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What We Do in the Shadows

2019
REGIA:
Jemaine Clement, Taika Waititi, Jackie van Beek, Jason Woliner
CAST:
Kayvan Novak (Nandor)
Matt Berry (Laszlo Cravensworth)
Natasia Demetriou (Nadja)

Il nostro giudizio

What We Do in the Shadows è una serie tv del 2019, ideata da Jemaine Clement e Taika Waititi.

Capita a tutti, prima o poi, di entrare in uno di quei negozietti di oggettistica dove prima di vedere la merce in esposizione si pensa di avere già tutto ciò che occorre per vivere, fino a quando tra gli scaffali, all’improvviso, l’attenzione è richiamata dal set da golf per il bagno (valida alternativa al giornale da leggere), così un egoistico-ingiustificato pensiero si fra strada tra gli altri: ma come ho fatto a sopravvivere senza il set da golf per il bagno fino ad ora? Oppure, ma come sono riuscito a tenere pulita la tovaglia senza il sottobicchiere del sottobicchiere? In che modo cancellavo le righe storte fatte con la matita senza la gomma da cancellare a forma di arachide? Ecco, se il mondo fosse strutturato come l’inferno dantesco e ci fosse un girone per le cose inutili ma inspiegabilmente indispensabili è lì che si collocherebbe What We Do in the ShadowLa serie tv What We Do in the Shadow, spin-off del film Vita da vampiro del 2014, racconta, mediante l’ormai reiterato, a tratti quasi abusato, espediente del mockumentary, la storia di tre vampiri pluricentenari impacciati e decisamente sopra le righe. Il film fu scritto e diretto da Ragnarok Taika Waititi e da Jemaine Clement, un piccolo capolavoro fin troppo sottovalutato, una brillante satira sui vampiri volta a smantellare con scaltra ironia i luoghi comuni che attorniano la figura del vampiro. Nella serie, come nel film, Waititi e Clement ripropongono lo stesso tema: i vampiri protagonisti condividono una vecchia casa decadente nella città di Staten Island.

Ci sono il sanguinario, ex-condottiero ottomano, Nandor (Kayvan Novak), il goffo Lazlo (Matt Berry) e l’affascinante-svampita Nadja (Natasia Demetriou). Non hanno battaglie da combattere, apocalissi da innescare, i loro problemi più grandi sono legati alle comuni dinamiche tra coinquilini. I confessionali dei vampiri sono ornati da quadri o scene di film classici, che accentuano la presa di distanza dai modelli precedenti. Tra le trovate meglio riuscite vi è l’irrisione che ruota attorno alla cultura nerd: per soddisfare la loro sete di sangue di vergini, i vampiri cacciano tra i gruppi di giochi di ruolo, con la certezza fondata di trovare giovani che non hanno mai avuto esperienze sessuali. Il personaggio da cui si trae maggior diletto è senza ombra di dubbio quello di Guillermo (Harvey Guillén), che ha come scopo ultimo quello di convincere il proprio padrone a trasformarlo in vampiro. Chiude la cerchia Colin che è un vampiro energetico: non succhia il sangue bensì l’energia e la voglia di vivere di chiunque lo circondi. L’ambientazione è paragonabile alla stanza di un adolescente ossessionato da Marilyn Manson. La casa in cui vivono è un’accozzaglia di oggetti antichi e ricordi di un glorioso passato al quale i protagonisti sono ancorati morbosamente, talmente sui generis e autocelebrativi da rasentare la comicità più tragica. Gli omicidi vengono perpetrati con la stessa leggerezza con cui scorrono i 20/30 minuti delle puntate, prive di censura e dove anche gli atti più deprecabili vengono trattati come i bigliettini romantici dei cioccolatini tra le mani di un misantropo.

Ciò detto, resta comunque difficile ignorare che la serie tv risulta un po’ meno brillante rispetto al film: è chiaro che chi si era fatto deliziare dal film ha dovuto riconoscere la mancata originalità della serie in cui al sapore del divertimento disimpegnato e leggero si accompagna il retro-gusto del “già visto”. La forza di Vita da Vampiro risiede proprio nel dissacrante sgretolarsi del mito, nessun gesto eroico alla Edward Callen, nessun connotato dal tenebroso e tormentato fascino di Brad Pitt, qui l’irresistibilmente accattivante mistero del vampiro è smantellato da esilaranti paradossi, meno efficaci nella serie tv: non c’è nulla in quest’ultima che possa essere paragonato al momento in cui nel film i protagonisti, non potendo riflettersi nello specchio in quanto vampiri (in linea con ciò che previsto dall’immaginario comune), prima di uscire da casa sono costretti a “specchiarsi”, abbandonandosi ad esilaranti pose, nei disegni realizzati a  mano dai propri compagni. Tutto sommato, aldilà delle pretese, What We Do in the Shadows è evasione e leggerezza e piace! E il fatto stesso che sia stata rinnovata per una seconda stagione di 10 episodi, ci farà attendere con un pizzico di allegria in più il nuovo anno. Sostanzialmente non è una serie che ci cambia la vita, di sicuro non catalogabile tra quelle che generano dipendenza e si, il mondo poteva tranquillamente farne a meno esattamente come del set da golf per ammazzare il tempo in bagno, ed è proprio per questo che può essere considerata inutilmente indispensabile.