Lumberjack The Monster
2023
Lumberjack The Monster è un film del 2023, diretto da Takashi Miike.
Il mostro fingeva di essere un taglialegna e viveva in un villaggio tra gli umani. Nascondeva le sue grandi orecchie e le zanne affilate così nessuno si accorgeva che era un mostro.
“Signor taglialegna, signor taglialegna, condivida con me un po’ di legna”, disse l’anziana fornaia.
“Certo”, rispose lui, “condividerò della legna con lei. Mi faccia entrare in casa.”
“Entri, entri. Mi venga a trovare quando vuole.”
Su invito dell’anziana signora, Lumberjack the Monster entrò in casa sua.
Non appena il mostro entrò, la colpì con l’ascia sulla testa.
Gnam, gnam. Gulp.
Lumberjack The Monster divorò l’anziana signora.
Takashi Miike ha superato quota 120 film, e non accenna a smettere. Nessuno può ragionevolmente aspettarsi un nuovo Fudoh The New Generation, o Ichi The Killer o Gozu. Il filmmaker giapponese ha ormai raggiunto i 64 anni d’età, credo che possa legittimamente permettersi di realizzare opere meno folli e deraglianti. Lumberjack The Monster è apparso nella homepage di Netflix senza il minimo squillo di tromba, buttato nella mischia tra tanti titoli mediocri/anonimi/inutili. Ci ho cliccato sopra soltanto perché lo faccio con tutti i volti orientali che mi passano davanti (no, non per strada): due sorprese. Belle sorprese. La prima, ovvio, quando ho visto il nome di Takashi Miike. La seconda quando ho finito di guardare il film. Che dovrebbe essere studiato al microscopio da chiunque voglia proporre le sue opere al gigante dello streaming: sappiamo che ci sono regole ferree da rispettare, per essere accolti sugli schermi marchiati con la N rossa. Miike obbedisce, ma lo fa fino ad un certo punto. Non esagera con lo splatter, ma il sangue schizza come da tradizione. Finge di narrare una storia più o meno lineare, ma è solo un pretesto per mettere in scena i suoi consueti testacoda. Ok l’algoritmo, ma Miike è sempre Miike. E vince lui: a differenza del 99% delle opere targate Netflix, Lumberjack The Monster resta appiccicato agli occhi e si insinua nella materia grigia come un microchip piacevolmente dannoso.
Tratto da un romanzo di Mayusuke Kurai, non è un horror come molti lo stanno etichettando, ma ci si avvicina parecchio: è fondamentalmente un thriller, che in mano al regista giapponese devia con naturalezza verso la sci-fi e il noir, mascherato da poliziesco, per un mix di generi che scorre via senza esitazioni come un Frankenstein pieno di grazia e stile. Senza svelare troppo, possiamo anticiparvi che la storia è bella densa, che un serial killer mascherato colpisce le sue vittime armato di accetta – “Lumberjack” significa taglialegna – portandosi via i cervelli, e che un avvocato (serial killer a sua volta) gli dà la caccia. O è l’assassino mascherato a dare la caccia all’avvocato?
La materia è oscura: esperimenti sui bambini, orfanotrofi da incubo, il prologo che sembra una fiaba raccapricciante. Bene e male sono parole inutili, la maggior parte dei personaggi principali è costituita da psicopatici. Compreso un amico dell’avvocato: è un chirurgo, folle e sadico anche lui, interpretato nientemeno che da Shota Sometani, volto notissimo ai fan di Miike e anche di Sion Sono. Miike ha recentemente diretto la serie tv coreana Connect, e Lumberjack mi ha ricordato un altro prodotto tv realizzato da Kim Jee-woon: Dr. Brain. Sono tutte opere che hanno molto in comune, dai tratti sci-fi agli esperimenti cerebrali: sembra insomma una tendenza ben definita nel cinema e nella tv coreana e giapponese. Sarà per questo che Lumberjack The Monster sembra un film sudcoreano. Ed è ovviamente un complimento.