Bagman
2024
Bagman è un film del 2024, diretto da Colm McCarthy.
Da Boogeyman a Bagman, in sala dal 23 gennaio, il passo è breve. Basta infatti pigliare il solito oscuro Man – sia esso il sovrannaturale Slender piuttosto che l’altrettanto demoniaco Bye Bye – e schiaffagli in mano un grosso consunto borsone di pelle nel quale ripiegare, con meticolosa brutalità, le proprie giovani ed indifese vittime; così come la celeberrima e nerissima favoletta della buonanotte da sempre comanda. Tutto qui, diete voi? Beh si, poiché, tolta un’ideuzza che, almeno sulla carta, potrebbe risultare un tantinello allettante solamente per coloro i quali fossero ancora digiuni dall’ultimo mezzo secolo di brividi su grande e piccolo schermo, dell’opera seconda dell’inglesissimo Colm McCarthy rimane davvero poco su cui valga la pena di spendere tempo e parole. L’aver scelto poi di pubblicizzare questo loffio e derivativo horrorino sbandierandone ai quattro venti la non certo rimarchevole affiliazione con gli stessi (ir)responsabili loschi figuri ben celati dietro all’insuccesso di due filmiche sole quali Gli occhi del diavolo e The Strangers: Capitolo 1, beh, diciamo pure che non ha certamente giovato alla già risicata reputazione dell’intera operazione, no?
Ma volendo dare a Cesare quel che è di Cesare e a McCarthy ciò che è di McCarthy, se è pur vero che, come amava ripetere quel gran volpone di Jean-Luc Godard, ogni film, anche il più becero, riserva sempre qualche sorpresina, è altrettanto vero che anche un filmetto come Bagman qualcosa di buono dovrà pure avercelo, giusto? In effetti si, poiché, depennate dalla lista una trama risaputa quanto una poesiola natalizia, una messa in scena fiaccamente anonima come il peggior pilot da seconda serata e perfomance attoriali non particolarmente eclatanti, ciò che rimane è solo una durata provvidenzialmente contenuta grazie alla quale ogni eventuale danno collaterale viene opportunamente arginato ben prima dei tanto anelati titoli di coda. Novanta agili e del tutto indolori minutini destinati a raccontarci l’incubotica disavventura del buon Patrick (Sam Claffin), giovane padre di famiglia con il pallino dell’intaglio, mille sogni nel cassetto ma anche altrettanti conti da saldare con i quattro spicci rimastigli nell’ormai arida saccoccia. Costretto dall’indigenza a ritornare in quel della genitoriale casetta assieme alla moglie Karina (Antonia Thomas) e al figlioletto Jake (Carél Vincent Rhoden) per affiancare a malincuore il fratello Liam (Steven Cree) nella gestione dell’azienda paterna da poco ereditata, il nostro dovrà tuttavia vedersela con gli oscuri demoni del proprio passato, ritornati per l’occasione sotto l’incappucciata, rachitica e ghignante forma di un folkloristico babau di conjuringhana fattura nel cui capiente ed affamato marsupione non i soliti birbanti matricolati ma bensì giovincelli di belle e buone speranze attendono solo di essere disarticolati ed insaccati per l’eternità.
Pensavo fosse The Piper e invece, ma guarda un po’, era solo Bagman. Ammetto che il flauto – impiegato stavolta non come arma di esoterica offesa ma bensì quale totemica improbabile difesa – mi aveva inizialmente sviato; facendomi credere, seppur per un solo istante, di essere al cospetto di un’opera quantomeno degna di condividere il medesimo hameliniano spauracchio del non certo eclatante titolo firmato da Erlingur Thoroddsen giusto un paio d’annetti orsono. Ma che sia un piffero di legno piuttosto che un borsone di cuoio, nessun manufatto del malaugurio può esimerci dal prendere atto di come tante (troppe) cosucce davvero non funzionino nell’ultima (s)fatica(ta) di McCarthy. Uno che, dopo la discreta fantascientifica prova registica con The Girl with All the Gifts e una corposa gimcana fra Black Mirror, Scherlock, Peaky Blinders, Doctor Who e diverse altre esperienze seriali ben degne di nota, con questo suo ultimo infimo exploit registico parrebbe essere retrocesso in un sol colpo a quel fetentissimo Outcast da cui tutto era non certo egregiamente iniziato e nel quale, a questo punto, tutto rischia di finire nel più triste dei modi. Converrebbe dunque prendere baracca e burattini – gli stessi che, come da copione, pure stavolta fan capolino dietro ogni anfratto con il fallito obiettivo di farci correre un brivido lungo la schiena –, chiedere in prestito al nostro Crooked Man da discount la sua capiente bisaccia per gettarveli dentro, assieme al tempo e al denaro speso, così da rinchiudere infine il tutto in quella buia soffitta dove, più che i soliti mostri, solo oblio, rabbia e parecchia stanca delusione possono ormai trovare riparo.