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Siviglia 1992

2024
Titolo Originale:
Siviglia 1992
REGIA:
Alex de la Iglesia, Jorge Guerricaechevarría
CAST:
Marian Alvarez
Paz Vega
Pablo Puyol

Il nostro giudizio

Siviglia 1992 è una serie del 2024, diretta da Alex de la Iglesia e Jorge Guerricaechevarria.

Il suo primo film esce nel 1993. Lo ritroviamo ora, su Netflix, con una serie dal titolo 1992. Coincidenze? Non credo. Penso invece che abbia fatto dei pensieri simili ai protagonisti di Invisible Monster di Palahniuk, quelli che, guardando la torre dell’Expo 1962 di Seattle, dicono: “Quand’è che il futuro è passato da essere una promessa a essere una minaccia?”. Sto parlando di Alex de la Iglesia, mi ermano, mi maestro, mi vida. Un regista di culto, un punk del cinema di genere, capace di menare fendenti sovversivi anche su chi credeva di aver visto già tutto. Da quel 1993, l’anno di Azione Mutante, sono passati 30 anni, ed anche se i desideri non invecchiano quasi mai con l’età, è innegabile che l’afflato anarcoinsurrezionalista sia andato affievolendosi, dopo aver raggiunto l’acme con il meraviglioso antifranchismo circense di Balada Triste di Trompeta. Ricordo come una ferita sulla pelle il Pagliaccio Triste, ancor meglio ricordo Carolina Bang, meravigliosa, poi diventata compagna di vita di de la Iglesia ed executive producer. Dopo Balada, altri buoni titoli, certo, il marchio è quello, ma poca memorabilità. Fino ad arrivare a Veneciafrenìa, uscito nelle sale spagnole con poco successo, passato direttamente su Rai4 e RaiPlay in Italia. In Veneciafrenìa, de la Iglesia si appropria di uno spunto di cronaca, l’opposizione dei collettivi antagonisti all’attracco delle grandi navi da crociera a Venezia. Ne fa texture per una storia che intreccia lo spirito – maligno – del Carnevale alla piaga dell’overtourism, del turismo beota ed inconsapevole.

Qui che va rintracciata la scintilla di 1992: prendere un luogo, guardarne fatti di cronaca connotanti, farci su una ballata, meglio macabra che triste. Allora de la Iglesia decide di guardare indietro, alle fonti del suo fare cinema. Di prendere il suo luogo per antonomasia, la Spagna, e precisamente il momento in cui la Spagna, almeno nella percezione degli Spagnoli, smise di essere meridione d’Europa per diventare avanguardia. L’expo di Siviglia, nel 1992. Un nuovo miracolo spagnolo. Con i padiglioni avveniristici, molti a tema spaziale, come a Seattle 1962. Con l’inaugurazione della prima linea ferroviaria ad alta velocità, la Madrid – Siviglia. Con la mangianza, lo sperpero di milioni e milioni di pesetas dei contribuenti, che arricchirono la solita terra d mezzo di politici, imprenditori, palazzinari, criminali. A proposito di palazzinari, del 1993 è anche Uova d’Oro di Bigas Luna, che contro i mostri della cementificazione iberica ci andava giù durissimo. Stessa fonte di ispirazione, la corruzione al potere e le mani sulle città. Tornando a de la Iglesia, l’idea alla base della serie è quindi quella di guardare la Spagna di ieri attraverso fatti di sangue nella Spagna di oggi, dove un misterioso serial killer, dal volto sfigurato che pare una maschera di carnevale, vestito come Kickass (mi fanno notare), fa strage di uomini d’affari e politici più o meno mangiapagnotte. Lo fa con il lanciafiamme, il cui valore politico è già in altri film (Ema di Larrain, ad esempio), incurante degli effetti collaterali, delle vittime non designate che il fuoco raggiunge. Su ognuno dei mortammazzati, il killer fa trovare un Curro, un pupazzetto, la mascotte di Siviglia 1992, più decente del Ciao di Italia 1990 ma ugualmente orribile.

Il Curro sarà la traccia che permetterà ad una coppia inedita – la vedova di un innocente morto di fuoco, ed un ex poliziotto alcolista amico del defunto – di inseguire il killer, su e giù con i treni Renfe da Madrid a Siviglia e viceversa, di addentrarsi in un osceno fatto di sangue occorso nel 1992, dietro le quinte dell’Expo imminente, rimasto senza colpevoli per insabbiamento di indagini che tanto più che Siviglia pareva Suburra. La coppia di detective Improvvisati è improbabile ma altamente empatica, circondata da caratteristi che sono salienti nella cifra registica di de la Iglesia – il tassista no vax complottista su tutti -, e si fa il tifo per questa mani pulite al napalm che il Curro Boy mette in atto. Splendide le scene tra i padiglioni dell’expo, alcuni realmente abbandonati, come fosse modernariato urbano, come fossero rovine grottesche di una civiltà estinta. E si scopre che per questa civiltà effettivamente estinta, in quanto meritava l’estinzione, de la Iglesia prova una sorta di nostalgia, uno struggente ricordo di gioventù, sembra accendersi perché forse si stava meglio quando si stava peggio, almeno a livello di ispirazione e di creatività antisistema, oggi la Spagna è fragile e ci sono gli infami fasci di Vox che attecchiscono, e allora sì che ci vorrebbe il lanciafiamme, e Curro. For all.