Le mani nell’archivio del diavolo
Anticipazioni inedite sul nuovo romanzo di Pupi Avati
Sul finire degli Anni ’50 il dimesso Furio Momenté torna silenziosamente nel buio archivio del romano ministero di Grazia e Giustizia. A capo chino, come se non avesse altro e più importante compito da dover assolvere, ora è pronto a ignorare tutto il resto pur di cercare qualcosa in quell’antro dalle pareti di carta nel quale tutte le sue insicurezze esistenziali e la sua goffaggine investigativa svaniscono di colpo. È il suo regno. Ma al contempo anche il confino al quale lo hanno destinato i vertici del partito, proprio coloro che gli ordinarono di far luce sul fitto mistero dei bambini perduti del nebbioso borgo lagunare di Lio Piccolo. Per poi abbandonarlo ad un destino terribile, a dir poco orrendo. Furio Momenté è tornato a Roma. Ma come è riuscito a scampare al buio eterno di quell’ossario nel quale era stato crudelmente rinchiuso? Come ha potuto dimenticare quanto scoperto penetrando il fitto mistero attorno alla morte del nobile Emilio Vestri Musy? In che modo si è liberato del fardello di quell’innocente cadaverino straziato dai morsi? Dal peso di quell’ultima compagnia, nella notte eterna di una rivelazione sacrilega, chiusa per sempre nell’ossario delle reliquie dei Santi Martiri. Il nuovo romanzo di Pupi Avati, in uscita nelle librerie a fine mese per i tipi dell’editore Solferino, si prefigge di scavare ancora e più a fondo fra le paure più ataviche e nell’innominabile. L’archivio del diavolo segna il ritorno dell’anti-eroe Furio Momenté attraverso un colpo di scena destinato tutto a travolgere e a mettere in discussione perfino ciò che egli aveva tentato di svelare sulle pratiche del sagrestano Gino e sul nero potere della vendicativa mater terribilis Clara Vestri Musy.
Lo fa mettendo in scena il percorso di un altro anti-eroe, un altro uomo col cuore altrove che deve fare i conti col tradimento delle proprie ambizioni e con il potere di quel “male per il male” insinuatosi già nelle più alte sfere delle gerarchie ecclesiastiche. Stefano Nascetti arriva a Lio Piccolo per prendere il posto del defunto don Zanini e sfuggire così alle ire di un uomo di potere. Anche lui è stato costretto al confino. Ma è proprio lì che una delle parrocchiane più devote lo convince a ritrovare i paramenti sacri per una processione, e a riaprire così la pesante lastra dell’ossario. Quel luogo pronto a restituire le sue orrende verità e ancora nuovi misteri. Una valigia piena zeppa di atti processuali messi in stretta correlazione fra loro. Suggestioni. Macabri indizi. Cadaveri. Se per le atmosfere de Il signor diavolo Avati aveva tratto ispirazione dalla comunione sacrilega del ritratto dei coniugi Arnolfini, il lugubre ritratto realizzato da Jan van Eyck nel 1434, stavolta l’indiretta ispirazione letteraria scaturisce dalle ossessioni dello scrittore russo Nikolaj Gogol’ e dal suo testimoniato timore di essere sepolto vivo. Quella tafofobia, la stessa che Edgar Allan Poe descrisse nelle sue novelle più celebri, che portò l’autore dei racconti di Pietroburgo a voler chiedere una bara speciale per la sua inumazione. Il cadavere di Gogol’ fu effettivamente ritrovato, anni dopo, in una posizione scomposta rispetto alla sua sepoltura e ancora, in maniera più inquietante, decapitato. Privato della testa, finita con molta probabilità fra le reliquie degli estimatori più facoltosi dello scrittore.
Il sostituto procuratore Marino Malchionda torna ad occuparsi di quel caso che, all’epoca dell’uccisione di Emilio Vestri Musy, gli aveva rubato il sonno e lo aveva messo al cospetto di un inscalfibile muro di omertà, fatto di complici silenzi e testimonianze insabbiate. Mentre Furio Momenté, volontariamente rinchiuso nell’archivio dentro il quale ricerca un brandello di verità nella polvere e fra le pagine degli atti, è al contempo coinvolto ed escluso dalla realtà delle indagini. Pronto a non deludere chi gli ha indicato la presenza del Maligno in quello che potrebbe essere solo un labile passaggio dattiloscritto. L’accenno di qualcosa, forse in un faldone rimasto per anni in fondo al buio, volutamente dimenticato. L’archivio del diavolo è un romanzo tanto ambizioso quanto suggestivo, composto perlopiù durante i mesi del lock-down. Non si può che desiderarne una rapida trasposizione cinematografica. Il secondo tassello di quella che speriamo essere una trilogia. Una parte centrale che rappresenta idealmente una nuova e sensibile stagione, dopo l’infanzia del primo libro, dell’incanto sinistro di quelle terre strette attorno al grande fiume padano. Lì dove le notti sono più lunghe ed il silenzio è il miglior telaio possibile per continuare a intessere storie.