Lucas e Coppola: eterni amici e rivali
Storia di due giganti che si ritrovano al Festival di Cannes 2024
Giugno 1967: ci troviamo sul set di un film negli studi della Warner, un musical che non interessa granché a nessuno, intitolato Sulle ali dell’arcobaleno. Il regista, un uomo non molto alto, grosso e barbuto, nervoso ma dal grande carisma, spara ordini a destra e a manca. Un ragazzo mingherlino, con camicia a quadri, barbuto anche lui, con gli occhiali, dallo sguardo intenso, osserva con attenzione. Il regista sulle prime non lo nota. Poi, vedendolo girovagare di continuo sul set, lo avvicina e gli chiede “Ciao, visto qualcosa di interessante?”. Il mingherlino a quadri risponde: “Non granché”. Fu questo il primo emblematico approccio tra Francis Ford Coppola, che già dirigeva il suo quarto Feature Film (film professionale) e il poco più giovane (di 5 anni) George Lucas.
Vista la storica compresenza, quest’anno al festival Cannes, dei due vecchi amici e rivali, Coppola per presentare Megalopolis (progetto immaginato e accarezzato per quattro decenni), Lucas per ricevere una meritatissima Palma d’onore alla carriera, ci sembrava giusto ripercorrere, a grandi linee, la genesi della loro burrascosa amicizia, nonché sottolineare le loro modalità, così antitetiche, di essere cineasti. Tale rapporto si potrebbe riassumere in una relazione Maestro-Allievo, dove però il Maestro è in questo caso irruente e incontenibile, oltreché geniale e carismatico, mentre l’allievo è più contemplativo e introverso, ma animato da ferrea volontà. L’esatto opposto della tipica coppia archetipica Maestro-allievo che troviamo in tante narrazioni, come per esempio in molti film di Akira Kurosawa, cineasta venerato da entrambi i protagonisti di questa nostra storia. Per usare termini vicini a Star Wars, si potrebbe dire che Coppola sia stato per Lucas una figura a metà tra un Maestro Jedi (per il carisma, l’intuizione e la fiducia nelle capacità dell’allievo) e un oscuro Signore dei Sith, per la scaltrezza e una certa attitudine ad usare le persone, parti integranti del carattere del giovane Coppola che faceva a gomitate per entrare nell’industria cinematografica.
Torniamo dunque al Giugno 1967, sul set di Sulle ali dell’arcobaleno. Di lì a poche settimane le cose non migliorarono. Il giovane Lucas, avendo studiato cinema alla USC, faceva uno stage pagato con una borsa di studio presso gli studi della Warner e, dopo due settimane passate ad osservare, decise che non aveva nient’altro da imparare dalla regia di Francis Coppola. Quest’ultimo, sapute le sue intenzioni, gli chiese, manco fossimo in una scena di Goodfellas con Joe Pesci e Ray Liotta: “Che significa che te ne vai? Forse non ti diverto abbastanza? Hai imparato tutto quello che volevi, guardandomi dirigere?”. Il mingherlino alza le spalle, come a dire che non glie ne frega nulla. Eppure quel ragazzo, l’unico della sua età su quel set in cui direttori della fotografia, scenografi e attrezzisti avevano tutti almeno 50 anni, era l’unico con cui Coppola potesse confrontarsi sul cinema che amavano e sul futuro della settima arte. Gli altri sul set parlavano dei film solo da un punto di vista economico. In fin dei conti a Coppola dispiaceva che quel ragazzino puzzolente (così ricorda Lucas di essere appellato da lui) se ne andasse, si era abituato alla sua presenza. Così il futuro regista del Padrino inserì George nella troupe come assistente amministrativo, facendogli fare un po’ di tutto, anche le foto per rispettare la continuity tra una ripresa e l’altra.
L’estate successiva, nel 1968, la passarono in giro per le strade d’America a girare il film successivo di Coppola, The Rain People (Non torno a casa stasera), in cui Francis aveva riversato l’esperienza autobiografica della madre che aveva abbandonato il tetto coniugale per qualche giorno, rifugiandosi in un motel. A Lucas furono affibbiate le più disparate mansioni, tra cui quella di andare a sostituire Coppola in un convegno a San Francisco con 800 insegnanti di scuola superiore sul tema Cinema e letteratura, al quale il cineasta italo-americano aveva promesso di partecipare. George ebbe tra l’altro l’idea, gradita dall’ego di Coppola, di prendere una cinepresa 16 mm e girare il making of di The Rain People. Nel documentario vengono rivelati tanti aspetti della personalità del giovane Coppola, geniale, vulcanico e autorevole, ma anche nervoso, emotivo, mentre, nel bene e nel male, improvvisa sul set, come in effetti deve saper fare ogni buon regista.
Ma per il meticoloso Lucas non è necessariamente il suo modo di fare le cose. Su un’idea però concordano i due giovani cineasti: spazzare via la vecchia Hollywood degli studios, dominati da parrucconi di una generazione precedente, nonché da esperti di marketing che nulla capiscono di cinema, che non sono in sintonia col gusto e con la sensibilità ribelle delle nuove generazioni degli anni ’60. Sull’onda del nuovo cinema europeo e delle Nouvelle Vague, Coppola e Lucas volevano proporre piccoli film indipendenti, sperimentali, provocatori, che intercettassero la voglia di nuovo e l’insofferenza della generazione che aveva appena decretato il successo di film come Gangster Story e Easy Rider. È per questo che Coppola, dopo aver visitato la sede della Laterna films in Germania, in cui erano conservati primitivi dispositivi di riproduzione delle immagini come appunto le Lanterne magiche, fondò la American Zoetrope, il cui simbolo era lo zootropio, ovvero l’antico dispositivo di proiezione delle immagini in movimento inventato nel 1834 da George Horner. Nelle intenzioni di Coppola la Zoetrope doveva essere una fucina di nuovi talenti che dessero uno scossone all’industria hollywoodiana, a cominciare da Lucas, che fu nominato vicepresidente.
Come primo passo Coppola, forte della sceneggiatura per il film Patton generale d’acciaio (con cui vinse il anche il suo primo oscar), convinse la riottosa Warner a produrre il fantascientifico e sperimentale THX 1138 (L’uomo che fuggì dal futuro), primo lungometraggio di Lucas, basato sul suo cortometraggio studentesco Electronic Labyrinth: THX 1138 4EB, che aveva ricevuto numerosi riconoscimenti. Nel frattempo Coppola convinse l’altrettanto riottoso Lucas ad adattarne la sceneggiatura per un lungo ma, si sa, scrivere non è mai stato esattamente il suo forte. Al giovane George piacciono le macchine da corsa, riprenderle mentre sfrecciano (aveva lavorato sul set del film Grand Prix di John Frankenheimer), adora i veicoli meccanici, i dispositivi futuristici, le sperimentazioni tecniche e tiene fermamente alla visione estetica del film, da proteggere con le unghie e con i denti per tutta la lavorazione. I dialoghi in particolare sono la sua bestia nera e infatti Coppola, trovando terribile lo script di Lucas, gli affianca uno sceneggiatore.
Inoltre, per tenerlo sul filo durante le riprese di THX, gli affibbia il suo amico Larry Sturhahn, personalità con cui sapeva che Lucas non sarebbe mai andato d’accordo. A detta di Coppola, lo fece perché Lucas avesse qualcuno da odiare che non fosse Coppola stesso. Alla Warner non piacque affatto un film distopico, quasi senza speranza, diverso dalla sceneggiatura che avevano letto, in cui attori e attrici erano rasati a zero e si muovevano in un opprimente ambiente asettico. A questo punto avvenne la prima incrinatura tra i due cineasti perché Coppola, non avendo seguito la lavorazione di THX, nel momento in cui i dirigenti della Warner espressero la loro ostilità al film finito, ammise di non saperne molto neanche lui. Minacciarono di rimontare il film e infatti, con grande dolore di Lucas, furono tagliati 4 minuti. Ma soprattutto fu invertito l’ordine di montaggio: si decise di partire dalla fine, ovvero dall’inseguimento finale in cui si vedevano delle strane creature (anticipatrici di certa fauna di Star Wars) che, secondo Fred Weintraub, uno degli executive della Warner, erano il piatto forte del film. Lucas rimase amareggiato dal fatto che Coppola non si batté altrettanto strenuamente per difendere il suo film d’esordio, come aveva fatto per farglielo produrre.
Nel frattempo a Coppola fu chiesto dalla Paramount di dirigere Il padrino, tratto dal romanzo omonimo di Mario Puzo. Il futuro autore di Apocalypse Now non ne voleva sapere di realizzare un film di gangster; lui voleva fare i film d’arte in stile europeo e infatti aveva già pronto lo script de La conversazione. A proposito di conversazioni, fu proprio Lucas, nel corso di una telefonata dello stesso Francis con Peter Bart della Paramount, a convincere il collega italoamericano ad accettare di dirigere il Padrino, per risollevare le sorti economiche della Zoetrope. La società era nel frattempo andata a gambe all’aria, sia per gli ingenti investimenti di Coppola in attrezzature tecniche d’avanguardia (tra cui il KEM, un costosissimo banco di mixaggio audio tedesco), sia per i soldi che doveva restituire alla Warner a causa dell’insuccesso di THX. Infatti l’accordo strappato da Coppola prevedeva solo un prestito dalla Warner e non una vera e propria produzione. Accettare di dirigere Il Padrino era dunque l’unica soluzione per uscire da quelle cattive acque e Lucas lo aveva capito. Il resto è storia.
In seguito Lucas ebbe ancora a che fare con Coppola per la produzione di American Graffiti: dopo il successo de Il padrino, la Universal lo volle tra i produttori esecutivi e strombazzò la cosa sulle locandine. In questo caso però Coppola riacquistò punti con l’amico. Dopo una proiezione di prova in cui il pubblico era andato in delirio per l’epopea rock’n’roll di Lucas, il responsabile della Universal Ned Tanen, inspiegabilmente, aveva sparato a zero sul film affermando con disprezzo che ne era rimasto molto deluso. Coppola difese a spada tratta il secondo lungometraggio di Lucas e, prendendo Tanen di petto, gli disse che non capiva nulla e che secondo lui American Graffiti sarebbe stato un grande successo (come in effetti fu). Con uno dei suoi tipici gesti teatrali, Coppola si mise la mano in tasca in cerca del libretto degli assegni, dicendo che avrebbe comprato lui stesso il film. Nei fatti non lo fece ma Lucas apprezzò molto la difesa che l’amico e mentore fece nei confronti della sua seconda creatura filmica.
Ma gli entusiasmi durarono poco. I primi dissapori ripresero quando Coppola chiese a Lucas di decurtare il proprio compenso per American Graffiti, al fine di pagare il direttore della fotografia Haskell Wexler, al quale la Zoetrope (a causa di leggerezze dello stesso Coppola) doveva dei soldi, nonché il produttore esecutivo Gary Kurtz. Cosa che Lucas trovò irragionevole. Tra l’altro si era già abbassato il suo compenso per pagare gli sceneggiatori Gloria Katz e Willard Huyck, la montatrice Verna Fields, il montatore del suono Walter Murch e il responsabile del casting Fred Roos. Alla fine fu Coppola a pagare di tasca sua Kurtz e Wexler, accusando Lucas di essere attaccato ai soldi. Ciliegina sulla torta, Coppola fece in modo che Lucas rinunciasse ad Apocalypse Now, il progetto basato sulla sceneggiatura di John Milius, a cui, subito dopo Star Wars, George teneva molto. Coppola aveva ceduto i diritti alla Warner, all’interno di un pacchetto di sceneggiature della American Zoetrope, all’insaputa di Lucas.
Per farla breve, basti sapere che, con il fallimento della Zoetrope, il progetto era passato alla Columbia, che avrebbe imposto un budget molto più risicato. Coppola aggiunse il colpo finale, informando Lucas che lui avrebbe preteso lo stesso compenso, cioè il 25% dei profitti, e che lo stesso Lucas avrebbe dovuto pagare di tasca sua Milius. A queste condizioni ovviamente Lucas se ne uscì amareggiato, accusando Coppola di avergli soffiato il progetto. Sembra che Lucas abbia dichiarato in quell’occasione: “Qualunque cosa Francis faccia per te, chi ne trae il vantaggio maggiore è sempre lui. Per lui è inconcepibile che la gente possa fare qualcosa contro la sua volontà: lui controlla tutto e sono tutti al suo servizio”. John Milius la racconta invece diversamente, affermando che Lucas, essendo già molto impegnato su Star Wars, si fosse completamente disinteressato ad Apocalypse e che Francis gli avesse comunque dato svariate opportunità di realizzarlo. Anche Milius non risparmia però le parole nel giudizio su Francis: “È un gran egocentrico, e arraffa quello che può. Per lui, vale quello che si diceva di Napoleone: è stato grande per quanto lo potesse essere un uomo senza virtù.” Ma poi aggiunge: “Se non l’avesse fatto Coppola, quel film non avrebbe mai visto la luce”.
Dopo il successo mondiale di Star Wars, Coppola mandò un telegramma a Lucas in cui scriveva ironicamente: “Mandami dei soldi. Francis”. L’affermazione della saga di Lucas non fu ben vista da molti suoi colleghi della New Hollywood (con l’eccezione di Spielberg), che si sentivano minacciati dal successo stellare del primo film e soprattutto temevano, non avendo tutti i torti, che l’industria cinematografica si sarebbe sempre più attestata su costosi blockbuster che andavano incontro ad un pubblico fatto per lo più di adolescenti. Coppola non risparmiò infatti aspre critiche a Star Wars, in presenza dei colleghi.
Ciò non impedì però ai due vecchi amici e rivali di ritrovarsi come produttori di due film di un loro idolo cinematografico, quell’Akira Kurosawa che era stato tra le fonti di ispirazione della prima pellicola di Star Wars. In particolare i due produssero Kagemusha (1980) e Ran (1985), due pellicole non a caso dall’estetica sontuosa, che rientravano perfettamente nella visione di un cinema senza compromessi che accomuna i due cineasti americani. Lo stesso Spielberg non volle essere da meno, producendo, nel 1990, Sogni, terzultima pellicola del Sensei giapponese.
Alla luce di tutto questo è facile intuire come Lucas e Coppola fossero antitetici nella modalità di approccio alla regia, oltreché come caratteri umani. Lucas stesso affermava infatti: ”La mia vita è una sorta di reazione a quella di Francis… Sono la sua antitesi.” Estroverso, emotivo, vulcanico, geniale, ma anche tirannico e manipolatore Coppola; introverso, schivo, non portato nella scrittura, nonché intimorito dagli attori e dalle estenuanti sessioni di casting Lucas. Versato nei dialoghi e nel dirigere gli attori Coppola, sui quali ha intuizioni geniali (vedi l’incaponirsi sullo sconosciuto Pacino e sull’odiato dalle Majors Brando per Il padrino), nonché improvvisatore sul set, contesto in cui spesso riscriveva copioni e dialoghi all’ultimo momento. Più meticoloso invece Lucas che preferisce, per quanto possibile, avere sempre tutto sotto controllo e programmare con largo anticipo riprese e inquadrature tramite precisi storyboard, tra l’altro necessari per progetti come Star Wars. Lungimirante nel creare tecnologie che non esistono e che servono a supportare tecnicamente le sue visioni (la Industrial Light and Magic), Lucas ha la stessa volontà di ferro di Coppola nel portare avanti le sue idee, facendolo con stile e toni diversi, più sommessi sicuramente, ma altrettanto efficaci.
Entrambi sono portatori sani di una modalità assoluta di fare cinema, in base alla quale imporre e conservare la propria visione fino alla fine, passando attraverso estenuanti e difficili lavorazioni, in barba a produttori miopi e spesso incompetenti. Entrambi sono costruttori di mondi cinematografici che hanno influenzato in modo indelebile la settima arte e l’immaginario di milioni di persone nello spazio e nel corso del tempo, intercettando i sogni e il gusto di più generazioni di spettatori. Due personalità bigger than life che rappresentano delle modalità di fare cinema che purtroppo stanno scomparendo. Chissà se, trovandosi in concorso a Cannes, non sarà lo stesso Coppola a consegnare, il 25 Maggio, la Palma d’onore nelle mani del vecchio amico/rivale, in un gesto di meritato riconoscimento nei confronti del “giovane” Padawan.
Fonti preziose per questo articolo sono stati i due volumi: “George Lucas – la Biografia” di John Baxter (Lindau 1999) e “Easy Riders, Raging Bulls – come la generazione sesso-droga-rock’n’ roll ha salvato Hollywood” di Peter Biskind (Editoria & Spettacolo 2007).