Hellhole
2022
Hellhole è un film del 2022, diretto da Bartosz M. Kowalski.
Un prete irrompe in una chiesa con un neonato in braccio e un inquietante pugnale rituale. Lo posiziona sull’altare, lo spoglia rendendo visibile una stranissima voglia sul petto, pronuncia alcune frasi in latino e si appresta a pugnalarlo, quando viene fermato da alcuni agenti di polizia, anzi della milizia, che lo abbattono. Non è l’epilogo de Il presagio, cult di Richard Donner del 1976 che diede inizio al filone sull’Anticristo, bensì il prologo di Hellhole, horror soprannaturale Netflix di fattura polacca, diretto da Bartosz M. Kowalski. Dopo l’incipit, ambientato nel 1957, la vicenda si sposta nel 1987, in un monastero immerso nelle nebbie di una landa desolata nel cuore della Polonia, illuminato da sole candele perché privo di elettricità e allietato dalle urla di persone possedute, o semplicemente, a seconda dei punti di vista, afflitte da disagi mentali, che sono ospitate dai monaci. Nell’ameno luogo giunge padre Marek, un giovane frate esorcista, che il severo priore Andrzej introduce alle ferree regole che vigono nel cosiddetto “sanatorium”: dopo il tramonto si rimane nella propria cella, non si può uscire senza permesso ed è proibito comunicare con l’esterno.
In realtà lo scopo di padre Marek è indagare sulla scomparsa di 8 giovani ragazze che abitavano nella zona e che, stando alle voci che circolano, sono collegate al sinistro monastero. Seguiranno misteri, segreti e nefandezze varie. Se con il prologo Kowalski ci introduce in un’atmosfera soprannaturale, con precisi riferimenti cinematografici, poi il film si concentra su una detection che, in qualche modo, potrebbe far pensare a “Il nome della rosa”, per l’atmosfera del monastero totalmente isolato e per la presenza di un prete ficcanaso che investiga su eventi oscuri e terribili. Ma le cose si fanno fin da subito ben più raccapriccianti rispetto alla vicenda di Guglielmo da Baskerville, sia a causa di alcune visioni inquietanti che affliggono padre Marek, sia per via del misterioso e nauseante cibo che i monaci propinano durante i pasti. Per non parlare degli esorcismi che vengono praticati nella struttura e che non sono proprio una passeggiata. La sensazione che il film di Kowalski trasmette è dunque decisamente malsana, qualità resa anche grazie ai colori umidi e fangosi della fotografia, a cura di Cezary Stolecki, e ad un sound design inquietante, gravido di urla in sottofondo e rumori sulla cui origine sarebbe meglio non indagare.
Va detto che per buona parte Hellhole segue dei canoni narrativi piuttosto battuti, coniugando l’exorcism-movie con il thriller di investigazione religioso-monastica, come è stato visto fare molte volte. Ciò che spiazza e sorprende positivamente è la parte finale della pellicola che, da sola, ne risolleva le sorti. Nel momento in cui un certo rituale non va esattamente come previsto, il tono diventa imprevedibilmente grottesco e paradossale, per poi deflagrare in un finale che precipita lo spettatore in uno scenario apocalittico-escatologico davvero potente, in cui il tipico simbolo satanico della croce rovesciata assume una valenza figurativa concreta e inedita, che ha a che fare con il ribaltamento di prospettiva, a seguito degli eventi cataclismatici occorsi. Di più ovviamente non possiamo dire, se non che, in questo finale inaspettato e sconvolgente, abbiamo ravvisato felici tracce di quella narrativa lovecraftiana, che strappa lo spettatore/lettore dalle certezze della sua realtà quotidiana, dandogli la vertiginosa sensazione della terra venuta letteralmente a mancare sotto i piedi. Parliamo di quella peculiare modalità narrativo-visiva, tipicamente weird, rara nel cinema di oggi, che riconfigura totalmente il paradigma che, ingenuamente, crediamo stia alla base della nostra realtà.