Il paese del melodramma
2023
Il paese del melodramma è un film del 2023, diretto da Francesco Barilli
Parlando del terzo lungometraggio (e mezzo) del parmense Francesco Barilli, Il Paese del Melodramma (2023), viene da chiedersi: perché l’opera lirica è così spesso, nella letteratura e nel cinema, associata al concetto di paura? Difficile dirlo con chiarezza, forse perché l’opera racconta quasi sempre qualcosa di tragico, dunque qualcosa che ha che fare con l’idea di sofferenza e di morte. E proprio la Triste Mietitrice è la vera protagonista del nuovo film di Barilli, che dopo i thriller Il profumo della signora in nero e Pensione paura – e il grottesco episodio Le chiese di legno del collettivo La domenica specialmente – si misura di nuovo con il cinema. Questa volta, per via dei tempi mutati, lo fa all’interno di un sistema più indipendente (fino a un certo punto però, poiché fra i produttori c’è anche la Rai), ma mantenendo quasi immutato il suo tocco pittorico ed evocativo, in una vicenda suggestiva e inquietante che si muove fra il dramma e l’horror. Scritto dallo stesso Barilli insieme a Nicola Tasso, si svolge a Parma e ha come protagonista Carlo Gandolfi (Luca Magri), un celebre cantante lirico caduto in disgrazia dopo la morte della moglie e della figlia. Distrutto dal dolore, l’uomo ha annegato questo strazio nell’alcool, finendo col rovinarsi la vita e la carriera. Una sera, mentre è a casa è sta per scopare con una ragazza formosa conosciuta in un bar, vede la Morte (Luc Merenda), insieme ai fantasmi della donna e della bambina. La Morte gli intima di esaudire il suo desiderio, cioè cantare il Macbeth per lei (opera maledetta per eccellenza): gli concede un po’ di tempo, dopo di che, in caso di fallimento, lo ucciderà. Inizialmente, egli crede di avere a che fare con un’allucinazione, ma i segni premonitori si ripetono, per esempio attraverso la visione di un serpente che fuoriesce dalla bocca di una donna. Carlo inizia a disintossicarsi per riprendere a cantare e assecondare così la Morte, che lo aiuta uccidendo il suo concorrente: il baritono torna a esibirsi, ma è inutile dire che la tragedia è dietro l’angolo.
Il Paese del Melodramma era anche il titolo di un saggio del 1930 di Bruno Barilli, zio del regista e famoso critico d’arte (sua è la macabra citazione da una poesia nell’incipit del film): e, pur non essendoci nessun rapporto fra le due opere, entrambe fanno riferimento a Giuseppe Verdi e a Parma, la loro terra di origine, per cui il nuovo film di Francesco Barilli è una pellicola al contempo epicorica e universale. Epicorica perché legata al folklore e alla tradizione della sua terra natia (la figura di Verdi, il Teatro Regio, il cimitero, il gusto per certe figure grottesche), universale poiché tratta temi trasversali all’Uomo, e ben sviscerati nella sequenza del dialogo di Carlo, nel Duomo di Parma, con un sacerdote (interpretato da Davide Pulici, con particolare calore ed espressività facciale). Innanzitutto, il rapporto dell’uomo con la Morte, che secondo il prete fa parte della vita (cita San Francesco, che per evidenziarne la vicinanza la chiamava addirittura “Sorella Morte”), e la necessità di coltivare il proprio talento – ma c’è anche un’interessante visione di come, dentro una chiesa, il confine fra il naturale e il soprannaturale sia sottile, e l’interpretazione del serpente come il Diavolo. Il Paese del Melodramma è un film fatto più di atmosfera che di trama ed è un film che va vissuto a pelle ma anche spiritualmente: non un banale horror, anzi, forse più, un dramma mistico.
Barilli, che è anche un rinomato attore (lo ricordiamo in Prima della rivoluzione di Bertolucci) e che compare nel ruolo significativo del padre di Carlo, è un pittore, per cui sa rappresentare visivamente le immagini con un gusto evocativo non comune. In particolare, colpiscono le sequenze al cimitero, inquadrato da varie prospettive e accompagnato da diverse arie liriche di Verdi (reiterate in tutto il film), con la “Signora in nero”, che ricorda quella del suo primo film e si rivela come la Morte, la quale parla direttamente allo spettatore. Ma pensiamo anche alla Morte – un grandissimo Luc Merenda, con lunghi capelli grigi, veste nera e falce – che si rivolge al monumento a Verdi. Oppure al sogno della dipartita del padre, con il nano che porta una ghirlanda di fiori in soffitta, e la suddetta scena nel Duomo. Fino alla conclusione al Teatro Regio di Parma (quello di Opera di Dario Argento, anch’esso incentrato sul Macbeth e sulla sua presunta maledizione), dove la Morte si manifesta in una luce verde suspiriana e Carlo indossa, come per magia, il costume di scena. Certo, non mancano momenti troppo artificiosi, come le due foto della lapide che si animano e parlano al protagonista, ma questo non inficia il buon risultato, compresa una conclusione a metà fra il commovente e l’inquietante, con Luc Merenda che seduce un nuovo adepto.