Zero Dark Thirty
2012
Zero Dark Thirty è un film del 2012, diretto da Kathryn Bigelow.
Riagganciandoci all’inevitabile paragone con Code Name: Geronimo, il confronto non si pone neanche. Tanto exploitation e sciatto era il film di John Stockwell, quanto impegnato ed estremamente curato è Zero Dark Thrity della Bigelow. Sarebbe come pretendere di mettere sullo stesso piano una qualsiasi produzione Asylum e uno dei tanti film hollywoodiani che la nota casa di produzione-spazzatura cerca periodicamente di battere sul tempo con i suoi trashissimi surrogati.
Detto ciò, l’atteso film dell’autrice di The Hurt Locker, che racconta la lunga caccia da parte dell’intelligence americana a Osama Bin Laden conclusasi con la morte del capo di al-Qaida durante l’assalto al compound do Abbottabad, Pakistan, dov’era nascosto, è un bell’affresco di dieci anni della nostra Storia contemporanea, che ha più affinità col cinema spionistico che non con quello bellico, anche se poi, di fatto, alla Bigelow più che una narrazione di grande respiro interessa maggiormente scavare nell’intimo della sua eroina, una Jessica Chastain bravissima e ossessionata dal suo lavoro. Nei suoi occhi e nella sua frustrazione di fronte alla misoginia contro cui deve quotidianamente lottare, sembra quasi di rivedere la regista, sola contro tutti nel nome di un cinema, il suo, che ancora in molti vorrebbero prerogativa maschile. Senza scadere nella facile retorica patriottica, Zero Dark Thirty non è né un film di denuncia, né un film che vuole sposare una qualche teoria in merito al modo in cui sono state condotte le indagini o alla presunta identità dell’uomo che in molti hanno visto come Bin Laden, ma che altri sostengono essere un depistaggio o, più banalmente, un capro espiatorio.
Onde evitare malintesi, la Bigelow rinuncia a far vedere il volto del terrorista ucciso, limitandosi a qualche fugace close up della barba e del naso adunco. Ma non credo neanche sia questo il dato centrale di un film che oltre a essere profondamente femminile cerca di capire cosa può spingere una persona a sacrificare i sentimenti, i rapporti umani, le proprie radici, in nome di un ideale. In questo senso Zero Dark Thirty può fungere da contraltare al più concitato e diretto The Hurt Locker. Lì era la Bigelow che giocava a fare il maschiaccio, e faceva finta di divertirsi. Qui emerge la sofferenza di una donna che non può e non ha alcuna intenzione di rinunciare a quello per cui è stata designata. Lungo (due ore e mezzo), ma mai prolisso, il nuovo film della regista più tosta d’America, rappresenta probabilmente il suo film meno di genere, ma più coraggioso in quanto più autobiografico. Si potranno preferire altre cose che la Bigelow ha fatto in passato, ma non riconoscerne l’importanza e il merito equivarrebbe a un delitto gratuito.