Solo per una notte
2023
Solo per una notte è un film del 2023, diretto da Maxime Rappaz.
Chi l’ha detto che una donna verso i sessant’anni non può fare sesso? Dov’è scritto che una signora matura debba rinunciare al piacere? Da nessuna parte, appunto. Per questo Claudine (Jeanne Balibar) ogni martedì affida il figlio disabile a una vicina, esce di casa e si avvia verso un hotel di montagna per incontrare uomini sconosciuti. Tale è l’incipit di Solo per una notte, titolo originale Laissez-Moi, debutto al lungometraggio del regista svizzero Maxime Rappaz, dal 12 dicembre 2024 nelle sale distribuito da Wanted. O meglio, l’inizio è tecnicamente una sequenza che segue la parabola della donna: non sappiamo dove sta andando, lascia la città e il percorso si forma in fieri, sino a incastonarsi tra i monti innevati del paesaggio elvetico. Qui, d’accordo con un lavoratore dell’hotel, chiede qual è l’ospite maschile che si ferma una notte, il viaggiatore d’affari, il viandante, insomma colui che non si trattiene; si avvicina proprio al suo tavolo e – bando alle ciance – esauriti i primi convenevoli si dichiara pronta a salire in camera, consegnandosi a lui. Il sesso si consuma e tutto finisce lì: senza farsi pagare naturalmente, chi offre un obolo viene respinto, e senza mai più rivedersi. È la regola, che permette a Claudine di tornare ad occuparsi del figlio mentre svolge la professione di sarta nel suo negozio.
Solo per una notte può sembrare un film semplice, storia di una donna in 93 minuti, ma nel suo incedere graduale lascia emergere motivi complessi, e non poco: prima di tutto l’affresco di un personaggio femminile che rovescia lo stereotipo di questo tipo di progetto, ovvero ciò che per correttezza “bisogna” raccontare. Claudine infatti, seppure molto legata al figlio non autosufficiente, rifiuta di dedicargli l’intera vita e prende un giorno per sé, anzi poche ore, devolute allo sfogo fisico. Ma non solo: la sessualità pervade in trasversale l’intero racconto e riguarda anche Baptiste (Pierre-Antoine Dubey), che è un giovane disabile nell’età dello sviluppo, ed è quindi normale che posi l’occhio sulla ragazza seminuda che si prova un vestito, uno sguardo pudico ma di desiderio. Claudine, da parte sua, si fa raccontare i viaggi degli amanti occasionali e li riporta alla prole, in forma di lettere dal padre lontano, per assicurargli una presunta figura paterna e negare la realtà dell’abbandono con una tenera bugia. Il vero problema piuttosto si pone quando il meccanismo s’inceppa: davvero si può dedicare al piacere una porzione di tempo fissa e routinaria? L’incontro con un uomo particolare romperà l’hortus conclusus, portando la donna a rivedere una seconda volta il partner, poi una terza, fino a mettere in discussione l’equilibrio della situazione.
Il film raccoglie la fiaccola di quel “cinema sessuale” che ha attraversato la Storia dell’arte settima: anche Claudine è una possibile bella di giorno, parafrasando la Deneuve nel capolavoro di Buñuel, ma espunge dal testo l’attacco alla borghesia per concentrarsi sull’umile realtà quotidiana che vede una mamma alle prese col figlio disabile. Quanto al nodo archetipico della copula con lo sconosciuto, scorrono in sottofondo i classici del genere, da Ultimo Tango a Intimacy, ma Solo per una notte giunge a un approdo molto diverso. Perché attraverso l’evoluzione del personaggio dimostra che non siamo “nati per soffrire”, respinge la vetusta idea pseudo-cristiana della cura totalizzante dell’altro per cui si arriva all’annullamento di sé e postula la necessità di riprendersi la propria vita per viverla, sia nell’orgasmo che nell’amore. Un concetto che viaggia sulle spalle di Jeanne Balibar, davvero magnifica, che si mette a nudo verso i 57 anni senza pudori, carne e anima. Nell’ultima parte si scivola un po’ nella retorica dei sentimenti, con la nascita della nuova coppia, ma il più è già stato detto e fatto e va benissimo così.