Pieces of a Woman
2020
Pieces of a Woman è un film del 2020 diretto da Kornél Mundruczó.
È lo squarcio del corpo – e dell’anima – di una donna, il film drammatico di produzione canadese-ungherese Pieces of a Woman, candidato al Leone d’oro della 77ma Mostra del cinema di Venezia. Diretto dal regista magiaro Kornél Mundruczò (vincitore nella sezione Un certain Regard di Cannes per White God), è interpretato dalla bellissima londinese Vanessa Kirby (alias principessa Margaret nelle prime due stagioni di The Crown) e dal meno affascinante Shia Laboeuf, qui imbolsito, barbuto e poco seducente, anche da nudo (sì… si vede tutto). Il film si apre con un pugno nello stomaco: le sequenze dettagliate del parto in casa di Martha (Kirby) con la sola assistenza del marito Sean (Laboeuf)) e poi di un’ostetrica (la canadese Molly Parker). Dalle prime doglie alla rottura delle acque, dalla tenerezza dei due amanti alla loro empatia, la musica per fare rilassare la futura mamma e un ballo, un bagno caldo e un bacio, le mani sempre strette l’una all’altra. Realistiche, quasi documentaristiche, le urla di dolore, i centimetri di dilatazione, la testa della bambina che comincia a intravvedersi. Il primo vagito, il primo abbraccio. Poi, il buio. La neonata non respira, l’ambulanza, la corsa in ospedale, la fine di una vita durata pochi minuti.
Da questo momento la donna va in pezzi, come annuncia il titolo. Martha elabora il lutto lentamente: dona il corpo della neonata alla ricerca scientifica e poi ne sparge le ceneri nelle acque di Boston, dove il film è ambientato, proprio da quel ponte di cui il marito dirigeva un equipe di operai che lo realizzavano e lei era felicemente incinta. Sean cerca un riavvicinamento con la moglie attraverso un approccio sessuale finito male. Abbandona il lavoro, ricomincia a bere, a sniffare, a tradirla con un’avvocatessa (l’australiana Sarah Snook), reclutata dalla madre di Martha (la celebre attrice americana Ellen Burstyn) che a tutti costi vede nell’ostetrica il capro espiatorio cui attribuire la causa di un dramma che fa a pezzi un’intera famiglia. Una causa civile sarebbe la via più facile per cancellare tutto tramite una colpevole: l’ostetrica che rischia anni di carcere, un rimborso milionario e, a quel punto, la possibilità di ricominciare, di ricostruire una nuova identità alla figlia allontanando con un lauto assegno il povero Sean, spiantato, mai accettato dalla famiglia borghese di Martha. Il lutto della donna dura sei mesi (la storia inizia il 17 settembre e si conclude il 3 aprile), procede a piccoli passi, attraversa la negazione della sofferenza, mai la vendetta. Di quella bambina che ha tenuto tra le braccia, Martha ricorda soltanto l’odore della pelle, simile al profumo delle mele.
Si dedica alla germogliazione, si prende cura dei semi come non ha potuto fare della figlia. Ha bisogno di solitudine e capisce subito che un incontro fugace in discoteca non le serve a niente. Culla il suo dolore. Mentre Sean se ne libera ferocemente, con un addio prezzolato e, forse, una nuova esistenza a Seattle. Pieces of a Woman concede al romanticismo soltanto poche scene, quelle degli ultimi giorni di gravidanza e dell’inizio del parto. Ma, repentinamente, tutto si sgretola come un puzzle di sabbia. Sfumano i parenti, gli amici, le rivendicazioni della madre ebrea, la causa in tribunale, l’unione dei due amanti. Non è colpa di nessuno. È successo. Tragicamente. E la conclusione possiamo dire che, se non proprio un happy ending, risulta sicuramente consolatoria. Il ponte che, simbolicamente segna i passaggi della storia, è finalmente terminato. È tempo per Martha di ricominciare una vita nuova. Di riconciliarsi con la madre che porta i segni dell’olocausto e della lotta che dovuto sostenere per sopravvivere. Di riscoprire la maternità. Il film è di forte impatto emotivo, quasi crudele nella sua veridicità, molto coinvolgente. Grande talento della protagonista, al punto che molti fra noi spettatori in sala si sono chiesti se avesse davvero partorito sul set! Martin Scorsese in questo film ha creduto: è tra i produttori esecutivi. Ci crediamo anche noi.