Histoire du Cul parfait
Omaggio alla perfezione di Rosa Fumetto, il cui corpo è stato edificato dal Grande Architetto dell’Universo in omaggio alle leggi di un’arcana armonia divina. Prendetene e godetene tutti...
Scrivere di Rosa Fumetto richiede cinismo. Cinismo e fede. Un cinico che creda in quello che scrive è ciò che serve alla causa di Rosa Fumetto, che è stata probabilmente portata all’attenzione nostra – nostra intendo di noi esseri umani – per farci capire che se è vero che siamo parti di un Tutto è anche vero, viceversa, che il Tutto si riflette – si può riflettere – nelle nostre parti. Anche quelle basse. Rosa Fumetto, che ebbe (e forse continua ad avere) una coincarnazione con tal Patrizia Novarini, è (rappresenta, interpreta) il Culo della Donna o – rovesciando l’ordine degli addendi il risultato non cambia in un postulato o teorema come questo, rigorosamente matematico – la Donna del Culo. Il Culo (maiuscolo per ribadirne l’importanza, la prosopopea) è un Dio fondamentalmente ignoto, al quale, se molti guardano con religioso rispetto, in pochi ardiscono sacrificare. Abita un tempio con anditi impervi, di scarsa luce, dai riti astrusi. È una sfera, la sua, che affascina e atterrisce. Anche Rosa Fumetto, per virtù transitiva del suo Culo, è tale da affascinare e atterrire. Nessuno le ha mai preso le misure, credo, con compasso e goniometro, ma il Grande Architetto che ha edificato l’universo, certamente fondò le strutture carnee, le cartilagini e l’impalcatura ossea del Culo della Fumetto su perfetti rapporti geometrici segreti. Per compiere i miracoli di una cosa sola. La Rosa è la rosa è la rosa. Ma, il Culo è il culo è il culo: legge d’identità, potenza evocativa del nome che è conseguenza delle cose.
Il Culo di Rosa ha attestazioni antiche. Nel 1973 si mette in luce per la prima volta sugli schermi in un film di Francis Leroi, Les tentations de Marianne (da noi: Le tentazioni di Cristina). Rosa era ancora Patrizia e aveva ventisette anni. Alain Bernardin aveva già conosciuto, saggiato, ammirato, preso, impacchettato e portato a Parigi da Torino il suo Culo, adagiandolo sulla cavalcatura del Crazy Horse, che per tutti gli anni Settanta trascinerà il cocchio trionfale della Rosa fresca aulentissima. È un Culo anche barricadero, che divide i suoi due miracolosi emisferi (ma si racconta di uno sfregio subito a dodici anni dall’ago di una siringa che deturpò una zona del gluteo destro) tra i notturni incantesimi di luce di Avenue George V e i tumulti di piazza della gioventù ribelle parigina. Una donna a Parigi negli anni Settanta è qualcosa di più di una donna. E anche il suo Culo è qualcosa di più di un semplice, ancorché magnifico, Culo. Dopo Leroi che usa Rosa in una visione fredda e inerte (erotismo marxista, scrisse un esegeta ispirato), nell’anno delle meraviglie 1975 Jerôme Savary mescola la nostra Rosa linguatica dannunziana nel calderone di un film che forse moriremo senza mai riuscire a vedere, Le boucher, la star e l’orphelin, un’opera surreale con Delphine Seyrig e Christopher Lee della quale tutto quello che sapevamo dire lo abbiamo detto in un dossier di tanti anni fa. Amori celebri: Johnny Hallyday; e meno celebri: Jacques Weber. Come Rutilio Namaziano, ma seguendo un percorso contrario, il Culo di Rosa rientra in Italia dopo nove anni al Cavallo Pazzo: nodo scorsoio era diventata l’arte matematica dello spogliarsi di Bernardin (un altro dio ingegnere incarnatosi che imponeva i pubi equilateri e neri come la pece e sondava il mistero del rapporto, nel capezzolo, tra perimetro dell’areola e aggetto del peduncolo: fisse numeriche che è lecito ritenere lo spingessero dalla ossessione alla follia, quando nel 1994 si sparò nel cervello con un colpo di revolver). Lei, insofferente di regole e formule, infrangeva le simmetrie mettendosi dita nel naso e facendo boccacce mentre le luci stroboscopiche la trafiggevano sul palco. Ma Bernardin gradì e la obbligò a rifarlo ogni sera.
Sul suo ritorno: Rosa viene assunta in una commedia pugliese, scritta e diretta dallo scenografo Franco Bottari, dove né lei né il Culo che abita (o dal quale è abitata) possono qualcosa: La vedova del trullo passa come la gloria del mondo nel proverbio cristiano. Perché una cosa è Parigi e una cosa è il bis italiano. E il Crazy Horse è esperienza tale da dare il senso a una vita. Tantopiù a un Culo. In Italia, Rosa Rosae non potè fare altro che rappresentare l’idea plotiniana, degradata, del Cavallo Pazzo: nel Cappello sulle Ventitré andava in scena il fumetto della Fumetto, uno spogliarello ormai spogliato di tutto. Lei e Trucula Bon Bon, regesti del Mito. E il Culo che prendeva luce dal Mito, brillò ancora un poco, prima di eclissarsi entrando in congiunzione con le tenebre. Il cinema italiano attendeva al varco, da quel brigante da passo che era: il divino Culo della Rosa (quasi) mistica poteva finire peggio e sarebbe stato molto meglio. Perché, in fondo, ci sarebbe piaciuto vedere un po’ insozzata l’immagine di quella figuretta astratta (Culo o non Culo) che non consentiva di capire bene, mai, dove terminasse la carne e dove cominciasse l’aria. E invece la diafana Rosa fece un film con Umberto Smaila, Liberate la Scimmia poi Italian Boys, stupido e inutile. E fece la malafemmena in Poverammore, di Vincenzo Salviani, una sceneggiata che ostentava invece sufficienti approssimazioni e squadernature per diventare abbastanza interessante – forse perché c’entrava anche Fernando di Leo. Il Culo (per metonimia) cantò anche: incise nel 1979 per la Rca Crazy Moon (il 45 contiene anche Una Rosa per te) che si racconta andasse forte in Spagna, e poi un altro singolo Non mi chiedere perché /Aux Caraibes lanciato nel 1984 al Cappello sulle Ventitré. Anche un cabaret musicale in due atti, dal titolo Taffetà. Quisquilie, rispetto al disegno globale delle occasioni di Rosa. La cui presenza nuda sulle pagine di Playmen esprime il valore del detto “portare vasi a Samo” come quella pratica del tutto inutile e superflua. Rosa era sempre stata senza veli, come la rosa del proverbio è senza perché e fiorisce perché fiorisce.
Il magistero del Crazy non solo inclina ma determina una vita. Stabilisce punti rispetto ai quali, dopo, non possono esserci che approssimazioni con largo difetto. Cosa ha fatto Rosa, dopo? Ha girato con Jean-Jacques Beineix, Lo specchio del desiderio (La lune dans le canivaux); ha girato con Memé Perlini, Cartoline italiane; ha girato un episodio tv della serie L’ispettore Sarti; ha girato l’orrenda archeologica soap italiana Passioni di Fabrizio Costa; ha girato, molto più di recente, nel 2007, Gloss cambiare si può di Valentina Brandolini, che nessuno ha la più pallida idea di che cosa possa essere e non viene voglia di saperlo. Ha fatto anche teatro, con Ernesto Mahieux, il nano dell’Imbalsamatore. Del suo Culo, invece, non ci si può permettere il lusso di ignorare che prestò le proprie fattezze in un’epoca lontana alla pubblicità dell’intimo Roberta, bruciando sul filo di lana il Culo concorrente di Nadia Cassini. Rosa oggi è su Facebook; non è persona di facile entratura e ha una bella foto di copertina nel diario: un’immagine in bianco e nero con alcune divinità del Crazy che scherzano facendo finta di avere i denti guasti…