Lady Gucci- La storia di Patrizia Reggiani
2020
Ammesso e obbligatoriamente concesso che, ormai, morto, sepolto e pressoché marcito il cinema come pura fiction, a imperare e promettere salvezza resta in Italia la documentaristica, dopo avere apprezzato Sanpa, del quale altrove su questo sito, apprezziamo questo Lady Gucci – La storia di Patrizia Reggiani, a cura di Giulia Cerulli, che lo ha prodotto, e ora in distribuzione su Discovery Plus Italia,. La vicenda, in altri tempi, avrebbe meritato la penna di un Piero Chiara o la regia di un Risi, ma anche Monicelli ne avrebbe sicuramente cavato qualcosa di memorabile. Perché trattasi di un intreccio da manuale, in cui il costume e il crimine si abbracciano come i serpenti sul caduceo di Mercurio. Grande crimine, grande narrazione, e per ciò che sta sulla scena e, soprattutto, per ciò che della scena sta ai margini, dietro, dentro sopra e sotto. Spingendo la sintesi alle sue estreme conseguenze: una ragazza che nasce dalla periferia milanese, di umili origini (come si diceva una volta) ma adottata da un ricco che a otto anni le regalò una preziosissima pelliccia di visone (i dettagli…), abbastanza avvenente, ancorchè bassina, cova il sogno di dare la scalata al benessere, ai soldi, al successo. Vuole arrivare. Fortuna audentes iuvat. Cosicchè, la nostra, che di nome fa Patrizia e di cognome Reggiani, mentre è in caccia di un buon partito, ottiene un assist dalla sorte. Lui, rampollo dell’impero miliardario dei Gucci, una sera la vede, in un contesto mondano, e le resta sotto. Di lì a poche ore, le chiede se sia disposta a diventare la signora Patrizia Gucci. Così, illico et immediate. Anno del signore 1973, venticinquenni entrambi. Una sceneggiatura incredibile che diventa subito possibile, perché, come andiamo ripetendo alla nausea, è la vita che imita sempre il cinema e non viceversa, come credono gli ingenui. Lei & Lui, in quest’ordine, poiché la Patrizia che sorge come un Leviatano dai sobborghi milanesi degli anni Sessanta, è la faccia dominante della coppia. Mentre il maschio, poveretto, che di nome fa Maurizio, è un pennellone che parrebbe avere contezza di sé solo fino a un certo punto. Lei, la Patrizia, lo ama. E continua a dirlo, che lo amava, anche oggi, dopo un ventennio trascorso al “Due”, come si dice a Milano, ovvero dietro i muri di San Vittore, dove c’è finita perché sarebbe stata (è stata, datosi che la sentenza è passata in giudicato) la mandante dell’omicidio del coniuge, inchiodato dalle rivoltellate, tre per l‘esattezza, nel lontano 1995, la mattina di un 27 marzo, che cadeva di lunedì. Perché?
Il perché lo si capisce o lo si ipotizza, guardando l’ora e un quarto di questo Lady Gucci – La storia di Patrizia Reggiani, che Marina Loi e Flavia Triggiani hanno scritto potentemente ispirate dai fatti di cronaca, che erano e sono ancora lì a reclamare di diventare fiction: e pure Ridley Scott – Ridley Scott, quello di Alien, mica un cretino qualsiasi – ha risposto all’appello, visto che a marzo darà il via al film sul fattaccio, con Lady Gaga – madonna mia – a rivestire i panni della dama nera con licenza di uccidere. Corna, affari, danari, tanti danari, la Milano da bere, persino uno yacht maledetto: c’è dentro di tutto, in questa storiaccia che come guest star, nelle fasi nevralgiche, porta sul proscenio una mezza fattucchiera napoletana, certa Pina Auriemma, amica della Patrizia arrembante, che funse da link con un gruppo di derelitti che sarebbero poi stati il braccio armato dell’operazione. Lui, il Gucci, se n’era uscito di casa un bel dì, senza fare più ritorno, correndo dietro una più giovane. Divorzio a seguire: la Patrizia restava con due figli e una reddita annua di un miliardo. Ma non le bastava. Lo volava morto e morto, in una maniera o nell’altra, lo ebbe. Ripetiamo: sulla pagina un Chiara e sullo schermo ci sarebbe voluto un Risi per rendere ragione di tutta la succulenta backstory, socio-antropologica, che l’omicidio di Gucci cela in sé, anche se dovremo accontentarci di Scott. Loi e Triggiani convincono la Patrizia a parlare, oggi, e le mettono come controcanto la Auriemma. L’una, ancora bella come il sole, perfetta, brandizzata, stilizzata, assolutamente non tocca dai 17 anni trascorsi ar gabbio, che, a sentirla, sono stati come un soggiorno in un hotel di Cortina (con un furetto come pet), l’altra, la maga dei Portici, grezza e stentata, il mercato rionale come atelier, che getta fiele sulla ex amica-complice. L’abito fa il monaco: purtroppo o per fortuna, lo stimi chi guarda il docu-film.
Sento le autrici: «Il carcere non ha cambiato Patrizia, anzi, è stata lei a cambiare il carcere – dice, citando un apoftegma dell’avvocato difensore della (ex) signora Gucci, Flavia Triggiani, la quale fa intendere di avere avuto costanza e forza d’urto di una testudo romana nel convincere la femme fatale a raccontarsi davanti alle videocamere, benché, a giudicare dalla disinvoltura e dal controllo che ostenta, la Patrizia, a beneficio dell’obiettivo, si direbbe non aspettasse altro. «Lavorare a questo documentario è stato molto complesso, ma emozionante al tempo stesso. In sei mesi abbiamo ripercorso la storia di un grande amore, la storia di una famiglia a capo di un grande marchio del made in Italy ma anche una storia di grande dolore e di rinascita. L’omicidio Gucci ha rappresentato uno dei fatti di cronaca più clamorosi degli anni ’90 e ha incuriosito tutta Italia. È stato affascinante mettere a confronto le tesi di Pina Auriemma e Patrizia Reggiani, considerate le mandanti dell’omicidio di Maurizio Gucci nipote di Guccio Gucci, fondatore della omonima maison nel 1921 a Firenze». Oltre dieci ore di intervista che il bel montaggio incalzante di Lorenzo Loi ha abilmente ristretto e condensato nei 74 minuti di durata del documentario prodotto da Videa Next Station per Discovery Italia, e diretto da Jovica Nonkovic. «Per me e Marina Loi, autrice e amica con la quale abbiamo sviluppato questo progetto, appassionate di Crime, è stato incredibile rivivere le indagini dell’ex capo della Criminalpol Filippo Ninni, culminate nell’operazione Carlos, che ha contribuito a far luce sulla vicenda dopo anni in cui le indagini avevano portato ad un nulla di fatto», continua la Triggiani. «Quella che abbiamo cercato di raccontare non è solo la storia di Patrizia e di un omicidio ma anche quella di due rampolli della Milano bene, della Milano da bere».
E il sapore della favolosa Milano craxiana di quegli così lontani ma così vicini, almeno per noi che c’eravamo, viene restituita dal repertorio che, con grande avvedutezza, è stato selezionato a incorniciare e dare fragranza ai racconti dell’oggi. Marina Loi non si sottrae di fronte alla domanda delle domande: esiste ed è esistito, anche rispetto a Lady Gucci, l’incantesimo charmant e l’innamoramento per il “cattivo”? «Patrizia è una persona magnetica: difficile rimanere indifferenti di fronte a lei, al suo carisma. Non ne faccio solo una questione di bellezza ed eleganza, ma ciò che ti colpisce di più è la sua espressività, la sua gestualità, e le sue pause con le quali cattura l’attenzione di chi la ascolta. Un vero e proprio personaggio cinematografico. Ha una grande forza di volontà mista a un’indole naif: per esempio, dei regali milionari che ha ricevuto dal marito non ha conservato nulla, perché il suo spirito libero non ha pensato di farsi intestare case, barche e beni di lusso che ha accumulato negli anni e che il marito non le ha concesso dopo la separazione. Dopo aver conosciuto Patrizia ho capito perché il grande Ridley Scott abbia scelto di fare un film su questa vicenda».