del buon bambinello Gesù, parecchie cervella siano pericolosamente destinate a perdere la trebisonda, a cominciare da colui che, proprio del Natale, dovrebbe essere il pacioso e rubicondo protettore. E proprio il caro Babbino, gioioso vecchietto dalla candida barba e dal purpureo vestiario – made in Coca Cola per coloro che ancora lo ignorassero – si è spesso reso protagonista sul grande schermo di atti non proprio onorevoli, mettendo momentaneamente da parte il proprio bonario e rassicurante savoir-faire per dedicarsi alla consegna espressa delle peggiori mattanze verso grandi e piccini, senza curarsi troppo della buona o cattiva condotta. La domanda che perciò urge ora porsi è: quando di preciso Papà Natale ha iniziato seriamente a sbroccare e a schizzare di sangue abeti, presepi e addobbi assortiti? Sia ben chiaro: a noi non frega una cippa delle zuccherose bambinate in stile Nightmare Before Christmas o Il Grinch e compagnia. A noi interessano soltanto le frattaglie, quelle serie, calde e, possibilmente, ancora fumanti, meglio ancora se condite da una dose generosa di emoglobina e di oggetti contundenti assortiti.
Iniziamo questo nostro breve viaggio partendo dalla consapevolezza che, a voler essere pignoli fin dal principio, di assassini e mattoidi in guisa di San Nicola il cinema ne ha partoriti un numero davvero esiguo, ma quei pochi che hanno avuto modo di capitarci sotto agli occhi sono stati in grado, chi più e chi meno, di lasciare un segno indelebile nel nostro immaginario collettivo, tanto da aver originato persino un’autentica fobia clinicamente riconosciuta. Altro che IT e pagliacci vari! D’altronde, l’idea di un panzuto omaccione vestito da demente che, con un grosso sacco in spalla, se ne viene bellamente giù dalla cappa del camino salutandoci con il suo roboante “Oh Oh Oh!”, diciamo pure che non è qualcosa di particolarmente rassicurante. Per rintracciare il primo Santa Killer della storia del cinema è necessario fare un balzo indietro fino al 1972, quando la storica casa di produzione inglese Amicus – cuginetta agguerrita della ben più nota Hammer – assecondando la consuetudine del tempo, commissionò al regista Freddie Francis un horror a capitoli dall’altisonante titolo di Tales from the Crypt (uscito in Italia come I Racconti Dalla Tomba), i cui cinque episodi antologici pescano a piene mani del noto immaginario fumettistico EC Comics. Il segmento che a noi interessa è proprio quello di apertura, intitolato … And All Through the House, nel quale, riprendendo una nota vicenda contenuta nell’albo Vault of Horror, viene narrata la disavventura di una donna (la superba Joan Collins) che, dopo aver assassinato il marito nel pieno delle festività natalizie, si trova assediata da un pazzo psicopatico vestito da Babbo Natale, appena fuggito da un ospedale psichiatrico, prima che un sorprendente twist finale ribalti completamente la situazione.
Senza praticamente proferire alcuna sillaba all’infuori delle incalzanti notizie sciorinate dalla radio e martellando a più non posso con le inquietanti nenie festaiole, questi venti minuti scarsi danno origine a un proto home invasion da pelle d’oca nel quale persino le statuine del presepe rischiano seriamente di farsela addosso. Curioso notare come, nello stesso anno in cui lo psycho Babbo Killer magistralmente interpretato da Oliver MacGreevy faceva il suo trionfante esordio, la moda degli ammazzamenti cinematografici a suon di Jingle Bells iniziava a prendere corpo grazie a Silent Night, Bloody Night, crudissimo slasher ante litteram diretto da Theodore Gershuny che avrebbe gettato i semi di un futuro redditizio filone, pienamente concretizzatosi due anni dopo grazie al cultissimo Black Christmas – Un Natale rosso sangue di Bob Clark. Ma non divaghiamo troppo, poiché in entrambe queste pellicole – e nei rispettivi figli e figliastri più o meno (il)legittimi – l’elemento natalizio appare un puro e semplice pretesto di contorno all’agire di pazzoidi patentati dalla bolletta telefonica chilometrica e inguainati nella propria divisa filmica d’ordinanza, con guanti neri, impermeabile e tutto l’armamentario che il Maestro Argento ci ha comandato. Tornando in carreggiata, bisogna attendere il 1980 per poter nuovamente ammirare, grazie a Christmas Evil di Lewis Jackson, un Santa Claus assassino, e stavolta la questione inizia a farsi decisamente più succosa e complessa rispetto al muto agire del pazzoide incappellato di Francis. Dopo oltre dieci anni di estenuante gestazione produttiva, sbloccatasi grazie al successo del nascente filone degli psycho-killer mascherati battezzati da Halloween (1978) di John Carpenter, la pellicola di Jackson mette in scena la drammatica storia di Harry (Brandon Maggart), omuncolo di mezza età vessato un po’ da tutti, con una vera e propria ossessione per il Natale maturata a seguito di un trauma infantile – ovvero l’aver beccato in flagrante la cara mammina intenta a intrattenersi con un Santa Claus parecchio infoiato – che, dopo aver partecipato a una fiacchissima festa aziendale tutt’altro che ammantata dallo spirito dell’Avvento, decide, una volta per tutte, di ristabilire il giusto ordine. Calzato il rosso cappellino a pon pon e imbracciato il suo bravo sacco, Harry inizia la sua personale consegna di doni, premiando i bambini buoni e trucidando senza pietà gli adulti cattivi responsabili di aver rovinato il caldo spirito della festa. Più che un horror vero e proprio Christmas Evil pende decisamente più sul versante del fuori di testa della porta accanto, presentandoci un tipico uomo comune che, come il Bill Foster di Un giorno di ordinaria follia o il Travis Bickle di Taxi Driver, raggiunto il punto di massima congestione all’interno della pentola a pressione della società, finisce per sbroccare allegramente alla facciaccia di chi, fino all’altro ieri, lo considerava peggio di uno scarafaggio. Un piccolo capolavoro che annovera fra i suoi più accaniti estimatori nientemeno che John Waters in persona.
Tuttavia, non è detto che dietro all’agire di un assassino delle feste ci debba per forza essere un movente da manuale di psicologia, così come dimostra, nella medesima annata, To All a Goodnight, prima e unica esperienza registica del poliedrico (e maledetto) David Hess, il quale non nasconde il forte debito nei confronti delle pruriginose avventure da collegio femminile di Black Christmas, mettendo in scena niente più che un misterioso pazzoide agghindato da Santa Claus intento a seminare terrore e scudisciate all’interno di un convitto di belle figliole, rimaste sole per le festività dicembrine. Il tutto parrebbe il solito codificato slasher con morti creative e un body count da capogiro, se non fosse per il look particolarmente scioccante del mattacchione assassino, il quale se ne va a zonzo con una maschera da pacioso Babbo dotata di un terrificante sorriso a trentadue dentoni stampato perennemente in volto. Una cosa decisamente da pelle d’oca, che a confronto Leatherface ci fa una gran bella pippa. Nonostante questi folgoranti antecedenti, il terrore in formato San Nicola raggiunge il suo apice massimo solo nel 1984 con Silent Night, Deadly Night (da noi Natale di sangue) di Charles E. Sellier Jr, divenuto giustamente una pietra miliare del genere grazie alla messa in scena di un (ennesimo) anonimo sfigatello (Robert Brian Wilson) con un particolare complesso nei confronti del caro Papà Natale, a seguito di un evento traumatico vissuto in tenera età che lo ha portato ad assistere alla violenta morte dei genitori per mano di un killer vestito proprio da bonario porta doni. Cresciuto fra mille complessi in un terribile collegio gestito da perfide suore, il povero ragazzotto si trova a perdere completamente il senno quando viene costretto a vestire lui stesso i panni di Santa Claus dal padrone del negozio di giocattoli per cui lavora, iniziando così una terribile carneficina fra addobbi e regali che culminerà con interessantissimi ammazzamenti a suon di accettate in pieno volto. Con ben quattro sequel nel periodo 1987-1992 e un onesto pseudo-remake dal titolo Silent Night diretto nel 2012 da Steven C. Miller – impreziosito dall’istrionica partecipazione di Malcolm McDowell –, il film di Sellier ha contribuito ad affrancare una volta per tutte l’idea che il 25 dicembre possa essere una data da aspettare più con terrore che con gioia, sradicando definitivamente l’aura di buonismo e purezza che da sempre aleggia attorno alla corpulenta figura del bonario vecchietto.
Sempre nell’orwelliano 1984, un’interessante variazione sul tema viene proposta in terra inglese da Edmund Purdom con il bizzarro Non aprite prima di Natale! un titolo parecchio evocativo che introduce uno spiazzante capovolgimento dei consueti ruoli, presentandoci stavolta non un Babbo Natale assassino ma un misterioso uomo che, sempre a causa dell’ennesimo shock prepuberale, una volta cresciuto decide di tagliare (letteralmente) la testa al toro, facendo incetta di tutti gli omaccioni barbuti e di rosso vestiti che gli capitano a tiro. Un’idea certamente molto allettante che, tuttavia, difficilmente può reggere il confronto con l’espediente di un Santa Killer collezionista di arti umani con cui abbellire, a mo’ di festoni e palline, il proprio personale abete natalizio, escogitato dal connazionale Massimiliano Cerchi per il suo pazzo Satan Claus (1996). Si tratta di un prodotto che definire di serie Z pare decisamente un eufemismo, di poco rasente al dilettantismo più bieco e certamente non degno di essere chiamato film in senso pieno. Tuttavia sono proprio la natura così grottesca della trama e la rozzezza della messa in scena ad aver trasformato col tempo questo capolavoro del trash in un vero e proprio cult di cui ancora oggi si dibatte, per lo più nei loschi anfratti del sottobosco cinefilo di genere. Saltando volutamente a piè pari il Jack Frost (1996) di Michael Cooney con relativi seguiti, in quanto basati sulla figura di un sadico pupazzo di neve che a noi qui interessa ben poco, giungiamo al 2005 con quel debordante calderone che è Santa’s Slay. E se l’idea alla base di Satan Claus poteva apparire quantomeno bizzarra, beh, qui le cose raggiungono un livello degno del miglior Kevin Smith stagionato e frollato sotto acido. La trama vale da sola una standing ovation: il caro Babbo Natale è in verità – udite udite! – nientepopodimeno che un demone, frutto della blasfema unione fra Satana in persona e un’incauta verginella, il quale, nell’anno domini 1005, venne sconfitto in battaglia da un angelo, venendo relegato a consegnare doni ai bambini per i successivi mille anni. Ma giunto allo scadere del punitivo millennio, il satanasso barbuto depone il cappello a pon-pon per darsi alla pazza gioia con nefandezze, stupri e ammazzamenti a non finire, in un tripudio di situazioni al limite dell’assurdo che rendono questa pellicola una delle più lisergiche e squinternate del filone Santa Killer.
Se il gran frullato di elementi granguignoleschi e pseudo religiosi rendono Santa’s Slay un horror in piena regola, Trasporto eccezionale – Un racconto di Natale (2010) di Jalmari Helander un prodotto decisamente più indecifrabile, a metà strada fra un fantasy per bambini e un action-gore da adulti. Nato come un cortometraggio dal titolo Rare Exports Inc. e divenuto rapidamente un vero e proprio fenomeno virale in rete anche grazie al seguito Rare Exports: The Official Saftey Instructions, il film pesca a piene mani nell’oscuro folklore finlandese, partendo dall’idea che il buon San Nicola sia esistito per davvero ma nelle vesti di un terrificante mostro caprino mangiatore di bambini, rimasto per secoli intrappolato nei ghiacci di uno sperduto monte. Quando però una società mineraria inizia a trivellare la crosta rocciosa, ecco che il demone natalizio viene risvegliato, iniziando a piantare un gran bel casotto fra bambini rapiti, renne smembrate e molti altri truculenti divertimenti. Ma se fin qui ci pare di avere a che fare con un ennesimo risvolto dark delle festività comandate su modello del ben noto Krampus – la mimesi di Santa Claus per eccellenza –, ecco che nel finale si verifica una brusca virata verso i terreni della satira politicamente scorretta, con gli gnomi sopravvissuti alla salvifica ecatombe prelevati a forza dalla società Rare Export Inc. e venduti in tutto il mondo come dei Babbi Natale in miniatura, appositamente istruiti a consegnare balocchi e leccornie. Un epilogo ai limiti del surreale che manda decisamente in corto circuito ogni possibile lettura adottata fino a quel momento. Si conclude qui questa breve scorrazzata filmica fra i Santa Killer più celebri del grande schermo, con la consapevolezza che, in altra sede e con ben altro spazio a disposizione, il cammino di analisi avrebbe potuto farsi decisamente più ampio e corposo, includendo esempi come quello di Dismembering Christmas (2015) in cui il rapporto fra killer mascherato e festività dicembrine assumono sfumature ben più diversificate. Ma cerchiamo di non fare gli ingordi e di accontentarci di quello che abbiamo raccolto, lasciandoci con gli indispensabili calorosi Auguri di ordinanza e con l’invito, quest’anno, ad alzare un poco di più la fiamma del nostro caminetto. Solo per essere sicuri che, se a qualche sbarellato barbuto vestito di rosso saltasse in mente di venirci a trovare di notte giù per la cappa, almeno trovi qualcosa a fargli sfrigolare ben bene le chiappette prima del fatidico attacco.