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21 Days Until the End of the World

2023
REGIA:
Teona Strugar Mitevska
CAST:
Teona Strugar Mitevska (Donna)

Il nostro giudizio

21 Days Until the End of the World è un film del 2023 diretto da Teona Stugar Mitevska.

Passato ingiustamente in sordina nel tam-tam social sui film di Venezia80, spicca invece come evento speciale nella sezione parallela delle Giornate degli Autori il nuovo film della regista macedone Teona Strugar Mitevska, 21 Days Until the End of the World. L’autrice si era già imposta a livello internazionale con il coraggioso film Dio è donna e si chiama Petrunya (2019), dove sbeffeggiava il patriarcato religioso occidentale in favore di una rivoluzionaria figura femminile. Nel suo nuovo film ci sono ancora una donna come figura centrale (anzi, quasi unica in questo caso), un lavoro particolare sul linguaggio cinematografico, e il coraggio di mettere in scena un film sperimentale che dà uno schiaffo allo spettatore. Protagonista è una donna anonima, interpretata dalla stessa Mitevska (anche autrice della sceneggiatura, dunque autrice a tutto tondo), la quale scopre – non sappiamo bene per che motivo – che le restano esattamente 21 giorni da vivere. Dunque, 21 giorni al termine della propria vita, che sono poi 21 giorni al termine del mondo stesso. Cosa fare in questo esiguo tempo rimanente? Come affrontarlo? Il film segue, come in un flusso di coscienza, le azioni e i pensieri quotidiani della donna, dai più banali ai più intimi ai più insoliti, fino all’inesorabile destino. Secondo le dichiarazioni della Mitevska, l’idea del film nasce durante il Covid: la paura, la morte vista da vicina, l’incertezza sul futuro, hanno spinto la regista a interrogarsi sulla fragilità umana, sull’aldilà (ammesso che ne esista uno, afferma Teona), e di conseguenza a mettere in scena qualcosa che esorcizzasse un po’ la paura.

Da qui, l’idea geniale di 21 Days Until the End of the World, basato sul conteggio di 21 giorni corrispondenti a 21 riflessioni quotidiane sulla sua esistenza. Il film non è ascrivibile a un genere preciso: è un dramma, sì, ma narrato come uno streaming of consciousness in prima persona, con la protagonista che si rivolge direttamente allo spettatore attraverso lunghi monologhi. Un voluto stravolgimento del linguaggio cinematografico che spiazza e seduce, guardando un po’ al documentario e un po’ al teatro ma anche alla video-arte, e portando idee innovative al cinema. Lo stile adottato dalla Mitevska è sperimentale, diretto, asciutto, quasi brutale in certi momenti, con dialoghi rivolti allo spettatore o meditazioni fra sé e sé, e riprese che alternano sequenze con scenografie studiate e una fotografia pulita, ad altre messe lì quasi per caso (ma solo in apparenza): cinema che si fa teatro e (falso) documentario, ma anche viceversa. E anche il riferimento alla video-arte non è casuale, poiché ogni giorno è introdotto dal rispettivo numero ma soprattutto da scritte in sovraimpressione esprimenti i pensieri della regista di cui dicevamo, frasi rese graficamente (così come il titolo) da caratteri grandi scritti in maiuscolo e tutto attaccato, con gli “a capo” casuali: come a volerci confondere ulteriormente le idee, in un universo (anti)narrativo già di per sé confuso. Quello di Teona Strugar Mitevska è un corpo parlante: non è truccata, non indossa vestiti particolari, è una donna di tutti i giorni, una donna comune ma che proprio nel suo essere comune trova le fondamenta di una bellezza particolare, non priva di contorni erotici. A cominciare dall’inizio, quando – dopo la comparsa di un’ignota figura femminile coperta da un’enorme e mostruosa maschera (uno dei vari e misteriosi personaggi che incontriamo) – la protagonista inizia a parlarci di un sogno che ha fatto.

Un sogno dove incontra un uomo al quale chiede di essere scopata da dietro (ma “nella figa, non nel culo”, specifica), prima di finire entrambi vittime di un incidente. Non sempre la donna è inquadrata in volto, ma lo è ad esempio quando si masturba sul letto, coi piedi in primo piano, piegata su un lato e la mano in mezzo alla gambe, con gemiti di piacere. E ancora i piedi sono protagonisti di una splendida e iconica scena, dove la Mitevska parla incessantemente seduta su una sedia, coi piedi appunto in primo piano e appoggiati sul tavolo. Non sono i piedi perfetti di Margot Robbie in Barbie, anzi sono anche leggermente sporchi, ma è ancora il fascino della donna comune a colpire e sedurre – come quando è inquadrata di pancia o mentre fa ginnastica, con un filo di cellulite. 21 Days Until the End of the World non è un film erotico, ma è innegabile che in certi momenti l’erotismo faccia capolino con una certa forza. Del resto, i discorsi stessi sulla vita e sul mondo sono seducenti, complice la voce della Mitevska: gli argomenti trattati sono i più disparati possibili, e si passa dall’uno all’altro senza nessi di causa ed effetto, tra monologhi sulla vita e la morte, fino al riscaldamento globale, i cambiamenti intellettuali e i mutamenti del mondo. Certo, non mancano momenti di stanchezza e persino di noia, quando la regista si perde nel filmare paesaggi innevati o distese floreali, ma la potenza del film è incredibile: così come è pazzesca la freddezza che la protagonista dimostra in certi momenti nell’affrontare i suoi ultimi 21 giorni, un distacco che esplode però in un monologo disperato su quello che le sta per accadere. Trattasi di un film tanto di parole quanto di immagini iconiche, dove la Mitevska immortala sé stessa magistralmente: la masturbazione, la scena dove lei finge di essere crocifissa, fino alla morte (Eros e Thanatos), che sopraggiunge con uno stridere assordante di suoni e una mimica facciale potente.