Julia Messina: Giulia & Julia

Un'attrice in lancio tra due (e più) mondi
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Giulia Messina, in arte Julia (“Gli anglofoni non riescono a leggere e pronunciare “Giu”. Quando mi sono iscritta al sindacato di Equity in UK e poi a Spotlight, ho cambiato il mio nome in Julia. Ora, in Italia, mi chiamano Yulia… ma pazienza”) è una giovane attrice, grossetana, lanciatissima tra Italia e Inghilterra, con molta carne al fuoco, tra serie tv e cinema: Those About to Die, Bel canto, A.C.A.B. la serie, Solo mio, Miss Fallaci… 

Leggevo quella, devo dire assai brillante e divertente, mini-biografia che hai scritto e inserito tra i materiali stampa, per presentarti e tracciare un po’ il filo dell’infanzia, vocazione e prime esperienze di Julia Messina… 

Ebbene sì, è opera mia (ride) 

Ti cito: “In effetti, già all’asilo dalle suore ero stata scelta per fare Maria alla recita di Natale e cantare da solista durante la messa della Vigilia. Un inizio col botto insomma…” 

(ride) Sono quegli aneddoti che racconterebbe mia madre: “Ah, ma lei già faceva questo all’asilo!”.  

Una bambina estroversa, comunque…  

Sai, credo che tra noi artisti, attori soprattutto, ci siano tante sfumature. Anche di personalità. C’è chi ha maggiore estroversione, chi è animale da palcoscenico e prova piacere nel mostrarsi, e chi, invece, vive questa tensione, questa passione come… un sogno, un momento, non voglio dire di fuga, ma come la possibilità di entrare in una realtà parallela a quella che invece viviamo. Ecco, io ero un po’ più così… 

E le suore a scuola sono state le tue prime fan. Ma già cantavi per loro Janis Joplin? 

No, questo succedeva dopo… Diciamo che l’aneddoto principale è che io, alle medie, a undici anni, volevo iscrivermi a un corso di chitarra, tra l’altro gratuito. Andai da mia madre e le dissi: “Mamma, per favore, mi iscrivi al corso di chitarra?”. Per tutta risposta, lei mi iscrisse, invece, a un corso di canto: questo perché, sin dall’asilo e poi alle elementari, in occasione di queste recite o performances di noi bambini, mi mettevano sempre a fare la cantante solista. Io era “quella che doveva cantare”. Perciò, adesso mi ritrovo a non saper suonare la chitarra a livello professionale, come avrei voluto (ride). In compenso, ho diversi anni di studi alle spalle, nel canto… 

Foto di Mark Barnfield ©

La musica è stata una prima grande passione… 

Assolutamente sì e in maniera molto naturale. È stata la mia prima compagna artistica. Durante l’adolescenza tantissimo: ho sempre suonato con band dal vivo. Racconto spesso che quando i miei compagni in università, il fine settimana, lavoravano al bar o al ristorante, io facevo concerti. Era anche il mio supporto economico, indipendente, durante gli studi. 

Poi ti laurei, in Traduzione (dal francese e dal giapponese), ma conosci un sacco di lingue: ho visto che sei assolutamente poliglotta… 

Ho sempre adorato tantissimo le lingue straniere, è stata anche quella una grande propensione. Poi, per sfida personale, ho fatto all’università tre anni di giapponese, mi sono laureata in francese e giapponese… ma il giapponese l’ho abbandonato. Perché? Perché è una lingua alla quale bisogna stare molto dietro, nel senso che dovresti andare a vivere in Giappone, immergerti in essa. Ma è stato un bellissimo esercizio mentale. Alle superiori avevo studiato il tedesco, mentre lo spagnolo l’ho imparato per vie non scolastiche, ma più “di vita”. L’inglese è sempre stato, con l’italiano, la mia lingua di base, perché sono di madrelingua inglese per parte di mia mamma. Mentre il francese mi ha permesso poi di avere il ruolo in The Crown 

Lo snodo fondamentale mi pare di aver capito sia stato il tuo spostamento in Inghilterra. Quanti anni avevi? 

Non ricordo quanti anni avessi esattamente, 23, 24… Ho vissuto in Inghilterra otto anni e poi, in questi ultimi due, ho fatto sempre un po’ su e giù. Perché a un certo punto avevo deciso di tornare in Italia. Mi trasferii in Inghilterra appena dopo essermi laureata, a Siena. In realtà, non pensavo di restarci così a lungo. Invece poi mi si è “creata” un po’ la vita lì… 

Cosa successe esattamente? Sei entrata in Accademia, alla LAMDA… 

Sì, sì, avevo già fatto dei corsi di teatro. Teatro in traduzione, a scuola, al liceo. Poi all’università mi interessavo appunto anche di traduzione di testi teatrali. Quando sono arrivata a Londra, si è concretizzata la possibilità di fare parte di realtà teatrali, non solo a livello amatoriale ma professionale. Avevo notato subito come la professione venisse considerata in maniera un po’ più concreta e possibile, rispetto all’Italia. C’erano delle signore con le quali lavoravo… perché, in Inghilterra, cominciai a lavorare nell’organizzazione di tour musicali. Vabbè, era il mio lavoro, in linea con la laurea che avevo preso… e queste signore, dicevo, erano entusiaste del fatto che io volessi entrare in Accademia o che avessi avuto comunque dei riscontri positivi dalle scuole alle quali avevo fatto domanda, ArtsEd, Mountview, Bristol OldVic, Central School of Speech and Drama… Insomma, tutto il contesto mi diede questo stimolo in più… Per me era come se fosse un po’ un sogno, qualcosa tipo: “Sì, vabbè, ma figurati se una può fare l’attrice…”. 

E invece no. E invece è successo. 

Sì… 

Venendo  al pratico:  quali sono stati i tuoi primissimi impegni sul campo? Parlo proprio come attrice. Mi pare di aver capito che hai iniziato, credo un po’ come tutti, facendo anche delle figurazioni… 

A Londra, già prima dell’Accademia, avevo  frequentato dei corsi e facevo cinema part time. Cioè, lavoravo e quando capitava, anche proprio come esperienza concreta, del set, facevo delle figurazioni. Devo dire che è stata un’iniziazione bellissima perché mi sono trovata sul set di Wonka, sul set di Benedict Cumberbatch… Quindi a contatto con il sistema delle grandi produzioni. Parallelamente, facevo anche dei lavori con la London Film School, come si fa spesso con le scuole di cinema, dove magari hanno bisogno di attori per i loro cortometraggi. Un percorso normale di studio e crescita è stato, il mio. Ovviamente, c’è un cambiamento inevitabile che arriva quando, dopo il diploma e dopo l’Accademia e, soprattutto, avendo firmato con un’agenzia, inizio a considerare solo ruoli prettamente attoriali e non più figurazioni, che invece erano state, appunto, un campo di allenamento, anche per entrare in contatto con certe realtà… Così ho conosciuto il mio agente, abbiamo firmato, nel 2020, e da lì i provini sono iniziati ad arrivare abbastanza organicamente. Lo stacco c’è stato quando ho avuto il ruolo in The Crown e quindi poi anche la maniera di presentarmi diventava un pochino più istituzionale, nel senso che quando uno si diploma in Accademia, sai, siamo talmente tanti… anche se fai la LAMDA, anche se fai il Centro sperimentale, però siamo comunque in tanti; mentre quando inizi ad avere qualcosa, qualche credito che finisce su IMDB, il discorso cambia… The Crown è stato il primo passo. Poi feci il cortometraggio con Alessandra Gonnella 

Now, Kiss… 

Sì, esatto. Successe un po’ tutto insieme, a inizio 2023, perché i miei primi ruoli li ho avuti a fine 2022, poi nel 2023 sono arrivate  tutte insieme diverse cose e nel 2024 ho continuato… 

A proposito di cortometraggi: ho visto nella tua filmografia un The Hole che mi ha incuriosito. Cos’era? 

Sei l’unica persona che me lo chiede…! Si tratta di un progetto molto carino, di un regista tedesco, Florian Thess. Florian vive a Londra, ma si è formato in Germania e ha anche una sua casa di produzione, con la compagna, anche lei regista. Abbiamo scritto insieme questo cortometraggio… cioè, in realtà l’idea, il pitch iniziale era stato mio, ma poi è stato rivisto e corretto, perché io gliel’avevo portato con un occhio super attoriale. Florian mi disse: “Questi sono i due quattrini che abbiamo. Adesso lo sistemiamo e facciamo in modo di poterlo realizzare…”. E lo abbiamo ambientato in una infinity room… sai quelle sale tutte bianche, dove spazio e tempo si confondono… ? L’abbiamo girato in tre, quattro giorni a Londra, con un cast di colleghi, anche loro in parte  italiani… The Hole non è mai uscito in distribuzione ufficialmente, nel senso che è stato prodotto e ultimato, però Florian lo voleva mandare ai Festival, quindi, essendo questa la sua volontà, la distribuzione si è bloccata ed è rimasto un po’ così, in sospeso.  

Che genere era? 

Era una cosa sci-fi…  Una situazione in cui, volontariamente, non si capisce dove si trovano questo gruppo persone, che cosa stia loro succedendo, dentro uno spazio indefinito. Ma è molto curioso… 

Now, kiss

The Crown, che era alla sesta stagione, l’ultima, è stata un’esperienza importante per te, e immagino lo sia stato anche poi il set di Roland Emmerich… 

Certo, assolutamente! Beh, in Those about to die quando ho avuto il ruolo, comunque, si è presentato già con il personaggio di Priscilla, che mi era stato offerto con tante pose. Quindi, al di là di quello che poi è stato girato, di come la sceneggiatura si è evoluta, per me artisticamente è stato il primo ruolo dove ho firmato per otto pose, che poi si sono diventate dieci. Ho passato tante giornate sul set e questo significa anche creare un’esperienza continuativa, sia nella costruzione di rapporti con la crew, sia con i colleghi. Il set era enorme, perché c’erano tantissime persone tra reparti tecnici e artistici: era tutto molto grande, in Those about to die 

L’anno scorso hai fatto un sacco di cose,  il 2024 è stato un anno per te particolarmente ricco. A questo punto, mi dicevi, fai un po’ la spola tra l’Italia e l’Inghilterra, quindi hai questa doppia possibilità: ma è effettivamente, questa, una doppia possibilità? Ti dà più opportunità di ottenere ingaggi, di avere ruoli?

Al momento, io sto vivendo la parte professionale più in Italia, proprio per una questione di offerte e di opportunità. La parte inglese per me è, come dire, di mantenimento, nel senso di training: torno là  per continuare ad allenarmi e a formarmi e per continuare a mantenere i legami con persone che per me sono famiglia. In Inghilterra ci sono delle possibilità teatrali, ed è lì che voglio investire, non solo perché mi piace, ma perché ho un tipo di formazione, di approccio, che funziona un po’ più per il teatro sullo stile britannico che non per quello italiano, proprio per una questione mia di formazione. Quindi, ecco, Londra la vedo più collegata a un contesto teatrale di movimento, di crescita artistica 

Finora abbiamo parlato di cortometraggi e di show televisivi. Il tuo primo film come cinema è stato Here Now di Muccino 

Esatto, quello è stato proprio il primo ruolo. In realtà, c’era stato anche il docufilm con Neri Marcorè,  nato come Orizzonte chiuso ma il titolo poi è diventato Per un nuovo domani, però quello era un film tv. Come film per il cinema, il primo è stato Muccino. È stato un onore per me conoscerlo. 

Those about to die

Noti, oggettivamente e dal tuo punto di vista di attrice, un modo diverso di rapportarsi al cinema rispetto alle serie televisive o cose del genere oppure no? 

È interessante come domanda nel mio caso perché ho da poco lavorato su queste serie televisive italiane, quindi Bel canto e Miss Fallaci (che è anche un po’ internazionale) e ho notato la differenza con le serie televisive tipo Iris per Sky studio, che abbiamo fatto ad ottobre, Those about to die, ma anche FBI International. Già tra la serialità italiana noto differenze, ma nelle serie internazionali ci si prende molto più tempo per girare delle scene. In Those about to die e in Iris si lavorava su due scene a giornata, al massimo. Io le mie scene in Bel canto, le ho girate, tre-quattro scene, in mezza giornata. Le tempistiche credo siano legate anche a un discorso di investimento economico, di disponibilità di budget. Quindi essendoci i tempi più stretti, ovviamente poi è tutto a cascata: se hai più tempo, il clima è più rilassato e si corre di meno. Nel cinema, devo dire che sia su Solo mio che su Here now, ci siamo presi tanto tempo anche là: su Solo mio, sul film americano, siamo stati una intera giornata per girare la scena del matrimonio. Letteralmente una scena… quindi, no, non credo che su una serialità televisiva in Italia ci si possa permettere qualcosa del genere… 

Di cosa tratta Solo mio, diretto da Charles e Daniel Kinnane

Ultimamente, sarà un caso, però ho visto  almeno altri due o tre film in uscita con lo stesso plot e la cosa mi incuriosisce molto… C’è il protagonista che si deve sposare, viene piantato in asso all’altare e il film inizia così, parte tutto da là. Poi c’è lo sviluppo, perché lui decide di andare comunque a farsi la luna di miele in Italia con tutte le attività che avevano prenotate… Se le fa da solo e ha una serie di avventure in Italia. Poi avrà anche una rivalsa, rispetto a ciò che gli è successo. È una commedia che penso che esca quest’anno, sul tardi, perché non ho ancora una data precisa… 

Qualche mese fa ho visto un film con una storia abbastanza simile, cioè di uno o una che resta in panne sull’altare… 

Davvero, guarda: non so cosa stia succedendo, perché ci sono almeno due o tre trame del tipo: viste sia dal punto di vista femminile, lei che viene lasciata o viceversa…. Quindi ho detto vabbò… ho pensato che fosse tipo, non lo so, forse l’universo che mi dice “Guarda che la vita va avanti!” (ride). 

Parlando appunto delle serie italiane che hai fatto, più recenti… 

Allora c’è Bel canto, di Carmine Elia. Per me è stata una grandissima emozione recitare con Vittoria Puccini, che da sempre stimo e credo sia un’artista incredibile, quindi per me avvicinarmi a lei è stato già un enorme successo; poi, l’esperienza particolare è stata quella di girare in poco tempo tutte le mie scene. Questa è la parte che mi ha colpita di più, compresi i cambi d’abito che, comunque, sono stati molto divertenti. Adoro recitare e immergermi nei personaggi, anche proprio a livello di costumi. Cambi d’abito, di pettinature… Abbiamo girato in una situazione in cui faceva molto freddo, però alla fine avevano costruito questo set particolare, con lo studio di sartoria di Vera, il mio personaggio. Ed è stato bellissimo per me arrivare là e vedere come Vera avesse tutto quel suo mondo. Mi ha riportato un po’ ai tempi dell’Accademia, dove si costruiva tutto il dettaglio su scena, quando facevamo quel tipo di teatro… Quindi mi è piaciuto girare in costume per un progetto italiano. Questa è stata sicuramente la parte più emozionante. Avevo fatto in passato figurazioni in costume in Inghilterra, però qui era bellissimo, era in italiano ed era nelle mie corde.  

Julia durante una rappresentazione al LAMDA

In Miss Fallaci assumi le vesti di Lois Weber 

Il fatto di interpretare un personaggio americano coinvolgeva la mia natura più british: un personaggio, poi, realmente esistito, Lois Weber, della quale esiste pochissima documentazione: quindi, vattele a cercare notizie su di lei, è un’impresa!

E questo è un problema interessante: dai discorsi che tu fai, ami prepararti, approfondire e ricercare, ma quando non trovi documentazione su qualcuno, come in questo caso, come la gestisci? 

Allora io, se fosse stato stato un biopic su Lois Weber,  ti avrei risposto diversamente, cioè mi sarei fatta i salti mortali, sarei andata in America a parlare con qualcuno che è stato a contatto con lei. Essendo questo un personaggio comprimario in Miss Fallaci, non mi è stato nemmeno richiesto, a livello di regia, di obbedire a quella accuratezza. Mi sono basata sulle poche foto che ci sono di Lois Weber online: lei era totalmente diversa da me e anche più grande. Quindi avevo molta libertà. Certo, poi c’erano un po’ di tratti, diciamo, che venivano richiesti a livello di personalità. Spesso qui in Italia si tende a descrivere un personaggio sulla base dei tratti esterni, che per noi attori è abbastanza inutile. Ma da lì, nel male c’è il bene del fatto che hai libertà di creare o comunque lo lasci, volendo, vicino alle tue corde, e poi il regista è lui a indirizzare o sfruttare qualcosa in particolare… 

C’è un genere che ami più di un’altro? 

Adoro i drammi d’epoca, per esempio The Favorite… In realtà, adesso sta molto evolvendo, il genere, verso la parte comedy, ma in lingua inglese, quindi mi piacciono molto cose sulla linea di The Favorite dove c’è molta ironia dark. Ed è ciò che non solo mi piace, ma che sarebbe anche nelle mie corde, a livello artistico.  

Invece di tutt’altro tenore è la serie A.C.A.B.

A.C.A.B. è un progetto molto forte, il tema di cui si tratta non si limita a stare in superficie, ma comporta un discorso in profondità. Mi è piaciuto tantissimo il fatto che si abbracciasse un punto di vista dove la parte maschile si mostra così vulnerabile e morbida. E c’è il ruolo, “in controllo” finchè non lo è più, di Valentina Bellé che è un’artista incredibile: lei è una mia coetanea che ha fatto il suo percorso più in Italia, con una carriera che va avanti da molti più anni: la stimo tantissimo e spero di lavorare con lei un giorno. Quindi, sia a livello di cast sia di storia, A.C.A.B. è un progetto che funziona benissimo. Sarebbe interessante sentire il feedback di qualcuno che ha vissuto questo tipo di dinamiche dalla parte opposta, di chi partecipava alle manifestazioni, per esempio, dei No-Tav. Io ho avuto occasione di confrontarmi con un paio di persone che stavano sull’altro fronte, contro la polizia… 

Foto Matteo Ronzini ©

Il controcanto, dici, l’altra campana… 

Sì, esatto. Chissà mai che facciano qualcosa del genere…

Tra le cose più recenti, qual è quella che ti è rimasta più dentro, alla quale sei più legata? 

Penso Those about to die, perchè è un progetto dove ho avuto il piacere anche di legare con il cast, tantissimo. Ero sul set il primo giorno quando hanno iniziato a girare: nessuno conosceva nessuno; e infatti il protagonista, Jojo Macari, che interpreta Domiziano, è venuto là pensando che magari il mio personaggio potesse essere tra i protagonisti, invece poi dopo abbiamo capito quali fossero i ruoli (ride). Ma è stato bellissimo, soprattutto perché molti venivano dall’Inghilterra, quindi colpiva anche la multiculturalità e l’internazionalità del progetto. Ma poi le scenografie, i costumi… Tutto molto prezioso, assolutamente. 

Non ti domando quali sono i progetti in atto, altri progetti in atto, perché mi pare di capire che sei ormai lanciata su vari fronti…

Diciamo che l’anno è iniziato bene in termini di provini e di a opportunità, quindi adesso sto aspettando di capire se si concretizzeranno alcune cose che sono, al momento, in divenire. E sono in uscita questi progetti che abbiamo girato nella seconda parte dell’anno scorso…

Ma è difficile fare l’attrice, oggi? 

Secondo me è difficile mantenere, non direi la motivazione, ma mantenere l’entusiasmo, perché ovviamente è un lavoro così: sai che oggi c’è, domani non c’è, e  però, quando c’è, è estasiante… È essenziale avere tanti canali aperti: cioè, il mestiere di attore può essere il focus principale, ma non l’unico… E occorre trovarsi una nicchia, il che non significa le solite persone o solamente un gruppo di persone con le quali lavorare, ma una propria definizione, cioè creare un personaggio di te stesso, per cui, se hanno bisogno di determinati tratti, sanno che possono far riferimento a te. Sanno che ci sei tu e che puoi dargli quello che cercano.