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Servant – Stagione 2

2021
REGIA:
M. Night Shyamalan, Daniel Sackheim
CAST:
Toby Kebbell (Sean Turner)
Lauren Ambrose (Dorothy Turner)
Nell Tiger Free (Leanne Grayson)

Il nostro giudizio

Servant – Stagione 2 è una serie tv del 2021, creata da Tony Basgallop.

Finalmente, dopo averci tenuto col fiato sospeso per diverse settimane, è andato in onda l’episodio finale della seconda stagione di Servant, la serie tv creata da Tony Basgallop e prodotta da M. Night Shyamalan che ha letteralmente squarciato in due il giudizio della critica. Le promesse che ci erano parse chiare fin dall’esordio su possibili e definitive risoluzioni che avrebbero avuto luogo nel corso della seconda stagione, sono state parzialmente disattese. Nessuna luce, solo l’insinuazione di ulteriori dubbi e un’enfasi più pronunciata sulla stretta  connessione tra quello che si cela dietro la realtà apparente e gli orrori del subconscio, tra la fluidità insospettabile che lega indissolubilmente il sovrannaturale al mondo sensibile e, ancora, tra azioni biasimevoli, prevalentemente di Dorothy, e l’idea “del fatto a fin di bene”; tutto raccontato, talvolta, con un tono che ricorda quello della commedia dell’equivoco all’italiana e  velato dall’umorismo delle sotto-trame costruite sulle grottesche condotte di Sean e Julian. Grandi assenti di questa seconda stagione: le immagini raccapriccianti tratte dall’arte culinaria, che accompagnavano, sempre in questo fitto gioco tra ciò che è esteriormente e ciò che si cela dietro, ogni singolo episodio come se ne andassero a definire il titolo. In questo secondo capitolo, a differenza di quanto avvenuto nel primo, se pur lentamente, alcuni nodi iniziano a sciogliersi. Il passato dei personaggi si dispiega tenendo, tuttavia, ogni cosa appesa ad un filo: tutto si muove ma resta immobile, anche quando si crede di essere ad un passo dalla verità. Servant appartiene decisamente alla categoria del “non per tutti”. Come da perfetto stile Shyamalan, la trepidazione di scene interminabili, avvolte dalle tenebre, tengono ancorati all’azione, senza lasciar mai intuire fino in fondo se si stia assistendo ad una scena chiarificatrice o, semplicemente, all’introduzione di un ulteriore elemento da sciogliere.

Il filo rosso tra la prima e la seconda stagione è costituito dai toni cupi illuminati sporadicamente dai colori chiassosi degli abiti di Dorothy e dal suo sguardo intenso e perso dietro il quale si occulta tutto l’orrore che ha vissuto, compreso quello di cui è artefice. Ed è proprio Dorothy il personaggio più controverso. Sophie Gilbert, ad esempio, commentando la prima stagione, su Atlantic ha scritto: “Tutti i 6 produttori sono uomini e tutti i 10 episodi sono scritti da Basgallop. Non sorprende, quindi, che Servant, invece di disegnare i contorni del lutto materno, tratti Dorothy con un disinvolto disprezzo”. Forse è così, e se, invece, a chi è dietro la telecamera non importasse nulla del dolore materno e della trasposizione cinematografica della sofferenza provocato dalla perdita di un figlio? E se gli unici veri temi fossero la messa in scena di elementi come la religione, il soprannaturale e la libera interpretazione del concetto di bene e male? In tal caso, a chi importa se Dorothy è dipinta come una madre egocentrica? E perché a una madre non deve essere concesso il sacrosanto diritto di essere vanitosa e concentrata su se stessa? Il tema non è la Madre-Dorothy, ma l’Essere Umano-Dorothy, la quale, esattamente come chi la circonda per proteggerla, si macchia di crimini e azioni deplorevoli con inquietante naturalezza, ed è proprio quest’ultima che, più che far dubitare della sua credibilità come madre, induce a sospettare della natura stessa dell’Essere umano. E Dio? Che ruolo ha Dio in tutto questo? Unico attore protagonista, mai inquadrato dalla telecamera che come un burattinaio isterico muove le fila della trama attraverso chi dice di essere con Lui.

E questo Dio che confonde Leanne e che consente agli adepti di una setta di decidere chi è buono abbastanza per continuare a vivere, che Dio è? Alcuni grandi pensatori parlavano di un Dio-contratto, che si determina e si individualizza in una molteplicità di cose singole. É la vecchia dottrina della somiglianza tra la mente divina e la mente umana: il volto divino non è determinabile né qualitativamente né quantitativamente; è il volto di tutti i volti. Ed è proprio l’atteggiamento soggettivo di cui guarda a Dio che ne determina il volto, caratterizzandolo con attributi che appartengono alla mente e al volto di chi lo dipinge. E allora la verità qual è? É nell’azione di una madre che fa di tutto per riavere suo figlio? É  nella decisione di un marito e di un fratello di coprire questa donna perché mossi dal senso di colpa? É nelle ragioni di Leanne, contrita, confusa e in balia di chi crede di avere il diritto di decidere per lei secondo le regole di un dio dai mille volti? E se fosse dunque vero che non esiste una verità, ma solo quella a cui ci fa comodo credere? In tal caso, potrebbe, addirittura, essere vero che non sia stato Dio ad aver creato noi, ma noi a creare lui, di volta in volta, a nostra immagine e somiglianza. É assolutamente certo che anche la terza stagione di Servant, già confermata, non riuscirà a trovar risposta a queste domande, ma è altrettanto vero che, stando alle ultime parole pronunciate da Leanne nell’episodio finale, si assisterà ad una grande  battaglia, che, presumibilmente, vedrà schierarsi Il bene contro il male e senz’altro non sarà immediatamente chiaro chi rappresenterà uno e chi l’altro.