No Other Land
2024
No Other Land è un film del 2024, diretto da Yuval Abraham, Basel Adra, Hamdan Ballal, Rachel Szor.
A chi interessa che venga ripresa e raccontata questa storia? Secondo il collettivo israelo-palestinese che ha realizzato il docufilm No Other Land, “non a molti in realtà, ma speriamo di poter cambiare le cose”. L’opera arriva in sala dal 16 gennaio 2025, dopo la presentazione all’ultimo Bari International Gender Festival
. Gli storici sanno che ogni testimonianza, per quanto piccola e apparentemente insignificante, è fondamentale affinché un giorno si possano restituire alla Storia anche le sue pagine più nere, fino al più infimo crimine: se è vero che “la storia la scrivono i vincitori” (o anche solo i più forti), è anche vero che le voci di chi non ha voce ci sono, resistono, basta saperle e volerle ascoltare. “Una goccia non farà la differenza, ma goccia dopo goccia arriverà il cambiamento” dicono i realizzatori, che è poi quasi la stessa cosa che ha detto Lorenzo Tekoşer Orsetti (partigiano italiano per il Kurdistan) nella lettera-testamento postuma dopo la sua uccisione: “Ogni tempesta inizia con una singola goccia. Cercate di essere voi quella goccia”. I protagonisti sono l’attivista palestinese Basel e il giornalista israeliano Yuvalsi, i quali documentano gli sfratti e le demolizioni quotidiane ad opera dell’esercito israeliano nella zona di Masafer Yatta, in Cisgiordania, che avvengono nel silenzio totale di ogni mezzo di comunicazione ufficiale, e si interrogano sul modo migliore per impiegare i canali di comunicazione non ufficiali per far circolare il più possibile le loro storie. Un ruolo fondamentale nella resistenza contemporanea lo hanno gli smartphone, un mezzo potentissimo per testimoniare e raccontare: oggi si può documentare sul campo in tempo reale, la Storia non è più appannaggio esclusivo dei vincitori. Un mezzo così potente e temuto da provocare minacce ed arresti nei confronti di un giornalista che sta semplicemente facendo il suo lavoro, ma dalla parte “sbagliata”.Basel e Yuvalsi sanno che le loro testimonianze non faranno la differenza nel breve termine, ma non si arrendono neanche davanti alle più atroci minacce, perché coscienti del valore della testimonianza nel tempo. “Il problema è che le persone devono capire come poter fare la differenza. Guardano un video, si commuovono, e poi? Cosa possiamo fare?”. Il docufilm quindi ha il merito di rimettere il popolo palestinese al centro della Storia non solo come vittima inerme ma come parte attiva e autodeterminata che da sempre oppone resistenza in tutti i modi possibili, nonostante l’estrema imparità dei mezzi e delle forze, rialzandosi sempre con dignità. La risposta alla resistenza palestinese è duplice: sul lato pratico, quello nascosto ai mass media, si hanno arresti, sparizioni e massacri a sangue freddo. Sul lato mediatico si ha il solito “piagnisteo” sull’antisemitismo, che gioca a fare confusione sui termini ebreo/israeliano/sionista (che non sono sinonimi ma tre termini diversi, con significati differenti: basta prendersi la briga di verificare su Google). Ma d’altronde l’esercito israeliano è maestro di ribaltamento di frittate e paradossi, lo si capisce subito dall’emblematica scena iniziale. Un gruppo di abitanti di un villaggio della zona di Masafer Yatta, prevalentemente donne, bambini, invalidi e anziani, testimonia come di punto in bianco si siano presentati dei militari armati con delle ruspe a sfrattarli dalle loro case: “Il nostro villaggio compare nelle mappe dal 19esimo secolo, ma Israele non lo riconosce, per loro non esiste. Ci sono voluti 22 anni in un tribunale – un tribunale non nostro – finché Israele non ha deciso di demolire comunque il villaggio per farci un campo di addestramento militare”. Un anziano dice a un soldato col mitra: “Io qui ci sono nato 70 anni fa”, il soldato risponde: “E cosa ci fai ancora qua? Non lo sai che stai occupando abusivamente il nostro campo di addestramento militare? Queste costruzioni (ndr: che stanno lì da decine e decine di anni) sono abusive, lo dice la legge, vattene o ti sparo”. Così madri con bambini vengono cacciati di casa, lasciandogli giusto il tempo di portare via i vestiti che hanno addosso. Gli invalidi muoiono di stenti e mancate cure, attrezzature da lavoro, macchine e animali vengono espropriati con la forza, si gettano colate di cemento nei pozzi d’acqua. E si comincia a demolire ogni edificio, senza pietà, senza aspettare neanche che i bambini finiscano di uscire di corsa dalle scuole. Ogni segno di protesta (cortei, striscioni) viene disperso con lancio di granate, ogni reazione alle ingiustizie ha una risposta punitiva decisamente sproporzionata.
Un altro punto cardine della vicenda è la notevole disparità tra le condizioni di vita dei due protagonisti: Basel non è libero neanche di circolare tra i vari villaggi, la sua è una delle tante storie di resistenza quotidiana palestinese, la madre che la mattina mentre gli prepara il caffè gli dice “ti ho lavato i vestiti, così se ti arrestano hai la borsa pronta”, come se fosse una cosa normale, all’ordine del giorno. Yuval invece è israeliano e quindi nato dalla parte “giusta”, può circolare liberamente nei terreni palestinesi per poi rientrare a dormire sonni tranquilli nella sua casa, al sicuro. Ha però rifiutato il servizio di leva obbligatorio nell’esercito, ed ha scelto di mettere i suoi privilegi e il suo relativo potere al servizio della causa degli oppressi, a dimostrazione che non è tanto dove nasci e in che posizione ad importare, ma l’uso che fai della posizione in cui ti trovi. Yuval riesce a far circolare un po’ di materiale giornalistico solo in quanto israeliano, ed è utile anche perché l’esercito è più restio a usare la forza mentre viene ripreso; ma riceve continuamente minacce: “Stanotte veniamo ad arrestarti, la tua faccia ora sta su Facebook vedrai che verranno a prenderti”, eccetera. L’esercito, infatti, ci tiene particolarmente ad allontanare chi fa riprese ogni volta che viene fatta qualche spedizione. No Other Land è un piccolo ma importantissimo tassello del puzzle che compone il quadro di quella che i mass media si ostinano a definire una “guerra”, ma che sarebbe più opportuno chiamare “genocidio”, trattandosi di un massacro impunito ad armi impari. Sono state tante le voci che negli anni si sono sollevate contro il genocidio del popolo palestinese, anche da parte di ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio ai quali è stata promessa come ricompensa una nuova casa nella “terra promessa”: ma in quanto sopravvissuti a uno sterminio di massa, come si può accettare di vivere in case costruite sul sangue di un altro popolo?
No Other Land è stato girato in maniera indipendente e a rischio della propria vita da un collettivo di quattro registi: i già citati Basel Adra e Yuval Abraham, più il palestinese Hamdam Ballal, amico di Basel, e Rachel Szor, regista israeliana con base a Gerusalemme. Ha vinto l’Audience Award e il Panorama Documentary Award alla Berlinale, è stato votato Miglior documentario europeo agli EFA 2024. Infine è entrato nella shortlist per la categoria Documentari agli Oscar 2025.