Tornano i cinepanettoni
Tornano, puntualmente degradanti e ricchi di successo, i cinepanettoni: perché all’Italia della crisi 2013 non resta, evidentemente, che ridere. Con Zalone, Ruffini, Parenti, Brizzi e Pieraccioni...
Solo due anni fa, scrivevamo su Nocturno che la crisi economica e la diffusa atmosfera di tristezza che circondava quel Natale (in cui uscì il cinepanettone Vacanze di Natale a Cortina) non aveva impedito agli spettatori di pagare il biglietto (magari di una numerosa famiglia) per l’ultima fatica di Neri Parenti e che quella spesa non avrebbe cambiato loro la vita, bastando, in fondo, per potersene permettere la visione, bersi qualche caffè in meno. Oggi non ci sentiremmo di dire lo stesso, o almeno non per tutte le fasce di spettatori. Vedremo se gli incassi ci daranno ragione. Fatto sta che, almeno al momento in cui scriviamo, nei primi 5 giorni di programmazione del Natale 2013, il film di Fausto Brizzi, Indovina chi viene a Natale? ha incassato un milione. Non certo un record. Un po’ meglio è andato, invece, per ora, Neri Parenti che è tornato quest’anno con Colpi di fortuna (2 milioni e mezzo nelle stesse cinque giornate).
Paradossalmente, forse ha fatto bene Medusa a programmare Sole a catinelle, il terzo film con Checco Zalone, prima delle feste, laddove il Natale ha svuotato le tasche di molte persone per altre spese tradizionali, più che nei mesi precedenti. Fatto sta che il signor Luca Medici, vero nome di Zalone, è riuscito a superare i 50 milioni di incassi, conquistando così il primato di film italiano più visto di sempre (del resto, anche il precedente aveva avuto un successo quasi analogo). Perché? Qualcuno paragona questo suo boom con quello della discesa in campo di Berlusconi, tanto più leggendo quanto riportato dall’house organ dell’ex ministro Renato Brunetta: «Il film Sole a catinelle di Checco Zalone esprime in pieno la filosofia positiva, generosa, anticomunista, moderata, serena di Berlusconi e di Forza Italia». Insomma, Zalone diventa testimonial, suo malgrado, del berlusconismo. Mah!
Certo quello di Zalone non è un film di Nanni Moretti… ma da questo a farne il manifesto di Forza Italia ce ne passa…. A noi interesserebbe di più analizzarlo nel suo specifico filmico (ahi! Che termine demodè!) che, però, latita, o meglio, si può vagamente rintracciare soltanto nella scena finale, quando Zalone e il figlioletto, davanti al capezzale della vecchia zia, non riescono a trattenere le risate: la moribonda si tira su e, esplicitando il proprio ruolo di attrice, se la spassa con loro. Metacinema? Chissà. Forse proprio come il cinema-nel-cinema dei registi cinéphiles della Nouvelle Vague, che utilizzavano la macchina da presa anche per portare allo spettatore l’idea che del cinema si erano fatti… Per il resto, il film di Zalone è tv, buona tv di intrattenimento (mille volte meglio dei vari patetici comici di Made in Sud o di Colorado Cafè). E poi, ci sarà ben un motivo se, quando si parla, per esempio, di un film con Mastroianni o con Tognazzi, diretto da Fellini o da Bertolucci, si dice comunque che è un film di Fellini o che è un film di Bertolucci, e non si dice mai che è un film di Mastroianni o un film di Tognazzi? E nessuno, invece, neppure gli addetti ai lavori, per indicare, che so, Amici ahrarara parla del film di Franco Amurri, ma lo cita come un film dei Fichi d’India? O, per tornare al tema, perché nessuno dice che va a vedere un film di Gennaro Nunziante, ma un film di Checco Zalone? Chiaro, perché il ruolo del regista è praticamente assente, anche se, Nunziante, da uomo intelligente qual è, e anche da ex attore, precede la critica affermando: «Il complimento più bello è quando dicono che non è cinema. È proprio quello che non volevo fare. Il mio approccio con il linguaggio cinematografico è ironico: non mi prendo troppo sul serio e mi diverte più sovvertire un codice che omologarmi». In realtà, più che sovvertire un codice, Nunziante lo ignora quasi totalmente e giustamente, dal suo punto di vista, perché non fa cinema, ma televisione su grande schermo.
E siccome i “fenomeni” pagano, Sole a catinelle è stato presentato all’Istituto di Cultura Italiana di Parigi e le case di produzione francesi, spagnole, tedesche e americane sembrano nutrire un certo interesse a una sua nuova versione in salsa estera, sull’onda di una recente moda (per ora solo italo-francese, salvo rare, lontane eccezioni come Profumo di donna…) che ci ha propinato Benvenuti al Sud, versione italiana del francese Giù al Nord, e Stai lontana da me con Enrico Brignano e Ambra Angiolini, da Per sfortuna che ci sei. Postmodernismo allo stato puro. Proprio come un altro film pre-panettonico di quest’anno, Cervelli in fuga di Paolo Ruffini, interpretazione tosco-italiota dello spagnolo Fuga de cerebros di Fernando Gonzales Molina, successone iberico. Quello di Ruffini ha raggiunto i 5 milioni al 26 dicembre 2013! Eppure si tratta di un prodottino che definire patetico sarebbe poco: comicità toscana (ma che coglioni ‘sti toscani!) al cui confronto Pierino il fichissimo di Alessandro Metz, pur sottoprodotto dei Pierini nostrani anni 80, avrebbe meritato l’oscar della comicità (ve la ricordate la scena del peto-tsunami della moglie cicciona di Nino Terzo? Era oggettivamente difficile non ridere…).
Un filmetto, questo Fuga di cervelli, dove lo stesso Ruffini, la iena “scoreggiatrice” Frank Matano, Andrea Pisani e Guglielmo Scilla, pur ignoranti come babbuini, riescono, con un improbabile stratagemma informatico, a iscriversi all’università di Oxford per spalleggiare un quinto sfigato del gruppo (Luca Peracino), innamorato di una ragazza (Olga Kent) emigrata in quell’università e che, in una sola scena, mostra il culetto nudo (persino quello è bruttino, piatto). Tentando il politicamente corretto a suon di diversamente abili e border line (uno è cieco, l’altro idiota e gli cresceranno le tette, un altro sta in carrozzina, un altro ancora è un tossico che non si stacca mai dal suo oggetto transizionale, una zebra di peluche), i cinque ci propinano una serie di battute del tipo «tu di figa non ci capisci nulla, secondo me sei uscito dal culo» oppure «Alonso se mi stringi la mano sei uno stron-so» che neppure nel peggior avanspettacolo… Per di più, a compensare l’inutile volgarità, il finale è happy (il cieco si fidanza con una cieca e ci sarà una compagnuccia brava e amorosa e, per Matano, ormai trans, un amichetto). A condimento del minestrone, il film ci serve un retorico inno all’amicizia in quanto valore immarcescibile. Ma, se al pubblico è piaciuto, significa che siamo noi a non capire un cazzo di cinema… o no? Questi filmetti – va detto con chiarezza – sono tutt’altra cosa rispetto ai nostri film di genere 60, 70 e 80, dal peplum alla commedia erotica, dal poliziottesco ai Franco & Ciccio e via scrivendo, che noi di Nocturno abbiamo riscoperto in tempi non sospetti. Quello, che potesse piacere o meno, era cinema. I registi, a quei tempi, non facevano, salvo rare eccezioni (ma era Cottafavi!) televisione e provenivano tutti da un artigianato povero e leale della cinematografia nostrana. C’è una bella differenza!
C’è, poi, il pubblico. Ed eccoci, il pomeriggio del Natale 2013, in una multisala, davanti a un cinepanettone, in un momento storico di crisi economica per il nostro Paese. Fra papà single con figlioletto (le famiglie numerose sono poche, e per ragioni pecuniarie e per lungaggini postprandiali natalizie); pensionati soli (fra i quali potremmo annoverarci); ragazzini che versano i popcorn sui pantaloni del vicino di poltrona; fidanzatini dell’hinterland con le pance gonfie di Coca Cola e folle che ridono (non sorridono) alle gag del film con una passione sproporzionata alla pregnanza comica delle battute (quasi fosse obbligatoria la risata sonora e plateale). Il sito Best Movie propone provocatoriamente un “risatometro”, per valutare questo genere di prodotti cinematografici. A voler essere un po’ snob potremmo definire la nostra esperienza natalizia, per dirla con Joel Schumacher, una giornata di ordinaria follia, oppure, citando il compianto Ken Russell, uno stato di allucinazione. Abbiamo visto, in quel contesto, Indovina chi viene a Natale?, di Fausto Brizzi, fra i principali sceneggiatori, per De Laurentiis, di tanti (vacanzieri) prodotti e qui in veste di panetton-regista. Il titolo è un evidente richiamo a quell’Indovina chi viene a cena? di Stanley Kramer, che segnò, pochi giorni dopo il termine delle riprese, la fine del grande Spencer Tracy, controcampo di Sidney Poitier che lo stesso regista aveva diretto nel 1958 nel ben più interessante La parete di fango. In Brizzi non si tratta, però, di un razzismo progressista nei confronti dei neri, ma versus un disabile (Bova privo di arti superiori).
Il film punta anche sulle abbuffanti festività che la tradizione obbliga a trascorrere in famiglia. Il regista tenta un approccio vagamente trasgressivo in stile parenti-serpenti, laddove, a Natale, quando, secondo i produttori del panettone Bauli, tutti dovremmo essere più buoni, emergono vecchie tensioni irrisolte. Peccato che il finale happy (del resto è un film di Natale, no?) porti al trionfo dei consueti cari sentimenti. Insomma, non aspettatevi un clima alla Festen di Thomas Vinterberg. Qui ci sono bambini rompipalle, fidanzati misteriosi, vedove inconsolabili. Tutti, ospiti di una coppia di genitori, protagonisti di cattiverie e finali generosità, fra battute e gag dei pur sempre bravi Angela Finocchiaro, Diego Abatantuono, Claudio Bisio, Carlo Buccirosso, Raoul Bova, e persino Isa Barzizza (chi più ne ha più ne metta…). È, complessivamente, un cinepanettone anomalo che tenta, quanto meno, una svolta rispetto al cliché. Difatti, il prezzo rischia di pagarlo il produttore (e non lo spettatore) in termini di afflusso di pubblico. Almeno al momento in cui scriviamo, nei primi 5 giorni di programmazione natalizia, ha incassato un milione. Non certo un record.
Meglio è andato, invece, Neri Parenti che è tornato quest’anno con Colpi di fortuna. Ancora una volta puntando sulla tradizione del film nostrano a episodi. Nel primo, Parenti si affida a Paolo Kessisoglu e Luca Bizzarri che vorrebbero una barca tutta loro mentre devono accontentarsi di vedere quelle degli altri (sono dipendenti della MSC Crociere, quella vera, grazie al product placement). Paolo finirà con l’ubriacarsi per amore di una cassiera e perdere il biglietto vincente della lotteria ritrovandolo fra mille traversie e coinvolgendo persino i calciatori del Napoli. Nel secondo, il mattatore è Christian De Sica («È il mio ultimo cinepanettone», ha fatto sapere), ricco industriale del settore tessile, superstizioso all’inverosimile che deve vedersela con Francesco Mandelli (un “solito idiota”) noto traduttore dal mongolo (che gli serve per concludere un affare laggiù) ma anche, ahimè, grande iettatore. Finirà, comunque, per andar bene a De Sica.Nel terzo assistiamo al debutto cinepanettonesco di Lillo e Greg, qui fratelli. Lillo è un ex ballerino della Carrà che lavora in un ospizio e che “eredita” un fratello mattoide da un padre che non sapeva di avere. Anche qui, analogo coup de théâtre: sarà il fratello “strano” a portargli quattrini.
Ha detto Parenti, da ottimo osservatore sociale: «Colpi di fortuna nasce dal desiderio di fare un film ottimista in un periodo di malessere e malumore come questo. Pensare che un colpo di fortuna possa cambiare la propria situazione può far sognare, ma anche riflettere. Il cambiamento principale, rispetto al film del 2012, risiede nell’argomento: in Colpi di fulmine era l’amore, qui è la buona sorte».
Anche Leonardo Pieraccioni tenta il cambiamento, quest’anno. E, al suo undicesimo film, Un fantastico via vai, punta sul gap generazionale: l’attore-regista è cacciato da casa dalla moglie gelosa ed è costretto a vivere in un appartamentino insieme con due giovani universitari. Tenta, inizialmente, di adeguarsi al modus vivendi dei ragazzi, ma finisce per accorgersi che quei tempi sono finiti da un pezzo: dà una mano esistenzial-amorosa ai suoi conviventi e torna a casa come Lassie. Stavolta, nel film di Pieraccioni, manca la figona di turno, ma il problema è che mancano anche le risate.
Speriamo di rifarci con Sapore di te di Carlo Vanzina (dal 9 gennaio 2013), una sorta di remake, sempre ambientato a Forte dei Marmi, ma a metà anni 80, di quel Sapore di mare che resta il più bel film dei figli di Steno, gli inventori anche del cinepanettone – i Vanzina hanno più volte dichiarato che il genere nacque nel 1982 quando, proprio in virtù del boom di Sapore di mare Aurelio De Laurentiis gli affidò un film che potesse ripetere un analogo successo, ma ambientato a Natale.
L’impressione di fondo è, in definitiva, che il cinepanettone propriamente detto sia sul viale del tramonto. Ma, in fondo al viale, come cantavano i Gens nel 1969, che c’è?