Proctor Valley Road
Chula Vista, California, Giugno 1970. Il concerto di Janis Joplin si avvicina e August, Rylee, Cora e Jennie, un gruppo di amiche strambe e sballate il giusto per l’epoca, cerca disperatamente un modo per racimolare i soldi necessari per andarci. L’idea brillante giunge quasi per caso: le ragazze decidono di organizzare per un gruppo di compagni di scuola un tour spettrale lungo una strada infestata dai fantasmi, la Proctor Valley Road. Inizialmente i ragazzi vengono delusi, ma quando lo spettro della Locataria, una donna vittima di un raggiro e arsa sul rogo come strega secoli prima, li rapisce, la vicenda delle quattro amiche si tinge di nero.
Proctor Valley Road è un’opera di exploitation felicemente riuscita. Il riferimento è Stranger Things: le atmosfere vintage, qui anni ’70, il gruppo di adolescenti e una vicenda più grande di loro. Il genere passa da una fantascienza venata di horror a una ghost story che pesca a piene mani dal folklore americano, ma l’idea di fondo e le atmosfere hanno più di un punto in comune. Uno su tutti, la commistione fra horror e comedy, fra tensione e toni più leggeri, che funziona e diverte. Proctor Valley Road è avvincente ma non spinge mai troppo sul pedale della paura, restando comunque una storia godibile che fa sorridere nonostante la vicenda sia di base molto seria. La vicenda horror si svolge in un mondo, quello di quattro ragazze adolescenti dei primi anni ’70 con i loro problemi quotidiani: il rapporto con i genitori, i ragazzi, la musica e qualche canna in compagnia fumata con grande naturalezza. Quasi una sit com, in cui l’aspetto horror ne esce tutto sommato stemperato ma quello era l’obiettivo fin dall’inizio. Il ritmo c’è, la storia si fa leggere e intrattiene. Proctor Valley Road s’inserisce in un filone narrativo in cui King eccelle, con opere come IT o Stand by Me, fatto di amicizia giovanile e America profonda in cui l’orrore è la metafora della paura di crescere e perdere per sempre uno stato di grazia fondamentalmente spensierato.
Il tratto di Naomi Franquiz è fresco e dinamico, ricorda un misto fra Adam Warren e il Philip Bond di Vinamarama, calza alla sceneggiatura di Proctor Valley Road come un guanto, uno stile cartoonesco e divertente che mitiga ulteriormente il lato horror del fumetto che, rispetto alla produzione di Grant Morrison, si colloca forse fra le opere minori, come il già citato Vinamarama e Seaguy, un volume magari non fondamentale nella bibliografia di altissimo livello di un autore che ha fatto la storia del fumetto mondiale, ma comunque un lavoro godibile.