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Adorazione

2019
Titolo Originale:
Adoration
REGIA:
Fabrice Du Welz
CAST:
Thomas Gioria (Paul)
Fantine Harduin (Gloria)
Benoît Poelvoorde (Hinkel)

Il nostro giudizio

Adorazione è un film del 2019, diretto da Fabrice Du Welz

Dopo alcune apparizioni festivaliere risalenti al periodo, Adoration di Fabrice du Welz sembrava scomparso nel nulla, tanto che nessuno ne parlava e il film non era visibile – almeno da noi – in alcun modo. Fino ad ora, quando l’opera del vulcanico regista belga esce finalmente nelle sale italiane col titolo tradotto pedissequamente in Adorazione. Un’uscita che va a colmare una lacuna importante e a riscoprire una gemma nera, un nuovo tassello della cosmogonia di du Welz, che con quest’opera completa la cosiddetta “Trilogia delle Ardenne”, iniziata con Calvaire e proseguita con Alleluia. Con Adorazione, il regista porta avanti infatti il suo discorso su temi quali l’amore deviato e la malattia mentale, argomenti poi proseguiti anche oltre la Trilogia con Inexorable, visto allo scorso Noir in Festival e recensito tempo fa in questa sede. Come ogni sua pellicola, il film è marcatamente autoriale, per cui il regista co-sceneggia la vicenda: protagonista è il dodicenne Paul (Thomas Gioria), che vive un’esistenza isolata insieme alla madre in una casa dispersa nei boschi, vicina alla clinica psichiatrica dove la donna lavora. Fra i due c’è un legame molto forte, quasi morboso, dal quale il ragazzo si distoglie quando conosce l’adolescente Gloria (Fantine Harduin), una paziente della casa di cura. Nonostante le avvertenze della direttrice e della madre, che lo ammoniscono su quanto la giovane sia pericolosa per sé stessa e per gli altri, Paul e Gloria si vedono di nascosto e stringono amicizia, fino a quando decidono di fuggire insieme, dopo che la giovane ha scaraventato giù dalle scale la direttrice, forse uccidendola. Gloria spiega a Paul che è stata internata dallo zio per una questione di eredità, e lo convince ad accompagnarla in un lunghissimo viaggio fino in Bretagna, dove vive il nonno, l’unica persona di cui lei si fidi.

Nonostante la titubanza iniziale, il giovane acconsente, e i due iniziano un’avventura tra i fiumi e i boschi, durante la quale hanno modo di conoscersi e provare del sentimento reciproco. Ma Gloria è davvero malata di mente, per cui il loro amore diventa pericoloso. Prima vengono soccorsi da una coppia di turisti su una barca, poi finiscono ospiti di Hinkel (Benoît Poelvoorde), un uomo di mezza età che vive in solitudine dopo aver perso la moglie: ogni ostacolo che cerchi di dividerli viene eliminato, in qualsiasi modo. La volontà di formare un discorso continuativo fra i tre film è evidente fin dai titoli – Calvario, Alleluia, Adorazione – che formano una specie di triduo religioso e laico, un “sacro sporcato” che vuole elevare l’amore a oggetto di venerazione verso l’uomo e la donna, verso il corpo e l’anima dell’altro: ma l’amore nel cinema di du Welz possiede sempre una connotazione schizofrenica e possessiva, se non addirittura omicida e sanguinaria. La scelta dei titoli è criptica ma non casuale, poiché segue il martirio del primo protagonista, l’inno all’amore folle e incondizionato dei due coniugi killer, e infine l’adorazione che Paul e Gloria hanno l’uno verso l’altro – non molto distante, a dire il vero, dal legame totalizzante di Allelulia. Con Adorazione, du Welz compie però al contempo uno scarto rispetto ai due film precedenti, riducendo (anzi, quasi eliminando) la componente erotica e sanguinaria, e dirigendo un film dove il thriller lascia spazio al dramma psicologico (un amaro coming of age) e a una sorta di favola nera: motivo per cui, la scelta di due protagonisti adolescenti appare effettuata ad hoc, quasi come se fossero due moderni Hansel e Gretel alle prese con quella foresta nera che è la vita, mentre la fotografia virtuosistica e la musica vibrante ci accompagnano insieme a loro.

Anche in Adorazione, l’amore è deviato e morboso: lo è quello fra Paul e sua madre, un legame così stretto da essere ai limiti dell’incesto – significativa è la scena in cui il ragazzo legge una storia alla donna per farla addormentare (capovolgendo i ruoli codificati), mentre lei tiene un piede nudo appoggiato al petto del figlio. Ma lo è altrettanto quello fra Paul e Gloria, non tanto per quello che vediamo – qualche bacio focoso e una breve scena in cui la giovane fa una sega al coetaneo in estasi e lo guarda compiaciuta – ma per la natura ossessiva del loro rapporto e per la malattia mentale di Gloria. La giovane è affetta da manie di persecuzione, per cui identifica chiunque come un nemico, finendo di frequente in preda a crisi isteriche e diventando un pericolo per sé stessa e per gli altri: Paul, forse, ha capito troppo tardi con chi a che fare, ma ormai non può più allontanarsi e deve soggiacere a ogni suo desiderio, poiché il sentimento che prova per lei è troppo forte (“L’Amour. Ou rien.” – “L’Amore. O niente.”, recita la tagline del film). L’attrazione fra i due è totalizzante, così come è panica (nel senso di “totale”) la fusione tra i due fuggitivi e la natura, motivo per cui vengono costantemente ripresi – quasi sempre con la camera a mano, che produce un forte senso di irrequietezza – a contatto con boschi e fiumi, immergendosi nel verde e nell’acqua come creature mitologiche. Il loro amore assume così una connotazione favolistica, quasi ultraterrena (come del resto avverte la didascalia iniziale a proposito di mostri e fate), ma al contempo marcatamente umana, nell’accezione peggiore del termine, fra incubi e deliri che coinvolgono sia loro che lo sventurato Hinkel.