Plan 9 from Outer space
1959
Plan 9 from Outer space è un film del 1959, diretto da Edward D. Wood Jr.
I fatti sono noti a tutti. Eppure ci si continua ad avvicinare al cinema di Ed Wood Jr. con l’interesse morboso e sadico di quanti godono della sbrigativa etichetta di peggiore regista del mondo appioppata al regista da quanti evidentemente considerano il fare cinema solo all’interno di “misurabili” parametri tecnicistici. Con questo, ovviamente, non si vuole affermare che Wood Jr. fosse, al contrario, un cineasta tecnicamente dotato o formalmente innovativo. Semplicemente che i valori del suo cinema vanno cercati altrove e che Plan 9 from Outer Space, il suo film più famoso – diventato tale perché è facile deriderlo – è estremamente indicativo del perché il suo cinema continuerà a essere una nota a pie’ di pagina della storia maggiore del cinema di serie B. Basterebbe la memorabile introduzione di Criswell, per ammettere di trovarsi al cospetto di un lavoro unico, partorito da una mente che (s)ragionava fuori dagli schemi e che non accettava che banali limitazioni di budget ricattassero la sua visione. Ed Wood Jr. è il supremo ostaggio della bellezza. Ossessionato dalla bellezza non era in grado di ricrearla ma la vedeva ovunque al punto di consumare la propria esistenza al servizio di un’ideale che si sarebbe rivelato irraggiungibile.
I film di Ed Wood Jr. vanno dunque letti in controluce come dispacci provenienti da un altro mondo. Alla stregua di affermazioni le quali, sorte dall’arbitrio del desiderio, si affermano come momenti di bellezza involontaria ma non per questo meno irripetibile. Basti pensare alle immagini di Bela Lugosi che esce vestito di nero, indossando un cappellone a falde larghe, alla luce del sole, mentre la voce del narratore ci spiega il tormento della sua anima. In quale altro film, che non sia Viale del tramonto, lo spegnersi delle stelle di Hollywood è colto con altrettanto dolore e mestizia? Certo Wood Jr. non immaginava che l’amico venerato sarebbe scomparso da lì a pochissimo e sperava – contro ogni speranza – che la presenza di Lugosi avrebbe attratto un minimo d’attenzione sul suo film. «The old man left that home, never to return again!».Così afferma stentorea la voce del narratore mentre Lugosi scompare alla sinistra dell’inquadratura. Presagio involontario inserito come monito documentario nel corpo di un film che evoca i “grave robbers”, ossie le iene, i ladri di cadaveri. E Wood Jr., umilissimo servitore della morte al lavoro, ci regala il più agghiacciante frammento di una malinconia terminale che nessun cinema può o potrà mai placare. Tanto più autentica perché “involontaria”…
Tutto Plan 9 from Outer Space, dunque, in quanto ipertesto del cinema edwoodiano, vive di queste epifanie minori, tanto laceranti quanto inseparabili dalla cartapesta che avrebbe dovuto evocare un altro mondo. Eppure le inquadrature fisse di Wood Jr. non sono poi tanto diverse da quelle del primo cinema muto o da quelle della Republic o della Monogram. Il problema è che Wood Jr. sembra concepire il cinema solo come una teoria di inquadrature fisse. Come se tra il muto e i monologhi interiori di Robert Z. Leonard sperimentati in Strano interludio non ci fosse altro che uno stacco di montaggio. A causa del plusvalore “cultista” depositatosi su Plan 9 e in generale sul cinema di Ed Wood Jr. si fatica a districarsi fra i singoli film. Stephen C. Apostolof, in Dad Made Dirty Movies, documentario a lui dedicato da Jordan Todorov, ancora risentito per come l’onda lunga del biopic di Tim Burton lo aveva espropriato di La notte degli spettri (Night of the Ghouls, 1959), afferma che Wood Jr. non avrebbe saputo dirigere il traffico in un parcheggio nemmeno se ne fosse dipesa la sua stessa vita. Eppure il suo lavoro appartiene al novero delle “shapes of things to come” perché, e Ed Wood Jr. lo sapeva bene…: «Future events such as these will affect you… in the future!»