
Una fredda via per l’inferno
2024
Una via fredda per l’inferno è un film del 2024, diretto da Fabrizio La Monica.
Il bosco è sempre stato, sin dai più grandi racconti della tradizione orale, il luogo dove ci si perde e si fanno i più spaventosi incontri. Ed è lo stesso luogo che faceva a lungo da sfondo al viaggio della speranza di un padre e di una figlia in Dio non ti odia e in cui “si risolveva” il dramma di un altro padre ne Il buio del giorno. Il regista siciliano Fabrizio La Monica, dunque, ama andare per boschi. Lo fa anche da attore nel recente e molto apprezzato cortometraggio di Danilo Greco Sacra Victima, dove dà corpo e sostanza al più classico dei mostri delle favole. E questo sterminato labirinto di sentieri alberati ritorna a fare da ambientazione al suo quarto lungometraggio Una via fredda per l’inferno (il primo fu il fantasy Vork and the Beast). Un confronto che poi diventa “una follia a due” tra i suoi attori feticci ed indigeni Ferdinando Gattuccio e Roberto Romano. Una dinamica altrettanto classica che vede l’uomo d’ordine all’inseguimento del fuggitivo, con non poche rimembranze del tardo Friedkin in The Hunted. Almeno nelle premesse.
Da una parte abbiamo il ranger forestale Diego (Gattuccio) e dall’altra il criminale in fuga (Romano). Personaggi (e sia chiaro, non gli interpreti) che poco si applicano agli stereotipi di cui sopra. Innanzitutto perché il guardaboschi di fucile armato tutto appare che un Callaghan in mimetica, mentre Lombardo è solo un piccolo criminale con solo l’istinto di sopravvivenza a guidarlo. Niente lotta tra bene e male, nessun giustizialismo di facciata: solo un confronto che però, giustamente e fisiologicamente, deve accendersi e scoppiare tramite la giusta miccia. E così l’inseguimento diventa ossessione, anche quando il bosco inizia ad aprirsi ad angoli inesplorati ed inediti. E nella caccia all’uomo, oltre alle voci nella ricetrasmittente di Diego, finisce coinvolto anche un abitante del luogo (interpretato da Marco Ferrante): il suo ingresso in scena segna lo stacco che fa uscire, con la dovuta calma, la storia dai binari di partenza. Lo smarrimento, anche per chi è abituato come il sottoscritto ad inoltrarsi nel già definito sguardo di La Monica, sia dal punto di vista narrativo che morale. E per una volta l’essere umano e le sue contraddizioni si rimpiccioliscono dinanzi ad un contesto che è esso stesso vivente, pensante, agente. Non resta quindi altro che comprenderne il meccanismo, così come i due inconsapevoli protagonisti. Due uomini persi quanto perdenti, che prima cercano l’altro e poi la via d’uscita (che poi coincide col ritrovare sé stessi).
Naturalmente, anche per un ritmo che progressivamente abbassa i giri per lasciare spazio allo stato di confusione, una soluzione deve presto cadere sulle teste di personaggi e spettatori. Una via fredda per l’inferno (visibile su Prime Video e Tim Vision senza abbonamenti aggiuntivi) ne trova una non tanto dissimile, nel concetto, dai plot twist di un altro regista di genere come Roberto De Feo. Il punto diventa dunque la realtà come oggetto manipolabile, riproducibile e personalizzabile, aldilà di qualsiasi ripercussione di tipo etico. La Monica compie dunque un passo di lato: svolta verso un cinema più diretto, conservando però le atmosfere e continuando ad affidarsi a due interpreti che anche stavolta dimostrano grande intensità e alchimia. Una tela diversa su cui applicare comunque i propri colori e un sentimento di sospensione. Quello che ti lascia la battuta che di fatto chiude il film: “Il dolore è sempre reale: avrei dovuto saperlo prima”.