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The Dead Don’t Hurt

2024
Titolo Originale:
The Dead Don't Hurt
REGIA:
Viggo Mortensen
CAST:
Viggo Mortensen (Holger)
Vicky Krieps (Vivienne)
Solly McLeod (Wenston)

Il nostro giudizio

The Dead Don’t Hurt è un film del 2024, diretto da Viggo Mortensen.

La casa non poggia le sue fondamenta sul terreno, ma su una donna.
Proverbio messicano

The Dead Don’t Hurt (I morti non fanno male) è un western gentile e al contempo crudo nel suo mettere in scena la poca, ma significativa, violenza che vedrete. Viggo Mortensen alla sua seconda regia, presenta questo strano western alla Festa del Cinema di Roma 2024 dopo l’anteprima al Karlovy Vary Festival, ed è un omaggio delicato a sua madre (Grace Gamble Atkinson) quanto a tutte le donne, declinando il genere western in chiave femminista. Vivienne (Vicky Krieps), figlia di immigrati francesi in Canada, vive in modo indipendente a San Francisco, nel pieno del delirio americano del ‘Destino manifesto’ (siamo poco prima della Guerra di Secessione), lì incontra un altro immigrato -danese- Holger Olsen (interpretato da Viggo Mortesen) che stanco di combattere in Europa approda in quelle lande. I due si innamorano e lui la porta a Elk (Nevada): lei, abituata alla vita cittadina e al suo lavoro da fioraia rimane, rimane sconvolta dall’aridità di quei luoghi.

I due convivono, e Vivienne fa di modo e maniera di trasformare quella zona inospitale in un piccolo e rigoglioso paradiso. Il film poteva finire qui, con una solida prima parte dove i due si lasciano andare a siparietti comici (vorrei vedere tanto Mortensen in una commedia) ma no, Olsen sente il bisogno di arruolarsi coi nordisti lasciando la compagna in balia del razzismo americano che ha il volto, forse fin troppo banale e anomino – come il male – del figlio dell’uomo più potente della città, Weston Jeffries (Solly McLeod).
Diretto, prodotto e interpretato da Viggo Mortesen (ha composto anche le musiche) il film ci regala dei momenti poetici affondati in una regia classica, e delle piccole lezioni deprivate di qualsiasi moralismo: ognuno qui segue il suo Dharma, nel bene come Vivienne, nel male come Weston (vera villain e mina vagante), e a cavallo tra questi due opposti c’è Olsen. Vivienne si prende tutta la parte centrale dell’opera, raccontando quello che nessuno racconta mai: la guerra civile che affrontano le donne a casa, del compito gravoso che ricade sulle spalle di chi rimane lontano dai campi e non può andare a combattere. Eppure, Vivivenne cresciuta col mito del padre (morto in battaglia) e di Giovanna d’Arco, non vorrebbe starsene con le mani in mano, ma quel carattere forte e privo di pastoie attirano inevitabilmente le attenzioni di Jeffries.

In sala dal 24 ottobre, The Dead Don’t Hurt (con un budget e tempi ristretti) inizia a dare una forma allo stile da regista di Viggo Mortensen, in bilico tra il cinema narrativo classico e la voglia di giocare coi generi, creando un western/romantico onesto, fatto di silenzi più eloquenti di pagine di sceneggiatura; ciò di cui risente il film è la mancanza dei lunghi anni di solitudine di Vivienne nei panni di una sorridente Sisifo: la sua resistenza attiva ha troppo poco spazio, forse per paura di martirizzarla troppo perché, d’altronde, la storia del mondo è fatta di tragedie grandi e piccole.
Viggo gioca coi piani temporali, meglio di Nolan, lasciando che questa storia d’amore inizi dall’ultimo capitolo e l’epilogo, non meno sofferente, riprende gli echi, per pochissime scene, di The Road (un uomo, un bambino e il pericolo) mettendo in atto la lezione che Olsen imparò da piccolo da suo padre: i morti non fanno male. Così, il duello finale – necessario in ogni western -, si risolve in una piccola e brutale finestra temporale, perché The Dead Don’t Hurt rimane a tutti gli effetti un western, gentile o meno.