One Night in Bangkok
2020
One Night in Bangkok è un film del 2020, diretto da Wych Kaosayananda.
Dopo aver girato due lungometraggi nel meraviglioso mondo degli zombie (Two of Us e The Driver) il regista Kaosayananda torna al noir, portandosi dietro dall’Apocalisse carnivora, l’attore Mark Dacascos. La Thailandia è conosciuta come la Terra del sorriso ma è un posto dove avvengono le stesse misere disgrazie di qualsiasi altro luogo del mondo e One Night in Bangkok è di questo che vuol parlarci. Il film scorre fluido nell’afa oliata della notte thailandese, duro e disperato, cucito intorno al volto austero di Dacascos, nel ruolo di Kai Kahale, un misterioso individuo che arriva in città, prenota una macchina con autista e si fa scarrozzare in vari posti. A ogni sosta corrisponde un morto. La povera e bella Fha (Vanida Golden) lo guida e intanto ci fa amicizia. Lei è l’inconsapevole cocchiere di una mortifera promenade nei cunicoli più bui della vendetta. Quando si rende conto della catena di omicidi in cui è coinvolta senza saperlo, tra lei e Kai, il cordiale flirt diventa una dolente discesa collettiva.
Kaosayananda descrive con ironia sottile la criptica personalità di Kai, apparentemente innocuo, docile e malinconico uomo d’affari che si lava spesso le mani nei bagni pubblici, si danna perché non trova mai la carte per asciugarsi e con la testa va ossessivamente alla pesca e al mare, al sole e al vento di sale che gli carezza il viso. Tutto questo mentre fa fuori con risolutezza da killer provetto, un avvocato, un tizio in un appartamento e un altro in un puttanaio.
One Night In Bangkok non è solo la storia di una vendetta ma anche una storia d’amore filiale che nasce durante la via crucis delle fermate assassine di Kai. Lui e Fha avvicinano le rispettive anime, con la smania che talvolta prende agli estranei che si incontrano a un crocevia della vita. I due potrebbero sposare il dolore e la colpa in un solo blues nelle umide strade della città e con esso redimersi dalle rispettive sciagure, ma talvolta la vita ci mette davanti una via di salvezza quando abbiamo già iniziato a scendere la scala del non ritorno. Kai ha una sua filosofia ben precisa intorno alle scelte e le conseguenze, gli errori e la giustizia, che l’hanno condotto verso il taglione e quella che sembra una storia sentimentale a ridosso delle tenebre è qualcosa di molto diverso. Per una volta la vendetta e il bodycount non sono l’ossatura sterile e scontata di un thriller reazionario da popcorn, ma il contrappunto al balletto degli spiriti nell’auto che percorre la notte e la città.
Kaosayananda crea un mix tra Michael Mann, Paul Schrader e Sofia Coppola, offrendo a Mark Dacascos il ruolo della vita. Chi se lo ricorda come guardia del corpo pellerossa nel Patto dei lupi di Christophe Gans, si sorprenderà nel vederlo giostrare alla grande in un contesto così tragico. La sua recitazione deve molto all’iter della disciplina marziale, di cui lui stesso è maestro riconosciuto: controllo e rapidità si alternano in un “piano-forte-piano” che Jessica Chastain in Ava, il film di Tate Taylor di cui ci siamo occupati di recente, non è proprio riuscito a gestire in modo altrettanto convincente. Film coraggioso, One Night in Bangkok, con momenti che si dilatano in un’accecante poesia esistenzialista. Nella storia fanno capolino la religione e il destino, ma è palese in Kaosayananda che le questioni umane si debbano giocare dall’inizio alla fine su questa terra. Kai potrebbe appellarsi a una giustizia divina, visto che crede nel Dio Cristiano, ma alla fine decide di giocarsi il Paradiso per mettere a posto le cose in questo mondo. Uccidendo non si pareggiano i conti, se ne chiudono alcuni e se ne aprono sempre degli altri, ma nel finale il delirio sanguinario di Kai trova un porto in cui infrangersi definitivamente, nel mare sudicio di Bangkok e nelle lacrime mariane di Fha, che bagna di pianto il corpo martoriato del suo truce redentore.