Winnie-the-Pooh – Tutto sangue e niente miele
2024
Winnie-the-Pooh – Tutto sangue e niente miele è un film del 2024, diretto da Rhys Frake-Waterfield.
Com’è che si dice? Chi non muore si rivede, giusto? E nonostante di gentaglia ne sia morta parecchia e pure male tra i ciak dell’ancora acerbo Twisted Childhood Universe, è sempre un gran piacere rivedere, in quel delle insidiose lande del VOD, una delle icone più mielose della nostra cara infanzia divorata e risputata dal sanguinario reimaginings di un tipo come Rhys Frake-Waterfield. D’altronde, come ci rammenta quel saggio ubriacone di Ernest Hemingway, è proprio dall’innocenza che hanno origine i più torbidi orrori. Se, infatti, con l’irriverente Winnie-the-Pooh – Sangue e miele lo scaltro cineasta di Sua Inglesissima Maestà era miracolosamente riuscito a portarsi a casa – con appena cinquantamila dollari e una non troppo convinta pacca sulla spalla – un’inaspettata sciocchezzuola cinematografica da oltre cinque milioni di dindini, stavolta, in vista dell’immancabile e ampiamente atteso Chapter 2, la seppur vincente squadriglia pare aver subito qualche sano e corroborante cambiamento. A partire dunque da un titolo italiano che già di per sé appare come un autentico capolavoro di goliardica genialità, Winnie-the-Pooh – Tutto sangue e niente miele rivela fin da subito la propria furbesca natura di sequel sotto le mentite, rivedute e corrette spoglie di un reboot dalle aspirazioni e possibilità decisamente più ampie; così come Evil Dead II e Phantasm II furono per i loro indie-volati capostipiti di raiminiana e coscarelliana memoria. Ma, ça va sans dire, ogni improprio accostamento o confronto non può che essere qui puramente casuale, ci mancherebbe altro!
Forte di un budget capace di sfiorare stavolta il tetto del milioncino tondo tondo – e sostenuto peraltro da una rinvigorita dose di splatter che più di un occhietto strizza alla divertente violenza creativa del divertito Damien Leone e del suo già iconico Terrifier –, Winnie-the-Pooh – Tutto sangue e niente miele parte da un assunto che, per bocca del suo stesso sadico e orsuto villain, più che una massima filosofica diviene manifesto programmatico di colui che questa sconclusionata dark tale l’ha concepita e messa in scena con tanta passione ma ben scarso talento: “Aspettare gli altri nel proprio angolo di foresta non serve a nulla, poiché, a volte, occorre andare dritti da loro”. Ed è proprio al cospetto degli ignari abitanti della sperduta cittadella di Ashdown che tanto il traumaticamente sopravvissuto Christopher Robin (Scott Chambers) quanto la sua mostruosa nemesi assai ghiotta di nettare d’api e carne fresca paiono aver scelto di recarsi; giusto ad un annetto di distanza da quell’ormai tristemente celebre Massacro del Bosco dei Cento Acri nel quale un buon numero di sgallettate bellezze al bagno persero violentemente la vita oltre a parecchi preziosi arti. Ma nonostante si collochino ai lati opposti della Forza, i nostri due antipodici (e antipatici) protagonisti mostrano di essere entrambi condannati a vivere una disastrata esistenza all’insegna dell’ignomia e del rifiuto da parte del prossimo. Il primo, consolatosi a tempo record dalla mala dipartita della fu compianta dolce metà grazie all’altrettanto dolce compagnia della bella Lexy (Tallulah Evans), è divenuto infatti infermiere professionista, costretto tuttavia a difendersi dalle male e lunghe lingue dei propri buzzurri vicini. Il secondo, invece, a capo di una nutrita schiera di animalesche creature antropomorfe – fra cui spiccano il fido grufolante Pimpi, il ferino Tigro e un rapace Uffa che pare uscito dalla sadica fantasia dello yuzniano Faust – sceglierà nuovamente di abbandonare il caldo e accogliente Fantabosco degli Orrori per dispensare morte e distruzione come solo un cazzutissimo orsacchione da favola sa fare.
Toccherà dunque al non certo impavido Christopher prendere in mano le insanguinate redini della situazione, scavando a fondo nelle oscure profondità del proprio traumatico passato con l’unico obiettivo di far luce sulla misteriosa scomparsa del proprio fratello gemello e sulla scioccante verità celata dietro alla tutt’altro che sovrannaturale origin story del temibile Creepy Pooh e dei suoi inquietanti compari di sanguinarie mielose merende. C’è poco in effetti di che sindacare: al netto del consueto mood da fanzinaro voglio-ma-non-posso, Winnie-the-Pooh – Tutto sangue e niente miele è un’operetta indubbiamente superiore rispetto al suo maramaldo ma (di)onestamente trashissimo predecessore. Nonostante, infatti, lo stucchevole effetto cosplay rimanga ancora a tratti ben vivo in controluce, il coraggioso restyling generale dei nostri dis-umani cattivoni, unito ad un bodycount saggiamente rimpolpato e ad una regia opportunamente ricalibrata malgrado l’ancora evidente pedestreria riescono ad elevare questo grottesco fanta-slasher senza arte né parte né tantomeno particolari pretese un filo al sopra di quel miserrimo livello di pura mattanza a costo sotto zero che avevano relegato il suo insipido antesignano alla più laida serie Z. Adagiandosi ora a cavallo fra una comoda C+ ed una quasi dignitosa B-, il caro Frake-Waterfield ha dunque modo, tra parecchie amputazioni a tradimento e qualche sana decapitazione, di concedersi pure il lusso di un minimo di approfondimento, se non psicologico, quantomeno storiografico dei propri infingardi personaggi; aggiungendo un minimo di ciccia narrativa dietro all’ancora difficilmente credibile make-up dei pellicciosi Michael Myers e zannuti Leatherface che compongono questa fiabesca Manson Family; le cui porte, così come le loro affamate e ora alquanto loquaci boccucce, farebbero bene e non essere mai aperte. Sì perché, se ancora non si fosse capito, così come gustosamente ribadito e prefigurato dai tenebrosi schizzi che accompagnano i titoli di testa e di coda di questo non certo trascendentale divertissement, i boschi, così come le celeberrime craveniane colline, di occhi ne hanno parecchi e per giunta ben aperti sul futuro di un franchise destinato, più nel male che nel bene, a far ancora a lungo parlare di sé.