Corporate Animals
2019
Corporate Animals è un film del 2019, diretto da Patrick Brice.
Non è affatto un mistero che il mondo del lavoro sia oggi un gran bello schifo, fra mobbing selvaggio, paghe da fame, disparità di genere e spocchiosi capetti da prendere a seggiolate sul muso. Ma non vi è alcun dubbio che la causa principale dell’incremento esponenziale di crisi di nervi e sonori reflussi gastrici on work sia la difficilissima convivenza fra colleghi, formiche operaie parigrado costrette a sbranarsi a vicenda per poter sopravvivere il più a lungo possibile nel medesimo striminzito cubicolo di sterco. Lo stesso cubicolo – di roccia, non di letame – nel quale Lucy (Demi Moore), perfida CEO della Icredible Edible Cutlery leader nel settore delle ecologiche e rinnovabili posate commestibili, si ritrova suo malgrado imprigionata in compagnia del suo nutrito gruppo di dipendenti, intervenuti per un’insolita escursione aziendale in pieno deserto. I giorni passano, e con essi aumentano sempre di più i dissapori reciproci, conditi da una buona dose di allucinazioni da denutrizione e una sana dose di paura per l’incombere della Triste Mietitrice. Costretti a placare l’incalzante fame con le umane proteine a loro disposizione, i nostri topini ingabbiati inizieranno a sbarellare seriamente, fino alle più folli ed estreme conseguenze.
Infognato per oltre tre quarti degli ottantacinque minuti di durata nelle umide e buie profondità di una rocciosa caverna in puro stile The Descent, Corporate Animals appare fin da subito come la perfetta piastra di incubazione nel quale far crescere e proliferare l’insidioso e letale virus dell’insofferenza umana reciproca, scegliendo tuttavia fin dal principio di buttare il tutto su di un versante comico-farsesco, con battutacce goliardiche, pungentissimi riferimenti ai recenti sex work scandal (Weinstein docet) e un diffuso black humor a lungo andare sterile e parecchio molesto. Insomma, una pedante accozzaglia dadaista che da uno come Patrick Brice sinceramente non ci si aspetterebbe proprio, soprattutto dopo la gelida e perturbante poetica codificata con lo scioccante dittico di Creep. È pur vero che, eccezion fatta per gustosi tocchi di cannibalismo diffuso, un delirio lisergico surrealista in rotoscopio modello Waking Life e una spiazzante ferita canterina in vena di Britney Spears, il nostro caro regista di turno sembra qui più interessato a usare la solitamente tagliente lama della commediola per mettere in atto una critica più o meno feroce nei confronti delle mille schizofrenie di una piramide sociale sempre più in balia dei capricci del mercato e delle paturnie umorali di quelli a cui i soldoni e il potere escono copiosi dal deretano. Ma… c’è un ma. Anzi due.
Punto primo: Brice e il fido compagno di penna Sam Bain non hanno certo il talento, l’esperienza e la vena creativa, per esempio, di un John Landis, ritrovandosi dunque a maneggiare maldestramente una materia decisamente estranea senza avere né i tempi giusti né le trovate azzeccate. Punto due: Corporate Animals, seppur nella propria genuina e assatanata voglia di far riflette col dissacrante gusto dell’eccesso, non ha certo l’intelligenza, chesssò, di Servance – Tagli al personale o la solida struttura di The Belko Experiment, due ottimi esempi di come sangue e violenza, usati e dosati in modo coerente, possano essere funzionali a lanciare un portentoso sassone nel melmoso stagno del politically correct occupazionale. Ma qui, purtroppo, eccezion fatta che per le sopracitate sbordate visionarie e qualche misero ettolitro di emoglobina timidamente offerto, si rimane affannosamente ancorati a una triste fiera di turpiloquio e trovatelle parecchio infantili capaci solo di spostare l’indicatore dell’indifferenza verso il quadrante della noia. E poi, con tutto il massimo rispetto umano e professionale, la sempre bella e altrettanto cara Demi Moore, ripescata a forza dall’oblio di un tempo che fu, non pare affatto a proprio agio in questa flaccida e innocua horror comedy, tanto poco horror quanto decisamente tutt’altro che comedy. Ad addolcire un poco la tediosa e amara pillola troviamo i suggestivi e dissonanti accordi di Michael Yezerski. Per il resto nulla più.