Siccità
2022
Siccità è un film del 2022 diretto da Paolo Virzì.
Così come Altman, Kasdan, Anderson, Tarantino e Iñárritu, ma anche il nostrano Scola e il sempre bistrattato Gabriele Muccino, Paolo Virzì si interessa ancora una volta al cinema corale, riuscendo nell’impresa per certi versi inaspettata e per altri invece più che attesa, ossia la realizzazione del suo miglior film. La coralità d’altronde è sempre appartenuta al cinema di Virzì, fin dai tempi di Ovosodo, La prima cosa bella e Il capitale umano, ciò che sorprende dunque di questo ultimo lungometraggio è l’approccio che Virzì adotta rispetto al genere d’appartenenza di Siccità e al modello cinematografico corale che gioca incessantemente con i toni della commedia, del dramma, del grottesco e della distopia. Risulta infatti piuttosto inusuale che un autore di cinema italiano si interessi al post apocalittico, perciò ecco che Siccità entra a gamba tesa raccontando di una Roma sempre più calda, desolata – e desolante – disperata e vittima di una aridità – morale e non – senza precedenti, infatti non piove da più di tre anni e la mancanza d’acqua rischia di condurre gli abitanti di Roma verso una caduta sempre più profonda verso il baratro della violenza perpetrata, della perdita del controllo, delle terre di nessuno e della fine del sentimento, dell’emozione e della morte.
In questa Roma arida e fotografata con toni seppia – curiosamente simile alla scelta estetica che si ha sempre del Messico all’interno del cinema americano moderno e non, a partire dal pluripremiato Traffic – si muovono dieci personaggi (quelli più importanti) estremamente differenti tra loro, seppur accomunati da un’evidente condizione morale ed emozionale, cioè la perdita. Ciascun personaggio ha subito un crollo, oppure ha detto addio ad una parte importantissima della propria individualità, tanto da divenire una sorta di presenza trasparente che tutto subisce e nulla sente. È così per il coraggioso, seppur gelido – apparentemente – medico, interpretato ottimamente da Claudia Pandolfi, ma anche per la moglie altoborghese – nonché cassiera al supermercato – infelice e perciò infedele (virtualmente, almeno) interpretata da Elena Lietti e ancora, la stessa riflessione vale rispetto al destino per certi versi tragicomico, e per altri dolcemente malinconico e grottesco del carcerato interpretato da Silvio Orlando.
Il dramma umano e la disperazione spietata e logorante che Virzì semina nel corso dell’intera narrazione, vengono spezzate da note dolci e tocchi di romanticismo realmente sporadici che permettono però allo spettatore di sorridere, tra una riflessione amara e una lacrima legata ad una visione così dura e moralmente corrotta di una realtà post apocalittica fin troppo simile alla nostra condizione attuale. Siccità è un grande film, gode di una scrittura ad otto mani (Francesca Archibugi, Paolo Giordano, Francesco Piccolo e Paolo Virzì) realmente spiazzante per quanto attenta all’analisi profonda e incredibilmente sincera dell’emozione e dell’intimità che ciascun personaggio a modo suo vive e nasconde, riflettendo poi quella dello spettatore che ritrovandosi senza via di fuga non può far altro che osservare e disperarsi e sorridere rispetto ad un mondo arido e corrotto così distante e al tempo stesso così vicino. Due gli elementi che dovrebbero spingere chiunque a vedere questo film in sala: l’interpretazione sonnambula e tristemente ironica di Valerio Mastandrea e la regia di Paolo Virzì, serratissima e dinamica da vero e proprio disaster movie, nonché blockbuster epidemico alla The Host (nel film c’è pure Bong Joon-ho). Mi sei scoppiato dentro il cuore…