Re Granchio
2021
Re Granchio è un film del 2021 diretto da Alessio Rigo de Righi e Matteo Zoppis.
Il duo De Righi-Zoppis è interessante tanto quanto il bizzarro e memorabile lungometraggio scaturito dalla collaborazione tra i due autori, ossia Re Granchio. Zoppis è un esordiente, mentre De Righi che ha vissuto e studiato cinema tra gli Stati Uniti, Roma e Buenos Aires viene da una prolifica e curiosa attività documentaristica che vede all’attivo titoli quali: Il solengo (2015); Belva nera (2013) e Catedral (2009). Re Granchio, il primo film nato dalla collaborazione tra i due autori mantiene chiaramente uno stile documentaristico (soprattutto nella seconda parte) arricchito questa volta da una costruzione e scrittura drammaturgica decisamente potente e ispirata. Il film comincia con una riunione di bevute e racconti popolari tra vecchi amici che in un rifugio nelle campagne romane si isolano dalla noia, dal caos e dalle abitudini di una vita cittadina convenzionale e poco interessante, pur di rivivere qualche momento di bizzarria, tensione e avventura attraverso l’immaginazione e l’ascolto. Re Granchio nella sua struttura narrativa si fa in tutto e per tutto racconto classico tramandato di generazione in generazione (generalmente dalle figure anziane) davanti a un falò e dedicato a un pubblico di ascoltatori che è allo stesso tempo on e off screen. Dall’Italia rurale dei giorni nostri, il duo Zoppis/De Righi ci conduce all’Italia rurale del tardo ottocento (borghi e boschi della Tuscia), dove muove i suoi passi strascicati, dolenti e temibili il folle e bizzarro Luciano (Gabriele Silli), aiutante del pastore e figlio in rovina e in costante crisi del medico locale. I motivi per i quali Luciani sembri essere temuto da tutti non ci è dato conoscerli e ogni conclusione viene perciò affidata all’immaginazione dello spettatore.
Quello che però è evidente è proprio l’alienazione dell’individuo anomalo e visibilmente outsider, rispetto ai popolani fortemente uniti del piccolo borgo che Re Granchio racconta nel corso della prima parte del film. Luciano è un uomo tormentato che non sembra voler continuare a vivere preferendo affidarsi all’horror vacui, al caos e alla forza attrattiva e seducente del lasciarsi morire. Prova ne è il rifiuto della sessualità e dell’amore che Luciano prima accoglie e poi allontana durante una burrascosa e fatale (o forse no?) relazione con la giovane figlia del pastore. Dall’Italia dei giorni nostri a quella del tardo ottocento, fino a una remota, cupa e inquietante isola spagnola. Un film in viaggio che esplora in profondità la psicologia del paesaggio e della mente e poi del corpo di un individuo unico e assolutamente anomalo per il panorama cinematografico nostrano, quale è Luciano, interpretato magistralmente da Gabriele Silli. Ciò che di Re Granchio si rivela estremamente interessante e memorabile è la riflessione che il film compie sulla violenza e il sadismo della morte e ancor più sull’impostazione cinematografica, assolutamente contrastante tra le tre sezioni del film.
La prima, quella dei giorni nostri che è allegra, malinconica e scherzosa. Ossia sull’anzianità che ha dignitosamente e gioiosamente accettato la morte. La seconda, dolce e cruda nel suo mostrare e raccontare lo sviluppo e la corsa parallela dell’amore e della violenza che si rivela non definitiva, quanto generatrice di una nuova dannazione o in alternativa, di una nuova esistenza in attesa di pacificazione e perdono, cioè il nucleo della terza e sicuramente più interessante sezione. Incredibile dunque come il terzo segmento del film riesca nel legarsi a uno stile ormai assolutamente riconoscibile e davvero distante dall’estetica italiana, ossia quello generalmente proposto dalla sempre più nota casa di distribuzione e produzione newyorkese A24, cui appartengono titoli come The Witch, Midsommar e Lamb. Così come quei film la terza sezione di Re Granchio in formato 16:9 propone scenari sconfinati, meravigliosi e fortemente evocativi da un punto di vista simbolico, cupo, demoniaco ed evidentemente inquietante. Re Granchio si rivela dunque un prodotto outsider, tanto quanto lo è il suo protagonista per i popolani del borgo e così come Luciano, anche Re Granchio vive di una spinta ultraterrena, posseduta probabilmente, metaforica e simbolica. Qualcosa che nel cinema italiano di allora e poi dell’oggi risulta introvabile e per fortuna, ormai non più.