Perpetrator
2023
Perpetrator è un film del 2023, diretto da Jennifer Reeder.
Jennifer Reeder ormai la conosciamo, o almeno dovremmo: regista indipendente americana, classe 1971, emersa in festival come Rotterdam e Sundance, ha come genere di elezione l’horror femminista. Lo dice spesso lei stessa, lo dimostrano i suoi titoli: Knives and Skin del 2017, tre studentesse in un college alle prese con la scomparsa di una di loro, Night’s End nel 2022, un Covid movie con Michael Shannon inchiodato nella casa dei fantasmi. Più numerosi corti e medi che paradossalmente sono migliori dei lunghi. Alla Berlinale 2023 è stato presentato l’ultimo Perpetrator, nella sezione Panorama forse per la storica difficoltà dei grandi festival a inserire gli horror in concorso (eppure Berlino si apre molto al genere). La protagonista è Jonny (Kiah McKirnan), una giovane nera presa nel mezzo dell’adolescenza, immersa nei pruriti del college. Jonny compie piccoli furti, come facevano le ragazze di The Bling Ring, e consegna il ricavato di nascosto al padre, un tipo strano che ha difficoltà a pagare l’affitto. Quando viene spedita dalla zia Hildie, un’impagabile Alicia Silverstone, avviene qualcosa di ancora più strano: la donna le prepara una torta per il diciottesimo compleanno, una ricetta segreta di famiglia, che pare proprio una torta al sangue. Dopo averla addentata, Jonny inizia a manifestare strani segni di metamorfosi: una sorta di morphing facciale che le cambia i connotati, e porta sgomento quando si guarda allo specchio. Intanto le capitano anche sanguinamenti dalla bocca e dal naso… Infine, nel college in cui è inserita, negli ultimi tempi si sono verificate sparizioni di alcune allieve. La cangiante Jonny insieme alle amiche vuole vederci chiaro.
Ancora ragazze e ancora il college: “Sì, è vero che giro sempre lo stesso film – confessa candidamente la Reeder -, del resto il coming of age è uno stato che dura tutta la vita”. Nella dinamica del racconto è fin tempo facile rinvenire la classica metafora dell’adoleselcenza: il tempo del cambiamento, qui letterale, nel senso
che Jonny muta davvero, e il tempo in cui si forma la personalità delle giovani, influenzata dal contesto sociale e dell’educazione. A tal proposito, esilaranti sono le lezioni anti-violenza che vengono impartite alle ragazze da un personaggio patetico, il quale spiega loro come restare mute e immobili in caso di aggressione (è più sicuro, dice) oppure a scappare il più veloce possibile per salvare la pelle. Ma Jonny e la sua cricca rifiutano la cultura della paura, hanno un loro pensiero, vogliono determinarsi senza blandire il triste predominio maschile. La parodia dei corsi sugli stupri è perfetta. Ma, ferma restando la posizione chiara, non è questa la forza del film, sta soprattutto nel meccanismo di genere.
Fin dall’inizio la regista tesse il suo discorso visivo centrato sul sangue: questo esce da vari orifizi, è sia letterale che simbolico (sanguinare per crescere e scegliere), si eleva al cubo in un “sottomondo” fatto di liquido vermiglio, viene valorizzato dalle inquadrate oblique che passano per l’effetto caleidoscopio, la moltiplicazione e la frantumazione dell’identità. Da sempre l’adolescente non sa chi è fino in fondo. Un film al sangue per trovare la strada. Un racconto che dopo la prima parte preparatoria allestisce un climax ed esplode nel finale, ovviamente sanguinario. Ci sono anche dei limiti: quelli di girare sempre lo stesso film, appunto, basato sugli stereotipi del teen movie e della queerness, dell’identità sessuale libera, c’è anche la scena lesbo. La sensazione narrativa è che a volte si metta troppa carne al fuoco, dal college al femminismo, dal queer al body horror fino allo splatter, bollendo tutto in un pentolone non sempre coeso. Anche così, però, il film resta molto divertente, la regista fuori dalle righe, il sangue scorre a fiumi.