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L’erede

2024
Titolo Originale:
Le successeur
REGIA:
Xavier Legrand
CAST:
Marc André-Grondin (Ellias)
Yves Jacques (Dominique)
Laetitia Isambert-Denis (Janie)

Il nostro giudizio

L’erede è un film del 2024, diretto da Xavier Legrand.

Ellias Barnès (Marc André-Grondin) è un grande stilista. Seppure ancora giovane, è già diventato direttore artistico di una celebre casa di moda: il film si apre con una sfilata, scandita dalla colonna sonora incalzante, che si conclude in trionfo per l’uomo. Ellias prima si chiamava Sebastian: ha cambiato nome e chiuso il rapporto col padre, per motivi ignoti, che invecchia solo in Québec. Proprio quando il successo comincia a baciarlo, Ellias accusa dolori al petto e sospetta sia una malattia ereditaria, qualcosa che deriva dal genitore lontano. Mentre esegue gli esami di routine, giunge la notizia: il padre è morto colpito da un infarto. Ecco allora che la stella dell’atelier deve recarsi in loco, tra le nevi canadesi, per occuparsi del funerale e della trafila burocratica, come svuotare casa, insomma di ciò che resta. Il migliore amico del papà lo accoglie con commozione e compassione, con parole dolci, assicurando che il defunto sapeva di aver sbagliato con lui, non sappiamo perché. A ogni modo il lutto sembra avere interrotto momentaneamente la sua ascesa, appena prima di finire sulla cover di una rivista importante; in realtà non è così. Alle prese con gli adempimenti, Ellias nell’abitazione trova una porta chiusa, per cui le chiavi sembrano smarrite: poi l’entrata si rende possibile e la scala porta a un seminterrato, dove sembra tutto normale. Tranne un vestito macchiato di sangue…

A questo punto (spoiler) la svolta: in una stanza segreta l’uomo scopre una cella in cui giace una ragazza giovanissima, ancora viva e terrorizzata. Il padre era un novello Fritzl, un orco, e ora spetta all’Ellias ex Sebastian gestire il peso di tale eredità. Spalancato l’abisso, visto in faccia l’orrore, sono due le possibili scelte: spezzarlo, distruggerlo o continuare ad esercitarlo. Xavier Legrand, già regista de L’affido, torna con un film che è una riflessione sul Male sorda e profonda, dolente e stratificata. Il regista in premessa dichiara l’intenzione di raccontare una storia di patriarcato, di violenza degli uomini contro le donne, ma la questione è più complessa di così: “Mi sono chiesto dove inizia la cultura del potere e come si trasmette la violenza in ciò che io chiamo ‘il conservatorio della virilità’, da uomo a uomo, da padre in figlio”. Adattando il romanzo L’Ascendant di Alexandre Postel, però, allestisce una rappresentazione che non lancia mai un messaggio esplicito, bensì lo costruisce dentro il racconto attraverso il ricorso ai codici di genere: horror, thriller e noir convergono nella casa di un padre-mostro defunto, che ospita la lunga prima parte, e la tensione si tira come un elastico fino alla scoperta dell’orrido segreto, che provoca a Ellias un collasso psicofisico.

Il cinema dell’orrore viene mirabilmente squadernato nel percorso che porta al ritrovamento della vittima: tanto sembra ordinaria la dimora paterna, quanto è sconcertante la realtà dietro la porta chiusa e la pantomima senza parole condotta dal protagonista, che si conclude nelle urla agghiaccianti della rivelazione. I corpi perfetti delle modelle si riflettono nel corpo violato della rapita. La normalità del “buon uomo” viene sabotata dall’indicibile. Da qui inizia tutto un altro film: cosa può fare Ellias? Denunciare o occultare? Su questa biforcazione cammina il discorso sulla discendenza del Male, che si trasmette tra generazioni anche se scappi il più lontano possibile. Il legno storto, la linea guasta non si può aggiustare. Perché manca un atto, un gesto clamoroso che spezzi la catena. È così che la strada di Ellias si incarta in modo tragico e precipita verso il finale, che contiene una rivelazione nella rivelazione. L’unico limite del regista è alzare troppo il tono, letterale, proprio il volume della sofferenza e il decibel del dolore, l’esplosione del pianto: come già ne L’affido, a tratti rischia di scambiare l’urlato per l’incisivo. Per il resto, un film sottilmente hanekiano.