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Sick of Myself

2022
Titolo Originale:
Syk Pike
REGIA:
Kristoffer Borgli
CAST:
Kristine Kujath Thorp (Signe)
Erik Sæther (Thomas)
Fanny Vaager (Marte)

Il nostro giudizio

Sick of Myself è un film del 2022 diretto da Kristoffer Borgli.

L’ossessione e in particolare l’ossessione per il successo e per l’essere al centro dell’attenzione, è quello che viene messo in scena nel nuovo film di Kristoffer Borgli, Sick of Myself (Syk Pike, in originale norvegese), presentato in concorso nella sezione Un Certain Regard all’ultimo Festival del cinema di Cannes. Si tratta dell’opera seconda del giovane regista norvegese, classe 1985, che pare aver suscitato l’interesse americano, visto il che il suo terzo film, Dream Scenario, prodotto da Ari Aster e  in distribuzione da A24, avrà come protagonista Adam Sandler. Ed è, infatti, proprio dagli Stati Uniti che viene l’ispirazione per Sick of Myself con al centro una questione così emblematica nella società occidentale. In un’intervista alla rivista Filmmaker, Borgli ha infatti dichiarato che un viaggio a Los Angeles è stato particolarmente influente per la stesura del soggetto: avendo incontrato proprio lì molti più individui con tratti di opportunismo e di narcisismo di quanto gli fosse accaduto in Norvegia. Al centro della vicenda troviamo, appunto, una coppia piuttosto disfunzionale, con caratteristiche di questo tipo. Una è Signe (Kristine Kujath Thorp), una barista che parla sempre e soltanto di sé stessa, spesso in termini menzogneri, con un impellente bisogno di trovarsi al centro dell’attenzione; l’altro è Thomas (Erik Sæther), ossessionato dal successo e dall’autorappresentazione, che nel rimaneggiamento di utensili da lui stesso rubati, ha trovato una forma d’arte, che lo rende tra i più rinomati creativi del Paese.

Il film si apre proprio con una scena a dir poco assurda. Thomas e Signe decidono di rubare, su un cleptomane suggerimento di lui, una costosa bottiglia di vino in un ristorante di Oslo e arrivano a litigare circa la versione da raccontare dell’accaduto. Le situazioni patologiche messe in scena sono, dunque, molteplici, ma progressivamente si riconosce una singola protagonista e le sue ossessioni, in particolare per le bugie e per il vittimismo. L’obiettivo della ragazza è, infatti, suscitare la compassione di tutte le persone con cui parla. Un interessante montaggio, con tagli netti tra numerose scene, ne mette in luce la continuità del comportamento, che diventa sempre più assurdo. Si passa dall’esagerare l’importanza del proprio intervento, quando una donna viene attaccata dal morso di un cane, che, secondo una narrazione mitomaniacale, avrebbe portato al salvare la vita di quella stessa donna, all’abuso di un fantomatico farmaco. Signe, infatti, persuasa dalle immagini, trovate sul web, degli spaventosi effetti collaterali di questo ansiolitico chiamato Lidexol (per altro, oggetto di una curiosa campagna promozionale del film sul web, con tanto di sito e pagina Instagram), che porta a una deturpazione del volto (introducendo immagini da body horror), decide di assumerlo al solo fine di ottenere l’attenzione altrui, potendo così simulare una rara malattia senza cura.

A tutto ciò si collegano satiriche e irrealistiche raffigurazioni del mondo della moda e dei media, che concedono grande spazio alla storia falsata di Signe. Ciò che emerge, oltre alla delirata caratterizzazione della protagonista, è una rappresentazione aberrante della vita di coppia dei due. In questo mondo deformato di amanti che si ostacolano tra di loro, non c’è molto spazio per l’affettività. Lo stesso rapporto sessuale assume una connotazione completamente capovolta e diventa allucinata immaginazione, condivisa, di morte, in particolare del funerale della ragazza. Borgli costruisce, quindi, un film sarcastico, spietato e senza alcuna speranza. La cruda e cinica ironia, tipica di un dark humour spesso sperimentato nel cinema scandinavo degli ultimi anni (si trovano tematiche simili, e un simile modo di affrontarle, nel cinema di Östlund) ottiene supporto da una regia molto poco coinvolta e di conseguenza eccessivamente giudicante, che emette dure sentenze morali, senza la minima compassione. Ciascuno è libero di scegliere se si tratti di difetto o pregio. Il senso di pietà emerge solo nell’ultimo atto, in maniera piuttosto contraddittoria, con un commovente e banale inno alla vita, da parte di colei che si è resa artefice della sua stessa malattia.