La casa del sabba
Interviste al regista e ai protagonisti del nuovo horror prodotto da Luigi Pastore
A pochi passi dal mare, in località San Vito, a Taranto, è situato il villino scelto come set per il lungometraggio horror La casa del sabba. Durante gli ultimi giorni delle riprese, che ne hanno rivelato anche l’aspetto drammatico, ironico e surreale, è stato possibile intervistare gli attori protagonisti: Corinna Coroneo, nei panni dell’editrice Sara Kepfer, Marco Aceti, in quelli del famoso scrittore italoamericano di romanzi dell’orrore Robert Santana e il regista e co-sceneggiatore Marco Cerilli, che nel film interpreta anche il ruolo dell’ambiguo professore Vassago. Il film è prodotto e distribuito dalla Lupa Film di Luigi Pastore che è anche autore del soggetto, co-sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore. Gli effetti speciali sono della scuola Fantastic Forge di Sergio Stivaletti. L’uscita è prevista per il mese di dicembre.
Corinna, come e perché ti sei avvicinata al genere horror?
Corinna Coroneo: Per una serie di motivi, soprattutto a causa di una salute cagionevole, da piccola ero una bambina un po’ particolare, molto solitaria anche se coccolata, amata e protetta immensamente dalla mia famiglia. Ho imparato a leggere e scrivere prestissimo e avendo poca vita sociale (quella che i bambini della mia stessa età invece avevano), passavo le giornate a leggere e vedere la TV insieme ai miei. Come si sa, negli anni 70 e poi 80 sono stati realizzati dei capolavori del cinema dell’orrore in Italia, opere che toccavano livelli di altissima qualità e quindi ho avuto la fortuna di imbattermi nei film di Bava, Fulci e Argento. Come potevano non piacermi? Come potevano non toccare le viscere di un’adolescente? Da ballerina quale ero poi, Suspiria di Dario Argento prima e Murderock – Uccide a passo di danza di Lucio Fulci, hanno proprio segnato la mia adolescenza, al punto da avvolgere quello spazio sacro che allora per me era la scuola di danza con un alone di mistero e nebbia. E come si sa, i bambini sono attratti dall’ignoto, amano vivere e raccontare “le storie di paura”. Ho sempre amato i film dell’orrore e ancora adesso mi piacciono molto. Forse la scelta sul “tipo” di film horror è cambiata, ma è un genere che mi esalta. Per me in quanto attrice, sebbene elementi horror siano stati presenti anche in altri film in cui ho recitato come per esempio Reverse, un legal thriller prodotto da Bielle Re, scritto dal francese Guillaime Pichon e diretto da Mauro John Capece, La casa del sabba è sicuramente la mia prima incursione in un vero e proprio horror film. E devo dire che l’esperienza è stata particolarissima, totalizzante e inaspettatamente divertente.
Cosa hai pensato quando hai letto per la prima volta il copione?
Corinna Coroneo: Mentre leggevo il copione automaticamente si palesava nella mia immaginazione il mondo che la parola scritta evocava. La lettura scorreva semplicemente senza intoppi e così anche le immagini nei miei occhi. Dunque ho pensato che potesse funzionare alla grande e che mi sarei molto divertita a prendere parte a La casa del sabba.
Marco, quale tecnica usi per entrare nei panni del personaggio che interpreti?
Marco Aceti: Io appartengo alla “vecchia scuola Strasberg e Stanislavskij”, ma mi rendo conto che le tecniche di recitazione sono andate avanti rispetto a quando ho iniziato io, che avevo solo diciotto anni. Grazie alla mia compagna Jessica ho avuto modo di conoscere la “Tecnica Chubbuck” che mi ha molto affascinato e meriterebbe di essere approfondita. Tecniche a parte, io credo che l’attore debba essere in grado di riportare in scena sentimenti, emozioni, pezzi di vita reale. Ma deve essere in grado cercare questi sentimenti dentro di sé e tirarli fuori usando le parole della sceneggiatura. Oltre a fare l’attore, come ormai tutti sanno, sono un pompiere, faccio il Vigile del fuoco da tredici anni e sicuramente anche questo mi ha aiutato a mettere in scena i miei personaggi, perché respiro quotidianamente la sofferenza. Ho visto il terremoto e le persone perdere tutto in un momento e i loro volti non li posso certo dimenticare. Come pure i volti felici delle persone salvate insieme alla mia squadra e quelli dei loro cari. È la gente comune che mi dà forza! Perché per me la tecnica vera è vivere, assimilare, emozionarsi ogni giorno, tenere tutto, come in un cassetto dentro se stessi, per poi aprirlo quando è: “Azione!”.
Ogni artista ha un animo tormentato, il tuo lo è?
Marco Aceti: Sicuramente lo è. Il mio animo è tormentato da episodi del passato, dalla sofferenza vissuta durante la malattia di mio padre, che ho cercato di alleviare con tutte le mie forze, dal fatto di non riuscire subito ad essere ciò che volevo e dalla preoccupazione per il mio futuro. Poi però la gioia della paternità e con essa la grande difficoltà di crescere un figlio, senza mai perdere di vista i miei obbiettivi. Ma che bello però! Pensa che tristezza sarebbe se uno fosse vuoto dentro, senza cose da raccontare… Vorrebbe dire non aver vissuto, non aver goduto dei piaceri della vita e soprattutto non avere gettato le basi per il proprio futuro.
C’è qualcosa del personaggio di Robert che tu, Marco, non tolleri o che, al contrario, ami?
Marco Aceti: Faccio una premessa. Ho conosciuto Luigi Pastore dopo aver girato il mio primo film da protagonista Lettera H regia di Dario Germani e prodotto da Tonino Abballe, film a cui sono molto legato e grazie al quale mi sono per la prima volta avvicinato al genere “horror psicologico “. Il film ha vinto diversi premi, uno dei quali è andato a me come miglior attore protagonista all’Horror Film Festival dell’Oregon, in America. Luigi, che ne ha curato la presentazione ai vari festival, ha da subito apprezzato le sfumature che ho dato al mio personaggio e credo sia stato per questo motivo che quando mi ha proposto di interpretare Robert Santana mi abbia soltanto detto: “Si chiama Robert Santana è uno scrittore famoso e cerca ispirazione in questa casa dove ci sono oscure presenze!”. Punto! Pastore insieme a Marco Cerilli, che debutta per la prima volta come regista, mi hanno dato piena fiducia. Così ho iniziato a cucirmi addosso Robert Santana. Gli ho dato un atteggiamento, grazie a degli accessori, un vizio, quello dell’alcol, un tormento, per il suo talento e poi l’ho messo difronte a numerose domande e dubbi, quali: “Sei famoso perché sei bravo o perché hai sposato l’editrice Sara Kepfer? Ami veramente tua moglie o le sei solo grato?”. Ecco, queste sono alcune delle domande che ho posto al mio personaggio e dalle risposte che sono venute fuori ne è scaturita la sua debolezza, il suo essere succube, che non ho tollerato, mentre ho amato la sua forza, il suo talento e la sua ostinazione nel voler conoscere il mistero di quella casa maledetta!
Corinna, secondo te, nel genere horror il ruolo femminile è paritario rispetto a quello maschile?
Corinna Coroneo: Sicuramente il ruolo e l’emancipazione della figura femminile nel corso degli anni ha avuto dei cambiamenti nel cinema e nello specifico nel cinema dell’orrore, in quanto specchi di un più ampio cambiamento socio-culturale. Generalmente, potremmo dire che prima degli anni Settanta e con particolar riferimento al cinema italiano, i personaggi femminili tendevano a essere secondari rispetto a quelli maschili e la donna tendeva a essere rappresentata come una figura sottomessa, la classica vittima nelle mani del carnefice o del mostro. Con l’avvento degli anni Settanta, anche in virtù di una maggiore emancipazione sessuale della donna, il cinema dell’orrore pone al centro della narrazione proprio la figura femminile che diventa ammaliatrice, perversa e carnefice, assumendo dunque ruoli di rilievo spesso e volentieri superiori a quelli maschili. Allargando i confini del discorso, mi viene da citare Carrie – lo sguardo di Satana di Brian De Palma del 1976, sicuramente un cult del cinema horror.
Per la riuscita di un buon prodotto è importante la professionalità degli artisti che partecipano a vario titolo al film o l’alchimia che si crea fuori e dentro il set?
Corinna Coroneo: È una domanda molto interessante la tua. Io penso sinceramente che un film sia come un’orchestra: tutti gli strumenti devono convergere a creare una sinfonia e se uno soltanto degli strumenti dovesse “stonare”, l’intero risultato ne sarebbe compromesso. Credo che non possa esistere la professionalità degli artisti senza un’alchimia, una magia e anche un’umiltà non solo verso gli altri comparti ma verso l’intero progetto.
Marco, attraverso il tuo personaggio hai esorcizzato qualche recondita paura?
Marco Aceti: La paura dell’ignoto e delle presenze soprannaturali credo che sia dentro ognuno di noi. Io provo interesse e curiosità verso l’argomento e un mix di sensazioni che non so se si possono definire “paura”. Mentre giravamo sono successi diversi fatti inquietanti che inizialmente pensavamo fossero coincidenze. Uno di questi ci ha dato da pensare e ve lo voglio raccontare… Stavamo girando una scena in esterna in cui serviva buio totale ma l’illuminazione della strada ce lo impediva, rammaricati decidiamo di girare lo stesso e al momento del ciak si è verificato un blackout nel paese. È stato come se qualcuno ci avesse sfidato dicendoci: “Richiesta esaudita, vediamo che sapete fare”. A fine scena è riapparsa la luce… Questo, sinceramente, non ci ha impauriti ma sicuramente un po’ destabilizzati. Ciononostante, abbiamo portato a termine il lavoro, esorcizzando il dubbio sulla presenza di anime.
Nel ruolo che interpreti riconosci qualche traccia di te?
Corinna Coroneo: Uno degli aspetti sicuramente più evidenti della mia personalità sono una grande forza alla quale fa da contraltare un’estrema sensibilità. Detesto la superficialità e l’approssimazione ed è per questo che cerco di essere sempre pronta e preparata. La mia vita è uno studio continuo, una ricerca costante, interiore prima e professionale poi. Mi piace occuparmi, prendermi cura e proteggere ciò che amo. E questo a volte viene scambiato per voglia di controllare. In realtà amo farmi sorprendere dalla vita, dalle persone e soprattutto da me stessa. Che meraviglia quando ciò accade. La spiritualità è un aspetto fondamentale della mia esistenza, e cerco di prendermene cura costantemente. Pratico la Meditazione Trascendentale e ne sono entusiasta. Io e Sara, il personaggio da me interpretato ne La casa del sabba, abbiamo alcuni aspetti in comune, primo fra tutti la necessità e la voglia di occuparsi della vita e della carriera del nostro uomo con grande dedizione e amore. Credere in qualcuno o in qualcosa è un sentimento meraviglioso che porta contestualmente alla propria crescita personale. Un altro punto in comune con Sara è certamente l’aspetto spirituale, anche se con sfaccettature differenti. E poi… mi devo fermare per evitare di dire troppo (ride).
La storia è ambientata in località San Vito del comune di Taranto. Secondo te, Marco, questa scelta ha condizionato la trama?
Marco Aceti: Assolutamente sì. Luigi Pastore insieme a Marco Cerilli si sono letteralmente chiusi in quella casa e nel giro di una settimana, quella di Ferragosto, hanno scritto la sceneggiatura di getto, di cuore… La storia, essendo partita da lì, non poteva essere ambientata in un posto diverso. Abbiamo vissuto in quella casa per nove giorni e io ho dormito dove il mio personaggio ha dormito… Capite la bellezza e l‘intensità di tutto questo? E poi il mare a un passo da noi, tutto meraviglioso… Questa storia doveva essere girata per forza a Taranto, perché da qualche parte era scritto così … Ad esperienza conclusa ci tenevo a ringraziare di cuore tutta la troupe …gagliardi veramente, il maestro Sergio Stivaletti per gli effetti speciali, trucco e parrucco, persone capaci e di grande cuore, il cast artistico, tutti dei grandi professionisti ed infine il grazie più grande va a Marco Cerilli e Luigi Pastore, perché senza di loro La casa del sabba non sarebbe mai esistita!
Marco Cerilli, nel vasto panorama dei generi horror, dove si colloca il film di cui segue la regia?
Il film è una rivisitazione del filone sulle case maledette e sulle sette sataniche, un genere che ha segnato una stagione importante nel panorama horror a cavallo tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80. Pur dando al film una dimensione diversa, abbiamo voluto ispirarci a quei classici che hanno poi contribuito alla mia visione registica.
Quale scena l’ha emozionata di più e perché?
Marco Cerilli: Sicuramente la scena più emozionante è stata quella del pozzo, perché mi sono dovuto calare fisicamente in un vero pozzo per la raccolta delle acque piovane. Ovviamente, tutto con la massima sicurezza, anche se camminare nel terreno melmoso e in uno spazio angusto è stata una bella prova di coraggio e follia allo stesso tempo.
Riuscire a girare un film in questo preciso momento storico è davvero ammirevole. È stato molto difficile realizzarlo?
Marco Cerilli: Adattarsi all’emergenza sanitaria in corso non è stato facilissimo, anche se la produzione ha adottato tutte le misure previste. Ma girare un film con l’incognita COVID è una novità, ci si adatta e si spera possa finire presto questo incubo. E’ stata ammirevole la voglia da parte di tutti di dare il massimo impegno con la massima professionalitá nei pochi giorni di lavorazione previsti, condizionati anche dalle restrizioni imposte.
La sua regia evidenzia l’aspetto narrativo o psicologico?
Marco Cerilli: La mia regia è stata supportata dalla supervisione di Luigi Pastore e dalla bravura degli attori, che hanno saputo rendere pienamente lo spirito dei personaggi andando anche oltre le aspettative. Ho avuto il privilegio di dirigere attori di esperienza, che hanno saputo personalizzare il proprio ruolo aiutandomi anche nella mia interpretazione. L’aspetto psicologico è stato sviluppato insieme agli attori, in particolare con Marco Aceti per il personaggio dello scrittore Robert Santana. La mia regia sottolinea di più l’aspetto narrativo della vicenda, rendendo protagonista anche la casa che avvolge i protagonisti e lo spettatore.
Quando è iniziata la sua passione per il genere horror?
Marco Cerilli: La mia passione per il genere horror è iniziata in giovane età e non è mai finita, prima come spettatore e poi come filmmaker. Ho girato circa sessanta cortometraggi, sia di genere horror ma anche trash e comici. Questo film rappresenta il mio debutto ma anche il mio omaggio a un genere che amo da sempre.