Intervista a Rupert Everett: della morte, dell’amore, del cinema
Il cult di Michele Soavi, il cinema gay, Oscar Wilde, i progetti futuri
Una carriera da celebrare e almeno un paio di anniversari importanti da ricordare: la consegna del premio Stella della Mole alla carriera che il Museo Nazionale del Cinema di Torino ha assegnato nell’ambito del Lovers Film Festival, dedicato al cinema LGBTQI+, all’attore britannico Rupert Everett è stata l’occasione per ascoltarlo parlare del suo lavoro, di alcuni suoi film entrati nel mito e del suo presente. “Per fortuna la sensibilità verso il tema dei diritti della comunità è molto cambiata in questi ultimi anni”, ha commentato alla cerimonia di premiazione.
Un premio alla carriera importante, che arriva in occasione del quarantennale di una pietra miliare del cinema a tematica omosessuale, Another Country di Marek Kanievska (autore anche di Al di là di tutti i limiti da Bret Easton Ellis), che fu anche il vostro esordio nel cinema e che il festival ha riproposto in sala.
Ricordo bene quel set, era il mio primo lavoro nel cinema e sono stato molto fortunato a poterlo fare: sono ancora oggi amico con tante delle persone che ci hanno lavorato. Avevo fatto un provino per essere nello spettacolo teatrale scritto da quel grande autore che è Julian Mitchell, che ha avuto uno straordinario successo: all’inizio sembrava che dovesse farne un film Alan Parker, ma poi è saltato tutto e allora noi che portavamo avanti la pièce lo abbiamo fatto insieme. Il mio era davvero un grande ruolo, mi ha dato tante opportunità quando ero molto giovane (e le ha date a molti altri attori della mia generazione, a Colin Firth che è con me nel film ma anche a Daniel Day Lewis e Kenneth Branagh che presero il nostro posto a teatro). Marek era magnifico come regista, sfortunatamente ha fatto solo quattro film e poi ha cambiato vita, ora credo faccia windsurf in Cina! Non so perché scelse di raccontare questo tema, è il suo unico a tematica omosessuale, ma ha fatto un lavoro fantastico, ha parlato a tantissime persone. Sono contento di poterlo rivedere, non lo faccio dagli anni Ottanta: quando commuovi il pubblico con un film come riuscì a fare questo è importante, è davvero magico avere queste possibilità nella vita.
Proprio guardando al cinema Another Country pare che Tiziano Sclavi ebbe l’illuminazione: il suo volto doveva essere quello di un nuovo personaggio che aveva appena creato, Dylan Dog. In questi giorni ricorre anche il trentennale di Dellamorte Dellamore di Michele Soavi, anch’esso fortemente legato a quel mitico fumetto.
Amo molto Dellamorte Dellamore, è incredibile, secondo me è la migliore trasposizione mai fatta di un fumetto, molto meglio anche del Dick Tracy di Warren Beatty. Credo che Michele sia un regista meraviglioso, così come lo è Gianni Romoli che lo ha scritto con lui. Ma anche gli effetti speciali erano incredibili, tutti fatti artigianalmente da Sergio Stivaletti: è uno tra i film che ho fatto che mi è piaciuto al 100%! È difficile portare al cinema una storia del genere, mi sarebbe piaciuto tornare a recitare in quel ruolo. Mi ha fatto sempre molto piacere vedere il mio viso sul personaggio di Dylan Dog, anche se sono dispiaciuto di non aver mai conosciuto di persona Sclavi.
Il film di Soavi è stata anche un’occasione per vederla lavorare in Italia: che legami ha con il nostro cinema?
Sono molto triste di non lavorare più spesso nel cinema italiano: avevo amato moltissimo la sceneggiatura del film Finalmente l’alba di Saverio Costanzo e volevo tanto farlo, ma il regista alla fine ha scelto Willem Dafoe per quel ruolo. Mi è molto dispiaciuto.
L’omaggio del Lovers Film Festival comprende anche la proiezione del documentario da lei narrato The Scandalous Adventures of Lord Byron di Michael Wildman.
Ho sempre avuto una fascinazione per Byron, credo sia il personaggio più romantico della storia! Era un antesignano delle rockstar: la sua vita a Londra fu molto eccitante, oggi un tipo come lui avrebbe dei problemi, sarebbe cancellato perché faceva sesso con il suo valletto. Per gli standard di oggi non era certo una brava persona… Nonostante il suo aspetto, i suoi difetti fisici, la sua zoppìa, è stupefacente pensare come riuscisse a risultare così attraente. Poi Byron si è molto innamorato di un ragazzo senza essere minimamente corrisposto, fu orribile ma nonostante ciò gli dedicò la sua ultima poesia: è stata una fine molto triste, la sua,
Non è la sua prima volta qui al Lovers Film Festival di Torino: era già stato ospite nel 2018 per presentare il suo primo, e finora unico, lavoro da regista, The Happy Prince – L’ultimo ritratto di Oscar Wilde. Non le piace il lavoro dietro la macchina da presa?
Ho bei ricordi di quell’esperienza, era solo il secondo posto dove veniva proiettato. Sono stato felice di portarlo qui perché è un festival pieno di amici: mi piace fare il regista, ora ho un progetto e sono alla continua ricerca di soldi per riuscire a realizzarlo, spero di farcela al più presto ma non voglio parlarne troppo… sarebbe una cattiva idea, dover dire un giorno che non è stato ancora girato per mancanza di fondi non sarebbe per niente carino: trovo interessante parlare solo dei film che vengono realizzati. Il mio più grande rimpianto è che prima dei 50 anni non mi sono sentito pronto a esordire alla regia, se fossi stato più giovane avrei potuto farne molti di più! Ci sono voluti dieci anni per trovare i soldi per il mio primo film, ora li cerco da cinque per questo secondo: ho già 65 anni e vorrei riuscire a battere il primo ciak prima dei 70, non vorrei essere troppo vecchio… dire “Azione!” a quell’età non sarebbe proprio il massimo, probabilmente mi verrebbe un infarto subito dopo averlo pronunciato.
Tra i tanti colleghi registi con cui ha lavorato in carriera, con chi tornerebbe più volentieri a collaborare, se potesse scegliere?
Lavorerei sicuramente volentieri di nuovo con Ridley Scott, con cui ho appena girato Napoleon: è stata un’esperienza bellissima, lui realizza film enormi in cui avviene tutto molto velocemente, per stargli dietro devi essere davvero molto reattivo. Ma mi sono trovato bene anche con altri, come Tim Burton, Andrej Konchalovsky, che è molto simpatico, Paul Schrader… Purtroppo ho avuto problemi invece con Mike Newell, con cui ho girato Ballando con uno sconosciuto: ci odiavamo a vicenda, alla fine ci siamo anche mandati a quel paese. Dopo mi ha distrutto dicendo in giro che non si poteva lavorare con me (e un po’ aveva ragione), è stato un vero peccato però perché poi ha girato Quattro matrimoni e un funerale e avrei voluto tanto farlo.
Dopo tante domande sul suo passato, uno sguardo al presente e al futuro: che rapporto ha con se stesso oggi e su cosa sta lavorando?
Non mi piace guardarmi allo specchio, da giovane ero ossessionato dalla mia immagine ma a un certo punto ho detto basta: ne sono consapevole, devo molto della mia carriera al mio aspetto fisico. Ora come passo il tempo? Vivo con mia madre in un paesino del Wiltshire, in Inghilterra, lei ha 92 anni. Ci sto bene, anche se gli inverni da noi sono piovosi e un po’ tristi, da novembre in poi qui si allaga sempre tutto. Lavoro quando posso, al cinema o a teatro, poi scrivo, esco con i miei cani (si chiamano Pluto e Harry, sono un labrador e uno spaniel), leggo, posso dire che sono felice. A 65 anni non sono più timido, a questa età si è troppo vecchi per esserlo. In questo periodo sono sul set di “Wagner in Venice” di Daniel Graham, a Venezia, sugli ultimi anni di vita del grande musicista.