In ricordo di Maria Rosaria Omaggio
Intervista all'attrice lanciata da Umberto Lenzi in Roma a mano armata, primo di molti ruoli eclettici e variati
L’intervista che segue a Maria Rosaria Omaggio venne pubblicata nel numero 203 di Nocturno, nell’ambito del dossier Le sorelle di Venere 3, e risale al novembre del 2019. Ve la riproponiamo in occasione della prematura e dolorosa scomparsa dell’attrice.
Comprendere come decodificare la “costruzione” di Maria Rosaria Omaggio è difficilissimo: ha cominciato
quasi bambina per gioco con dei film d’azione all’italiana con un padrino d’eccellenza, Tomas Milian, per poi arrivare a lavorare con big come Andrzey Wajda, Pasquale Festa Campanile, Luigi Magni, lo spagnolo
Vicente Escrivá con ben tre film e Christian Jacque. Ingenua, seduttrice, angelica, materna, perfida, perversa, coriacea: tutte sfaccettature delle sue prestazioni attoriali, un’infinita fonte di ispirazione non solo creativa, ma anche professionale e progettuale per molti addetti ai lavori.
Dopo un esordio in Rai sei stata assorbita subito dal cinema. E tu, poco più che adolescente, in Roma a mano armata e Squadra antiscippo incontri due big del poliziesco italiano. Eri emozionata?
A diciassette anni tutto sembra normale e avventurarsi in nuove esperienze si vive in modo naturale. In entrambi i film c’era Tomas Milian, che per la prima volta passava dai film d’autore a quelli d’azione. Si era alla fine degli anni ‘70, anni di piombo e di tanto cinema socio-politicamente impegnato con l’alternativa di commediole sexy. Era davvero osare proporre film d’azione. Sono stati, invece, due capofila di un genere e di lì il successo che sappiamo.
Tomas Milian è rimasto un mito, ma se dovessi descriverlo con cinque termini?
Determinato, coraggioso, professionale, sensibile e carismatico.
Mentre Maurizio Merli? Era cosi irritabile ed esaltato come lo descrivono alcuni?
Ma no! Anche se ero troppo giovane e inesperta per avere un’impressione definita. Nel mio ricordo c’è solo un Maurizio mai sicuro e per questo preoccupato persino del suo aspetto fisico. Ricordo lunghe attese per sistemare il suo ciuffo biondo. Se penso ora che quei film sono stati girati in nove settimane,
che venivano considerate una corsa rispetto ai tempi di riprese con un più lauto budget, mi viene da sorridere.
Quale dei due film preferisci?
Sono molto diversi, li amo entrambi. Poi li abbiamo girati contemporaneamente sia io che Tomas, alternando le giornate sui due set. E sono usciti in sala lo stesso giorno. Ciononostante, Umberto Lenzi ci teneva moltissimo a dire che era da considerarsi nel suo film il mio debutto nel cinema: lui mi aveva scelta prima di Corbucci! Roma a mano armata, tornato quest’anno restaurato in sala negli Stati Uniti con tanto di nuovo Blu-ray arricchito da extra – sia Lenzi che io abbiamo rilasciato una nuova intervista con lo sguardo di oggi – è stato definito da Tarantino il modello di tutte le serie di polizia che imperversano nelle tv del mondo. Squadra antiscippo è, come sceneggiatura, più moderno: sia il poliziotto Nico di Tomas, che il mio ruolo di agente segreto e persino l’antagonista Arthur Kennedy, avevano dei tratti surreali e spettacolari. Sia con Lenzi che con Corbucci ho lavorato ancora: Incubo sulla città contaminata con Umberto, e Rimini, Rimini con Bruno.
Giovanissima, subito dopo, diventi apprezzata in Spagna con La Lozana Andalusa di Vincente Escriva. Film, record di incassi, che è rimasto un must in Spagna, dove hai lavorato, e lavori tuttora, molto. Che personaggio hai creato col regista per affascinare cosi gli spagnoli ?
Escriva e la Warner spagnola, dopo più di una dozzina di anni dal grande successo di Dulcinea, con Millie Perkins, già toccante interprete di Anna Frank, decisero di affrontare un’opera letteraria, tanto famosa quanto all’indice durante il franchismo, e di investire molto su questo progetto e su una protagonista femminile. Vicente era un regista raffinato, che creava inquadrature pittoriche esaltate da musica struggente e così attento ai dettagli da riuscire a tirarmi fuori una maturità espressiva di cui non avevo ancora esperienza. A lui devo un altro successo, El virgo de Visanteta, primo film girato in lingua valenciana, ovvero non in castigliano. L’incasso fu travolgente, tanto che girammo anche il seguito. Fui davvero sorpresa, durante una trasmissione in tv, del commento su questi film da parte del critico Ernesto G. Laura.
La malavita attacca, la polizia risponde è un altro action di successo: il regista, Mario Caiano, ha fatto film davvero molto interessanti. Cosa ricordi di lui?
È stato uno dei primi a dirigere western in Spagna, sia perché il padre aveva lì una serie di produzioni, sia perché era uno dei pochi davvero abili a dirigere scene d’azione. Mai come in quel film ho visto montare così tanti travelling (carrelli spinti da abilissimi macchinisti che su rotaie facevano scorrere la macchina da presa, fissa o dolly in elevazione). Nel film ero su una sedia a rotelle e, visto che ancora non era così diffusa la steadycam, la macchina doveva seguire i miei movimenti, soprattutto nel tentativo di salvezza quando mi arrampico con le gambe rigide sulla scala.
Il personaggio di Laura Olivieri, ragazza diversamente abile, era scritto proprio così o l’hai modificato tu stessa?
Sinceramente non lo ricordo, però posso dire con certezza, senza scomodare Pirandello, che tutti i personaggi, una volta incarnati, assumono un po’ della natura di chi lo interpreta. Ricordo in modo nitido la scena al pianoforte, probabilmente perché carica di un’emozione tutta personale. Da piccola desideravo molto imparare a suonare il piano, ma quando venne il momento in cui era indispensabile averlo a casa per potermi esercitare, mio padre, che aveva studiato 11 anni Medicina e specializzazione, ascoltando tre sorelle e una madre che suonavano tutti i giorni, disse che se entrava un pianoforte in casa probabilmente sarebbe stato costretto a uscire lui. Avevo 15 anni quando è morto e, visto che per quella scena avevo ripreso alcune lezioni, si accese in me una tale malinconia che stupì perfino Caiano che me l’aveva chiesta.
Vieni scelta nel 1980 da un mito del cinema mondiale come Christian Jaque, per interpretare Vanina Vanini ne La malle des Andès, dove hai dato una grande prestazione; poi ti rivorrà come Maria Eugenia de Montijo, moglie di Napoleone III, ne L’homme de Suez tre anni dopo, aprendoti, dopo la Spagna, anche la visibilità d’oltralpe. Cosa ricordi?
In Francia avevo già girato La Comédie des ambitions di Robert Mazoyer, nel ruolo di Paolina Bonaparte, con un meraviglioso Daniel Mesguich Napoleone e un’inossidabile Paola Borboni come madre, Donna Letizia. Ne La valigia delle Indie di Jaques, scoprii un set dove ogni scena veniva girata almeno con 2 macchine se non 3 o 4 contemporaneamente. Ovunque fossimo, persino su una darsena a Venezia, non mancava il grande tableau dove Cristian appendeva i suoi foglietti col disegno delle posizioni delle camere. De L’uomo di Suez, che raccontava la storia del progetto di Lesseps per tagliare e aprire il canale, è per me indimenticabile la lunga cavalcata girata in Portogallo al fianco di Guy Marchand. E questo per due motivi. Il primo perché rischiai veramente l’osso del collo, montando alla amazzone un cavallo non abituato a quel tipo di sella, tanto da volermi ripetutamente sgroppare. Era veramente complicato difendersi con le gambe bloccate in quella posizione, l’abito largo e lungo e il velo del cappello che mi svolazzava sul viso. Per mia fortuna, Guy era un abilissimo fantino e riuscì col suo cavallo a calmare il mio. Il secondo speciale ricordo riguarda, invece, il doppiaggio. Va detto, per chi non lo sapesse, che già allora i film francesi erano totalmente in presa diretta, ma quella sequenza era troppo rumorosa per il vento e soprattutto lo scalpiccio degli zoccoli. Quando la meravigliosa agente Paola Bonelli della William Morris mi disse che ero convocata una settimana a Parigi, pensai di dover doppiare tutto il film. Invece si trattava soltanto di quella scena, che mi proposero con sotto la bande, ovvero un nastro dove potevo leggere, perché andava in sync con le immagini sopra. Risposi che avrei guardato la bocca e mi sarebbe stata sufficiente la cuffia, perché così ero abituata in Italia. In meno di un’ora registrai tutti gli anelli (così si chiamano i segmenti tagliati di una sequenza). La meraviglia fu tale che vennero dagli altri studi a vedermi registrare. Tra questi, memorabile l’apparizione di Simone Signoret, già anziana ma sempre meravigliosamente affascinante. Ne fui intimidita. Lei se ne accorse e venne da me al leggio sfoderando un grande sorriso e pregandomi di spiegarle come facessi.
Poi, anticonformisticamente, reciti una onorevole parlamentare moderata ne La moglie dell’amico è sempre più buona, una commedia leggera ma deliziosa con Simon Andreu, attore brillante e beniamino spagnolo e Sydney Rome nel ruolo di antagonista femminista…
Difficile girare solo grandi opere però, visto oggi, il film è molto più gradevole e moderno di quanto pensassi allora. In realtà, il titolo originale è assai meno becero: Los locos vecinos del segundo.
Da un genere all’altro e giri Le avventure dell’incredibile Ercole, un film fantasy/peplum diretto da Luigi Cozzi, uscito nel 1985. Sei Era, la moglie di Giove che gli ruba le saette e fa resuscitare Minosse/William Berger per sconfiggere Ercole/LouFerrigno. Dallo spagnolo all’inglese e dal tailleur borghese al costume antico. Cosa ti torna in mente?
Innanzitutto, l’odore forte di olio Johnson, che Ferrigno usava in abbondanza per lucidarsi i muscoli, amorevolmente ed esclusivamente spalmato dalla moglie; poi la difficoltà di muovermi con il costume da dea Era/Giunone. Tra coturni con zeppa, toupet di capelli e corona e una sorta di mantello-ali, diventavo alta quasi due metri! Quando girammo nelle grotte si utilizzarono come camerini e servizi delle roulotte. Rido al solo ripensare ai buffi tentativi per entrarci in pausa aiutata dalla sarta e da Luciana, storica e mitica parrucchiera di cinema! Luciana un giorno portò addirittura una bilancia per pesare quanti chili avevo in testa tra mollette, forcine, trecce e toupet e diadema e orecchini, concludendo che tra l’umidità della grotta e quel peso non dovevo stupirmi di avere male al collo!
Una donna attraente e mediterranea come te, che ha lavorato in tante produzione estere, è stata corteggiata molto? Che effetto fai sugli stranieri?
L’effetto che fa il bel Paese Italia, molto più apprezzato di quanto facciamo noi italiani. Non dico che dovremmo raggiungere lo sciovinismo francese, ma almeno imparare ad amarci di più e a coltivare la nostra tradizione.
Appari donna di gran temperamento, ma secondo te nel cinema degli Ottanta c’era ancora maschilismo?
C’è ancora. E forse non solo qui. Le attrici di tutto il mondo si lamentano di essere utilizzate meno dei colleghi uomini e soprattutto, persino quando arrivano ai vertici del box office, di essere pagate meno. Qui più che mai, ma anche all’estero, spesso il ruolo femminile è un contorno: una moglie, un’amante, e dopo i cinquanta, immediatamente, diventa madre o nonna. Gli attori uomini, invece, continuano a fare i
seduttori persino a ottanta.
Un “must” della commedia all’italiana è Culo e camicia, un film sull’omosessualità o meglio la bisessualità, diretto dal grandissimo Pasquale Festa Campanile. Quando hai letto il copione cosa hai pensato?
Che mi sarei divertita moltissimo e come me anche il pubblico. Così è stato ed è ancora, dato che va regolarmente in onda in TV. La scena in cui Pozzetto resta attaccato con le bretelle al portabagagli della mia macchina ha un numero di clic su youtube da record.
Tu domatrice tra Mastelloni e Pozzetto, due anfitrioni. Hai qualche aneddoto?
Tanto per non farmi mancare nulla, contemporaneamente, a Milano, registravo negli studi Rai Tutto compreso, un innovativo programma di varietà comico scritto da Magalli e Fantone, con la regia di Giancarlo Nicotra, che poi lo esportò riveduto e corretto, su Canale 5 col nome di Drive in. Sei puntate per la domenica sera con Teocoli, Boldi, Greggio, Beruschi, Gigi e Andrea, Andy Luotto e le coreografie di Enzo Paolo Turchi. Fu proprio quest’ultimo a ideare il famoso tango di Renato con Leopoldo. Invece, della scena in cui seduco Pozzetto, sbucando dal paravento senza vestito e senza divieto ai minori, quella in cui lui dice la mitica battuta: «Perché ti sei vestita così?», ricordo bei lividi sulle gambe. Era un percorso dove, abbracciati, giravamo nella stanza facendo cadere tutto quel che c’era intorno, però bastava saltare un tratto dell’itinerario e il macchinista non tirava il filo, per cui sbattevo contro il mobile.
Hai lavorato in tantissimi sceneggiati di altissima qualità, persino con il grande attore di Bergman Erland Josephson in Il generale di Luigi Magni, che scrisse pure per te La santa sulla scopa per il teatro. Unica regia teatrale di Magni…
Erland era davvero un artista straordinario e, soprattutto, un uomo di rara sensibilità. Nelle lunghe due ore di trucco che gli erano necessarie per trasformarsi in Camillo Benso Conte di Cavour leggeva e scriveva poesie. Ho avuto la fortuna di ascoltarne alcune che dallo svedese mi traduceva all’impronta in inglese. Gigi Magni è stato uno dei registi padri della mia formazione: non solo mi ha contagiato per la ricerca storica e mi ha insegnato a parlare nel raffinato romano del Belli, ma mi ha fatto scoprire alcuni segreti di Roma.
In maniera anticonformista ti concedi L’Ave Maria di Nino D’Angelo, un artista partenopeo tuttora amato in tutto il mondo (persino da Abel Ferrara). Come è stato lavorare con lui? Facevi l’impresaria cinica, bella e determinata e quando appari tu il film sale di livello. Questo anticonformismo lo hai avuto anche nella vita?
Il lavoro fa parte della vita, come del resto, che si voglia o no, il privato influenza le scelte, anche professionali. È stata una casualità quel film e non anticonformismo. Avrei dovuto girare in Spagna con Berlanga, ma l’aggravarsi delle condizioni di mia madre mi ha riportato a Roma. Accettai e, sinceramente, credevo che il film sarebbe stato distribuito solo in Campania. Oggi sono lieta di aver contribuito al successo di Nino. È una persona speciale e un artista infaticabile.
Angelo Frontoni ha celebrato la tua bellezza in molti scatti, come fossi un “Ava Gardner italiana”: il re del glamour fotografico come lo ricordi?
Con vero affetto. Indimenticabile uno dei suoi commenti durante una cena da Otello (noto ristorante a Roma, frequentato da gente di cinema, che ha ispirato il film di Scola La cena, ndr). Disse, orgoglioso, che aveva fotografato le più belle dive del mondo usando solo luce e arte… visto che non c’era certo Photoshop!
Ancora commedie: torni a lavorare con Corbucci in Rimini, Rimini, un anno dopo. Ma con il successo dei serial, fai anche Edera e Passioni, dove interpreti delle cattive più affascinanti delle buone, cambia la tua immagine. Lavori anche in un serial celebre in tutta l’America Latina Micaela. Che esperienza è stata? Il protagonista, Jorge Martinez, aveva una popolarità mondiale, lo sognavano le donne di mezzo mondo: che uomo era?
Più tennista che attore, nonostante tante telenovelas e persino un film con la Carrà. Prima di venire sul set, al mattino giocava a tennis col Presidente Menem.
Parallelamente alla tua affermazione teatrale, negli anni interpreti Elsa Morante sotto la regia di Giuseppe Ferrara e Oriana Fallaci con il premio Oscar polacco Andrzej Wajda. Insomma, sei stata scelta dai grandi del cinema per incarnare donne di una forza culturale. Ma oggi una commedia brillante completamente paradossale, alla Zalone per intenderci, la faresti?
Con grandissima gioia! Adoro Zalone e con lui Gabriele Mainetti, i Manetti Bros, Riccardo Milani, per citarne alcuni. Ma con altrettanto ardore mi piacerebbe lavorare con Crialese o Tornatore. L’esperienza del film siciliano di Muzzi Loffredo Occhio nero, occhio biondo, occhio felino… la porto nel cuore.
In Bloody Sin hai un bellissimo ruolo: ci dici qualcosa?
Con Domiziano Cristopharo avevo già girato The Museum of Wonders e mi ha fatto piacere sostenerlo in quest’altro progetto. Il film si ispira al fumetto Oltretomba e infatti non è un caso che io, capo di una redazione giornalistica statunitense, che segretamente vuole trasformare la rivista in un fumetto, mi chiami Mrs Steele, come la Barbara reginetta del gotico.
Nell’affrontare un ruolo preferisci interiorizzare o esteriorizzare? Ti prepari molto su di un personaggio?
Cocteau diceva che si tratta di espirazione e non solo di inspirazione. Diciamo che prima di renderlo fuori, bisogna metabolizzarlo dentro.
Hai un’immagine di donna elegante, altera e misteriosa, ma se dovessi far ridere i lettori raccontando un tuo aneddoto di vita quotidiana quale sceglieresti?
Chi mi conosce sa che pratico da molti anni arti marziali, sia Tai Ji Quan, ovvero pugno, sia armi come Tai Ji jian spada e Tai Ji shan ventaglio. E fin lì sembra combaciare con l’immagine, ma chi crede che ogni tanto mi trasformo nella piccola giardiniera che parla con le piante, fiera di usare persino le erbe aromatiche del mio terrazzo, oppure di scatenare il putiferio in cucina per un buon gateau di patate?
Hai fatto un cammeo persino per Woody Allen, quella tipologia di uomo artista ti affascina o lo
trovi troppo nevrotico?
È un genio. Si fa anche un cammeo per un grande! E, a parte purtroppo proprio To Rome with Love, quasi
tutti i suoi film sono dei capolavori.
Oggi che tipo di ruoli vorresti ti regalasse il cinema, quali corde vorresti toccare e mostrare al tuo pubblico?
Forse l’abbiamo già detto: tornare a interpretare un ruolo brillante. Chissà perché, dopo il successo della perfida Leona in Edera, si sono dimenticati delle tante commedie interpretate? Ma il vero desiderio è, più genericamente, un ruolo interessante diretta da un regista italiano. E, per nostra fortuna,
abbiamo una magnifica nuova generazione.
Auguri Maria Rosaria, anzi… MaRò… come ti chiamano
gli amici!
Grazie!