I prequel del Presagio

Sono due film distinti, ma sono lo stesso film

I prequel del Presagio: Omen – L’origine del Presagio e Immaculate

Nella scena più bella del Presagio, Gregory Peck e David Warner si portavano in un vecchio cimitero nei pressi di Cerveteri, alla ricerca della tomba della vera madre del figlio che Peck aveva adottato in fasce, cioè Damien, la progenitura del Diavolo. La individuavano, in un ambiente ricostruito in studio, al dilucolo, sotto un cielo livido che era tra le cose che più colpivano in quel contesto. La lapide recava la dicitura “Maria Scianna” e accanto ad essa un’altra tomba, con l’iscrizione “Bambino Scianna”. Aperto, il sepolcro della madre rivelava i resti di uno sciacallo. Quello del figlio, lo scheletro di un infante con il cranio fracassato. Il vero bambino dell’ambasciatore Thorn, ucciso alla nascita affinché venisse scambiato con l’Anticristo. Nel romanzo di Seltzer, il nome dello sciacallo era Maria Avedici Santoya, comunque sempre di ascendenza latina (e nell’orrendo remake di The Omen del 2006 usarono il nome originale). Questo era quanto si sapeva e il poco che si sarebbe continuato a sapere nel prosieguo della saga circa le origini prime di Damien e della sua nascita dal grembo di una bestia. Fino a oggi, quando The First Omen (da noi come Omen – L’origine del presagio), giunge a raccontarci tutto il pregresso rimasto occulto, ciò che era accaduto avanti che in quella lugubre tomba venisse gettata la carcassa dello sciacallo fecondato dal seme del Maligno. Ragioniamo di un film, appunto The First Omen, diretto da Arkasha Stevenson e sceneggiato dalla stessa con Tim Smith e Keith Thomas, su soggetto di Ben Jacoby. Ma ragioniamo anche di un secondo film, Immaculate, con la regia di Michael Mohan e sceneggiatura firmata da Andrew Lobel. Perché, per uno scherzo che si sarebbe fortemente tentati di chiamare diabolico, entrambi – diffusi pressoché in contemporanea – raccontano esattamente la medesima storia. Non si tratta di analogie, né di coincidenze date dall’utilizzo di ingredienti, diciamo così, pressoché identici. Ma è lo stesso film, un film ancipite, se proprio vogliamo, con due teste che sbocciano da un unico corpo. La prelazione nelle riprese spetta a quello della Stevenson, a The First Omen, girato da settembre a novembre del 2022, mentre Immaculate è stato fatto all’inizio del 2023, da febbraio. Sia l’uno sia l’altro hanno come protagonista una giovane americana in procinto di prendere i voti e farsi suora. Atterra a Roma e trova sistemazione in un monastero-orfanotrofio/ospedale, dove tira aria strana, tra atmosfere molto decontracté che circolano tra le pari-grado in attesa di farsi spose di Cristo e refoli mistico-fanatici delle già consacrate al Signore.

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Immaculate

Ovviamente, sono della partita sacerdoti e alti prelati, nel senso che sia di qua sia di là c’è un prete giovane e un monsignore anziano nel focus, in riferimento alla protagonista. E altrettanto ovviamente, è in atto – anzi, meglio: serpeggia – un disegno nascosto, posto in essere nel luogo, da un gotha ecclesiastico, che ha come scopo ultimo quello di richiamare alla fede le masse che vi si stanno pericolosamente allontanando (i due racconti sono temporalmente collocati in epoche diverse, The First Omen all’inizio degli anni Settanta, Immaculate nell’oggi, ma ciò non sposta una virgola: la fuga dalla fede, cioè dalla Chiesa, è come il nero e va bene su tutto e sempre). Lo strumento di tale piano è una maternità portentosa, un ricettacolo femminile che dia la vita a un essere rivoluzionario, con il potere di ricondurre i greggi smarriti all’ovile: e poco importa se si tratti di un novello Cristo, messo al mondo da una vergine (Immaculate) o dell’Anticristo, che in The First Omen non sorte più fuori dalla pancia di uno sciacallo, ma, tramite un cesareo, da quella della protagonista. Per incidens, è tutto poi da stabilire se il frutto di un ventre illibato, in Immaculate, sia davvero Cristo o il suo opposto, poiché la faccenda è volutamente mantenuta ambigua. Se tutto questo non bastasse, ma basta, c’è poi il lungo iter di esperimenti e di tentativi che la compagine clerical-demiurgica da tempo ha messo in atto per raggiungere l’obiettivo: prove su prove, sempre fallite e che ora invece hanno attinto lo scopo ultimo, grazie alla ricettività delle protagoniste, fecondate con la scienza o scopate da Satana. 

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Omen – L’origine del presagio

Si può stare a spaccare il capello, dettagliando e specificando, su Immaculate e The First Omen, che lì c’è questo e là c’è quell’altro a distinguere, ma in simile caso il Diavolo smentisce la propria nomea di celarsi nei dettagli e Lucifero corrobora, invece, la suggestione della proverbiale coincidenza. Non ho alcuna idea se alla base ci siano magagne insondabili, copioni che girano e alimentano stesse idee, ma anche un cieco capisce che un qualche tratto di unione dovette esistere, all’origine dell’origin-story del Presagio, allungatosi verso Immaculate. Domanda delle domande: quale dei due è meglio? E anche qui tocca esprimere un giudizio interconnesso. Tutta la prima parte di Immaculate è di gran lunga migliore rispetto a The First Omen, molto dipendendo anche dal fatto che Sidney Sweeney, Sister Cecilia, ha un aspetto angelico e mite, ben reso dall’attrice, che vince a petto di come Nell Tiger Free delinea Margareth nel prequel. Certo, il film della Stevenson ha dalla sua la riproposizione fin dall’incipit della figura di Padre Brennan (Ralph Ineson), colui che nel futuro cinematografico della saga, nel film di Richard Donner, interpretato da Patrick Troughton, sarebbe morto impalato su una sbarra di ferro piovuta dal cielo in un temporale (il prequel strizza l’occhio a quella fine tranciando a un altro prete parte della nuca, sempre mercé un medesimo oggetto acuminato: effetto così così). Si attendeva, poi, al dunque come sarebbe stata risolta la faccenda “Scianna”: era o non era uno sciacallo? Non lo era, ci rivelano, ma una ragazzina, che Margareth trova nell’orfanotrofio: il nome cambia da Maria a Carlita (la interpreta tal Nicola Sorace) e sebbene tutti siano convinti che sia lei il vas d’elezione della prole del Maligno, trattasi di una red herring, poiché, appunto, sarà Nell Tiger Free la destinata a ospitare in sé il seme malvagio, come rivela il marchio del triplo 6 che porta nascosto tra i capelli (come Damien), Carlita non essendo che uno dei tentativi falliti in passato di generare il ricettacolo dell’Anticristo (lo si apprende da uno schedario dove i complottardi hanno registrato i risultati dei loro esperimenti: faccenda che sarebbe anche suggestiva, ma è risolta in maniera veloce e confusa).

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Immaculate

The First Omen alza la testa nella seconda parte, quando la smettono di giocherellare con Margareth e una compagna (Maria Caballero) che, in attesa di prendere il velo, si vestono da zoccole per andare a ballare in discoteca in cerca di uomini, e ci si concentra sul mito della saga, cioè su quello per cui un film del genere avrebbe senso di esistere. In Immaculate, il tema della libertà di costumi interna al monastero è risolta più discretamente, con una novizia che al massimo fuma qualche sigaretta e lancia qualche moccolo. Il prequel non regala che un paio di morti sostanziose, uno è il prete di cui sopra con la nuca scavata da una lancia e l’altra è Suor Angelica, Ishtar Currie-Wilson (che pare una sosia di Mia Goth), la quale si immola per Carlita, coram populo, nella stessa identica maniera in cui nel Presagio Holly Palance compiva sacrificio di sé in onore di Damien: lanciandosi nel vuoto con un cappio al collo (con l’aggiunta che, prima, la vittima in The First Omen si dà fuoco: e questo non è male). In Immaculate merita invece rilievo una scena in cui all’equivalente della Caballero dell’altro film, siccome è troppo ciarliera e sa troppo, le superiore mozzano la lingua con modalità da Santa Inquisizione. 

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Omen – L’origine del presagio

Come va a finire? In Immaculate, la vergine sgravatasi del feto, ammazza un po’ di infami (con notevolissima efferatezza: spicca la faccia sfondata di una madre superiora), mette in fiamme il laboratorio-atanor con dentro tutti gli aborti dei parti andati male e quindi scappa con il figlio, che nell’ultima scena si accinge ad ammazzare con una sassata (se poi lo farà davvero, come già detto). Margareth, invece, montata dal Diavolo in un Sabba (dove avrebbero dovuto contentarsi della bella idea di evocare il Male con un ragnetto che formicola sul ventre nudo della donna, e invece no, perché sentono la necessità di aggiungerci due manone con gli unghioni, a beneficio degli imbecilli che amano ‘sta roba), in men che non si dica ha il ventre gonfio, da cui le estraggono una placenta che racchiude (sorpresa) due corpicini: quello di un maschio e quello di una femmina. I cattolici-satanisti (c’è pure Sonia Braga là in mezzo) si tengono il bimbo per portarlo a Gregory Peck, e danno alle fiamme il resto, dopo avere accoltellato Margareth. La quale, però, grazie a Carlita, scampa insieme alla figlia femmina e va a vivere da qualche parte tra le nevi, armata di fucile. Lasciamo perdere le stupidate sul valore politico del film della Stevenson (i cortei con quattro scappati di casa che capottano auto della polizia), la quale è anche brava come regista, ma ha il cattivissimo gusto di mettere in discoteca canzoni ignobili della ignobile Carrà, quale segno del tempo. Dunque, come summa in extremis, fate come Emerenziano Paronzini in Venga a prendere il caffé da noi, che da tre mele marce, sezionando la polpa sana ricavava un mela intera commestibile: vedetevi a seguire il prequel del Presagio e Immaculate e da entrambi pigliate il meglio.