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Queer

2024
Titolo Originale:
Queer
REGIA:
Luca Guadagnino
CAST:
Daniel Craig (Lee)
Drew Starkey (Eugene)
Leslie Manville

Il nostro giudizio

Queer è un film del 2024, diretto da Luca Guadagnino.

Il regista italiano più controverso, Luca Guadagnino, alle prese con la scrittura “impossibile” di William S. Burroughs. Il cineasta porta in concorso al Festival di Venezia l’adattamento del libro semi-autobiografico Queer (Checca, Adelphi), pubblicato nel 1985, che racconta l’esperienza a Città del Messico a partire dagli anni Cinquanta. Nella prima parte lo scrittore tossico-alcolizzato Lee (Daniel Craig) si crogiola nell’ozio erotico messicano finché incontra Eugene (Drew Starkey), che diventa subito l’oggetto del desiderio definitivo. Nella seconda sezione ecco il viaggio: si reca con lui fino alla giungla per trovare lo Yage, ovvero l’ayahuasca, la sua fata morgana, il miraggio ultimo. Guadagnino, che ha sottolineato il peso fondamentale del romanzo nella sua formazione, andando forse in iperbole (“Mi ha cambiato la vita”) spicca un volo di Icaro e ha il coraggio di sfidare una penna difficile, ostica, quasi intraducibile, che fu portata sullo schermo da David Cronenberg ne Il pasto nudo. Unico precedente. Lo fa con la sceneggiatura di Justin Kuritzkes e la colonna sonora di Trent Reznor e Atticus Ross, come sempre ultimamente, componendo però un progetto radicalmente differente dal precedente Challengers. Un racconto dall’andamento ondulato e frammentario al contrario del triangolo fra tennisti: alla geometria si preferisce il flusso.

Come sempre la cinepresa del regista scivola magnificamente sulla superficie dei corpi, qui sudamericani, iscritti per la prima volta in un contesto sporco e lurido, degradato, per cui desta ancora più meraviglia lo stupore visivo che ne trae. Molte e struggenti sono le invenzioni: la più dolente e sentimentale, forse, è la carezza “fantasma” di Lee al corpo di Eugene, un gesto ripetuto ma che non sta accadendo, è solo una sovrimpressione mentale perché lo scrittore alcolista non conquista mai davvero la giovane marchetta. Entra nel suo culo, ma non nel suo cuore. Davanti all’anima persa del maturo Daniel Craig stavolta il Tadzio di Guadagnino non si incarna in due tennisti ma in Drew Starkey, nel ruolo dell’adonico Allerton, che per farsi possedere accetta un accordo sessuale (“Sarai gentile con me due volte a settimana”). Guadagnino percorre la comunità di prostituti e ragazzi perduti in un vertiginoso affresco corale, pieno di corpi e volti, tra cui perfino Lisandro Alonso e David Lowery. Senza mai davvero sfociare nell’esplicito, anzi girando il sesso gay col sostegno della dissolvenza: c’è più sperma che pene nei 135 minuti del film, che inizialmente doveva durare 180’ ma su cui è intervenuto lo stesso autore.

È la storia di una relazione mai piena, mai completa. Vedere un sogno al cinema, ossia l’Orfeo di Cocteau, non avvera il sogno d’amore. Lee, per avere davvero Allerton, si lancia in un movimento frastagliato e sottovaluta il monito: la droga non è un portale, è uno specchio. Dentro si riflette te stesso. Alla fine, tra le fronde, avverrà la vera penetrazione tra i due, proprio grafica, fondendosi in osmosi nella soluzione più bella del film. Ma una volta intrecciati non resta che perdersi… Inutile dire che Queer vanta il consueto lavoro certosino su ogni singola immagine, capace di donare senso e significato visivo a ciò che stiamo vedendo. Ma va detto chiaramente: la prima parte è migliore della seconda, la sezione drogata sfida con coraggio il ridicolo, il racconto è frammentario e faticoso. Queer è inferiore a Challengers. Ma anche così porta un tassello importante al cinema del desiderio del regista: un rapporto impossibile, un piacere appagato a momenti per poi agognarlo di nuovo. Queer si fa endovena dell’unica sostanza possibile: la droga del desiderio. La droga di Guadagnino è l’immagine, quella maschile, che torna sempre in altra forma ma diversa-uguale a se stessa. La sua droga si chiama Eugene.
A margine: il film è stato accolto da applausi e fischi alla proiezione veneziana, ma davanti alla potenza di un Guadagnino imperfetto bisogna comunque togliersi il cappello. Come fa Daniel Craig. Prima di levarsi tutto il resto.