Zack Snyder’s Justice League
2021
Zack Snyder’s Justice League è un film del 2021, diretto da Zack Snyder.
Tanto tuonò che piovve e a noi è stato finalmente dato dono di vedere una delle operazioni più singolari della storia del cinema, con un privilegio, donato a furor di popolo a colpi di hashtag su Twitter, che una major cinematografica raramente ha concesso prima: permettere a un regista estromesso da un progetto di poter ripristinare la propria versione, con riprese aggiuntive fatte a distanza di anni e una campagna pubblicitaria degna di un blockbuster a sé stante. Il risultato è Zack Snyder’s Justice League, un’opera colossale di quattro strabordanti ore in aspect ratio 4:3, sì rispettoso dello standard IMAX, ma che sul piccolo schermo a cui è destinato rimane un formato da tv degli anni Sessanta. Snyder non è l’ultimo degli shooter ma neanche tra i primi della classe, perennemente criticato persino dagli stessi fan dei cinecomics DC per l’utilizzo di un tono eccessivamente dark e di un’attenzione smodata all’estetica dell’immagine a discapito della plausibilità della sceneggiatura (vedasi il Marthagate). La serie incredibile di circostanze, forse irripetibile o forse apripista di nuove logiche produttive delle major hollywoodiane, ancora stordite dalla transizione allo streaming e dalle difficoltà dovute alla pandemia, meritano un racconto a parte ma servono da introduzione a un oggetto filmico che è difficile giudicare, soprattutto in rapporto con il suo riflesso del 2017, ripreso e modificato da Joss Whedon. I due film, diversi nel mood, nella durata, nella scrittura e nel look visivo, diventano il terreno di scontro tra due visioni autoriali: quella di Whedon, che imbastiva le prove per una marvelizzazione dell’universo DC, eccessivamente cupo rispetto all’approccio più famigliare della casa degli Avengers, e quella di Snyder che nella sua trilogia supereroistica, da Man of Steel passando per Batman v. Superman, si mantenne sulla falsariga cupa, adulta e violenta della precedente trilogia nolaniana su Batman. Il risultato ottenuto da Whedon fu un pastrocchio confuso, dove i toni seri e quelli faceti si bilanciavano malissimo, con un caos narrativo eccessivo persino per gli spettatori di bocca buona. Rispetto alla versione cinematografica, i cambiamenti della storia apportati da Snyder sono a conti fatti nulli: dopo la morte di Superman, il suo ultimo urlo di dolore risveglia tre scatole madri sparse per il mondo che attirano l’attenzione di Steppenwolf, un conquistatore di mondi che deve saldare un debito contratto con Darkseid.
L’unità delle tre scatole diventa un’arma di distruzione totale per il pianeta e Batman (Ben Affleck), orfano di Superman e incapace da solo di contrastare Steppenwolf, insieme a Wonder Woman (Gal Gadot) recluta delle persone dalle capacità speciali per creare un team in difesa della Terra. Barry Allen (Ezra Miller) può correre alla velocità della luce, Arthur Curry (Jason Momoa), noto come Aquaman, è un atlantideo che padroneggia il mare, Victor Stone (Ray Fisher) è un Cyborg capace di accedere a qualsiasi informazione digitale. L’ossatura della storia è la medesima, facile come il muggito di una mucca e adatta a costruirci sopra dei set pieces che coinvolgono ogni singolo personaggio. Ma ogni passaggio è adesso diluito, dilatato e giustificato, con un approfondimento sul singolo personaggio influenzato dalla prolissità della serialità televisiva piuttosto che dalla sottigliezza dei tempi cinematografici (e non è un caso che il film sia suddiviso in sette capitoli, costruiti come episodi di una miniserie). Così i personaggi di Flash e Cyborg guadagnano una maggiore profondità nel background e Momoa può regalare ad Aquaman persino qualche momento di drammaticità. Certo, le recitazioni, quelle rimangono: non c’è reshoot che possa dare a Gal Gadot un briciolo di varietà espressiva o a Ben Affleck la credibilità di cui avrebbe bisogno e la spalla comica rappresentata da Ezra Miller rimane pur sempre un tentativo posticcio e mal riuscito di occhieggiare all’ironia della Marvel. Zack Snyder’s Justice League migliora però sensibilmente (e sorprendentemente) la narrazione, gestendo meglio dei personaggi lasciati troppo in sordina nell’edizione del 2017, e soprattutto facendo vedere di nuovo un’impronta stilistica decisa, inconfondibile per chi segue il regista dai successi di L’alba dei morti viventi e 300. Si può vedere insomma la mano dell’autore, nelle sue fisime linguistiche – i quadri barocchi, i ralenti onnipresenti che se normalizzati avrebbero portato la durata a un’abbondante ora in meno, il ritmo da videoclip del montaggio delle scene d’azione – e nella sua personale idea di epica cinematografica.
Non si respira unicamente il cambiamento di montaggio, non il semplice cut o l’utilizzo di scene aggiuntive tagliate al montaggio. Il cambio di marcia non è il colore nero del costume di Superman o il nuovo design del cattivo: esso risiede piuttosto nel fascino dell’insieme dell’operazione. Snyder ha avuto un dono, concesso a pochissimi e probabilmente non del tutto giustificato, di poter plasmare la propria creatura senza alcuna limitazione creativa, senza badare ai diktat commerciali (e in questo senso ha aiutato la distribuzione su HBO Max, molto meno dispendiosa della sala) e di mostrare la sua visione di un mondo, da lui creato e concluso, con tutti i propri eccessi in un modo che non gli sarebbe mai stato concesso nel 2017. Il film in termini assoluti, senza cioè il confronto, improbo, con la raffazzonata versione cinematografica, è uno spettacolo godibile che non soffre della durata eccessiva, cedendo solo nell’ultimo metro, nel prologo del tutto gratuito, dove Snyder, forse nella speranza che la Warner cambi idea sulla non continuità dello Snyderverse, obnubilato dalla propria onnipotenza, introduce di botto nuovi personaggi e piazza una sequenza onirica, con un Joker notevole interpretato da Jared Leto. La sequenza dell’incubo, una di quelle girata ex-novo, è tra le più affascinanti del film, ma inconcludente ai fini narrativi, se non nello scopo di tenersi aperto un possibile piano B, un ulteriore seguito a un delirio di autore che nel pieno della sua potenza ha messo in ginocchio dinamiche e ritualità dell’industria cinematografica, ormai sotto scacco degli umori dei fan che con tweet e petizioni online fanno più rumore persino del box office. Non è un caso che Snyder abbia introdotto il film su HBO Max in America con un ringraziamento sentito ai fan, i veri committenti di questa impresa produttiva, anacronistica, perché mette a centro l’autore e non più gli interessi economici, ma anche un precedente pericoloso di un’era di tirannia degli umori social.