Ganymede
Il film di Colby Holt e Sam Probst affronta l'orrore delle terapie di conversione
Per la mitologia greca, Ganymede era un giovane mortale e bellissimo; Zeus stesso decise di rapirlo e portarselo sul Monte Olimpo. Per altre fonti era un principe di Troia, Dio del desiderio e dell’amore omosessuale (e sua sorella si chiamava Kleopatra). Per non essere da meno, Colby Holt, che ha scritto la sceneggiatura e ha diretto questo film con Sam Probst, mostra Ganymede come una presenza (terrificante e anfibia) che si impossessa di giovani innocenti e “retti” e li trasporta nel satanico mondo della lussuria e della perdizione gay! Nonostante questa premessa possa sembrare delirante ai più o far sbellicare dalle risate quelli restanti, il film, un’opera ibrida e coraggiosa, emerge dai festival indie e vince pure svariati premi. Ibrida perchè sfiora svariati filoni e generi, risultando a tratti straniante ma alla fine del suo sviluppo uscendone come originale e discretamente convincente.
È ovviamente la storia dell’amore gay adolescenziale tra gli studenti Kyle e Lee (portati sullo schermo dai bravi Pablo Castelblanco e Jordan Doww), uno dichiaratamente e serenamente gay, di famiglia latina, e l’altro wrestler locale appartenente ad una delirante famiglia di fondamentalisti religiosi. Ovviamente per tutta la durata del film i due poveracci non si avvicinano mai e quasi neanche si sfiorano, grazie all’ossessione terrorizzante che il padre di Lee ha per il rigore “biblico” (e per un oscuro e dannato passato familiare, del quale incolpa la moglie, interpretata da una piacevolmente ritrovata Robyn Lively).
Rigore (ok, pazzia) che lo porta addirittura ad affidare il povero (e deliziosamente bello) figlio alle “cure” di un pastore ancora più folle, che è l’artefice dello spiegone sul ruolo del Ganymede e soprattutto è un fautore delle terapie di conversione (homemade, nientemeno… tipo la Apple Pie), dichiarando che su di lui hanno funzionato alla grande (con la fame di ca**o che si ritrova…). Per fortuna il lieto fine è assicurato, benchè in bocca resti un retrogusto amaro perchè avviene proprio negli ultimissimi secondi e i due piccioncini non hanno modo di tubare manco morti.
Però l’opera ha il pregio di strizzare l’occhio sia al genere “nerd horror”, sia al filone tipo “Another Gay Movie”, dando al contempo una sferzata/coltellata al vetriolo alle terapie di conversione e ai centri ad esse dedicati, che sono – delirio dei deliri – ancora attive e LEGALI (!) in ben 24 degli Stati Uniti d’America. In alcuni passaggi forse Holt e Probst potevano “affondare” maggiormente (tipo nel gore o nell’approccio sessuale… ) ma questo Ganymede è un “fantasy” (o camuffato da tale) che molte famiglie (che si pensava si stessero estinguendo e invece…) dovrebbero vedere insieme ai loro figli. Gay e non.