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Still: La storia di Michael J. Fox

2023
Titolo Originale:
Still: A Michael J. Fox Movie
REGIA:
Davis Guggenheim
CAST:
Michael J. Fox (se stesso)

Il nostro giudizio

Still: La storia di Michael J. Fox è un film del 2023, diretto da Davis Guggenheim.

C’è un mignolo che si muove da solo. Un uomo che si sveglia nel suo letto dopo l’ennesima sbornia epica. Un piccolo sintomo, un minimo spasmo, un dito che non risponde alle indicazioni del cervello. Lui è Michael J. Fox, trent’anni, uno degli attori più famosi del mondo dopo il successo di Ritorno al futuro, siamo nel 1991 e la malattia è il morbo di Parkinson che produce i primi segni. Così si apre Still: La storia di Michael J. Fox, il documentario su Apple Tv di Davis Guggenheim, già Oscar per Una scomoda verità. Oggi Michael, all’età di 61 anni, accetta di mettersi in scena percorrendo la sua vita, la carriera e ovviamente il morbo di Parkinson che gli fu diagnosticato ormai più di trent’anni fa. L’intento è trasparente: “The story of me”, dice l’attore. Il cinema del dolore vanta ormai una lunga filmografia, sia documentaria che di finzione: si va da Lo scafandro e la farfalla di Schnabel su Jean-Dominique Bauby, giornalista paralizzato dall’ictus che scrisse la biografia muovendo solo la palpebra sinistra, fino al doc Val su Val Kilmer costretto all’afonia dal tumore alla gola. Il film su Michael J. Fox si colloca però in un altro territorio: qui la percezione del dolore viene stemperata dallo scetticismo dell’ironia.

Il regista segue il protagonista per due strade diverse: da una parte lo pedina nelle giornate mostrando, senza pudore né omissioni, tutte le difficoltà di movimento portate da decenni di malattia, tra cui quella principale nel camminare; dall’altra riprende Michael in inquadratura frontale, ce lo mette davanti, lo ascolta e interpella, è quindi lui a raccontare con estrema lucidità il senso della sua vita. Una vita che parte dall’infanzia, con un bimbo scalmanato che non sapeva stare fermo, condizione che per paradosso diventerà endemica a causa del morbo. Michael era un ragazzo dal bel viso ma di statura minuta, anche troppo, sistematicamente considerato più giovane della sua età, bullizzato a scuola da chiunque fosse più grande di lui, praticamente tutti. La salvezza è la messinscena: si distingue al corso di teatro, fino ad ottenere i primi ruoli e il provino decisivo per la sitcom Family Ties (in italiano Casa Keaton), dove recita nella parte di Alex e il successo gli arride, grazie ai tempi comici magistrali e alla capacità di evocare la risata. Da qui a Zemeckis il passo è breve. Dopo il ruolo immortale di Marty McFly inizia il gioco della fama: Michael è su tutte le copertine, riconosciuto, amato e invitato. Trova moglie nella splendida attrice Tracy Pollan, incontrata sul set della serie, che lo prende all’amo proprio perché non lo blandisce, risponde a tono e lo manda a quel paese, malgrado sia già una star planetaria. Un’unione felice che perdura anche oggi. Entra nel meccanismo della gloria che prevede eccessi, alcolismo, vita dolce. Ma presto giunge la nemesi, sotto forma della diagnosi di Parkinson giovanile. La video confessione di Fox che ricostruisce il percorso viene alternata alle sequenze dei suoi film, che dialogano acutamente con la storia che si va raccontando.

Dopo la scoperta della malattia il giovane inizia a nascondersi. Non dice nulla, gira film, assume pillole ad arte calcolandone l’innesco e la durata dell’effetto per sostenere determinate scene, in cui occulta il tremore passando un oggetto da una mano all’altra – rivedere le immagini col senno di poi lo rende evidente e fa una certa impressione. A un punto limite, però, è costretto alla presa di coscienza con sé e col mondo. Realizza di essere malato, non solo allo strato epidermico ma nell’intimo, comincia un percorso di cura che diventa tenace opposizione al morbo. Lo svela in televisione e finisce di nuovo sulle cover. Come nell’esplosione, ma stavolta per la resistenza. Continua a lavorare nei limiti delle possibilità, nel rinnovato affetto del pubblico. E trova l’antidoto al morbo di Parkinson: l’ironia. Da sempre dotato di notevole talento comico, Michael J. Fox affronta il dramma col sorriso, lo combatte a colpi di battute: “Da poco hai svelato al mondo di avere il Parkinson. Da allora come va?”, “Bene: ce l’ho ancora.”. Certo, a tratti la contingenza prende il sopravvento: solo alla fine, interpellato direttamente da Guggenheim, ammette la profondità della sofferenza. Adesso l’ex attore ogni giorno si esercita nella mobilità, cercando il migliore risultato possibile, assistito dalla vasta famiglia. Rifiuta lo scafandro del corpo. Quando poi cade, dopo aver salutato una fan per strada, si gira e commenta: “Signora, lei mi ha steso”. Il film è una lezione di anti-commiserazione davanti alla malattia e alla morte. Pensiamo di piangere, finiamo per ridere. E anche oggi la Nera Signora deve ripassare domani.