Adversus Stranger Things 2
Un parere contro sulla seconda stagione
Una corsa adrenalinica in auto, un’esplosione e uno sguardo deciso, profondo, di una ragazza – la prima “badass” di una lunga lista –, che guarda dritto in macchina. Inizia così Stranger Things 2, sequel della serie di culto targata Netflix. Lo show ideato dai fratelli Duffer riprende un anno esatto da dove ci aveva lasciati: siamo nella settimana di Halloween, Mike (Finn Wolfhard), Will (Noah Schnapp), Dustin (Gaten Matarazzo) e Lucas (Caleb McLaughlin) non giocano più a D&D ma a Dragon’s Lair, Nancy (Natalia Dyer) e Steve (Joe Keery) stanno ancora insieme e Jim Hopper (David Harbour), capo della polizia, sempre in ritardo e intrattabile, è insidiato da un insistente giornalista che parla di strani avvistamenti e di una ragazza con i capelli rasati. Che sia Eleven All’uscita della prima stagione, Stranger Things è diventato subito un piccolo grande fenomeno di massa ed è riuscito a evocare un’epoca intera – i mitici anni Ottanta – in maniera assolutamente originale, con uno show nostalgico e moderno insieme. La seconda stagione prova a riproporre sostanzialmente la stessa identica formula: rimettendo insieme il cast eccezionale e puntando su una presenza massiccia di canzoni e citazioni anni ’80, da una parte; e aggiungendo nuovi attori e ampliando la mitologia della storia, dall’altra. Il risultato è riuscito, ma solo in parte.
La forza dello show sta ancora nei personaggi più piccoli, così meravigliosi nella loro innocenza ed eroicità da oscurare i più grandi. Dustin rimane il più genuino e divertente della combriccola, mai sopra le righe; ma spiccano anche Will, miracolosamente ritornato dalla morte, ora figura chiave nella lotta al nuovo nemico; e ovviamente Eleven (Millie Bobby Brown), eroina indiscussa, interprete di alcune delle sequenze migliori. Come anticipato, in Stranger Things 2 troviamo tante donne “badass”, forti, audaci che agiscono in prima linea, mettendo spesso in ombra le controparti maschili. Da Joyce (Winona Ryder) a Nancy, fino alla già citata Eleven – più tosta e ribelle che mai, con un look davvero azzeccato –, senza dimenticare le new entry Kali (Linnea Berthelsen), protagonista dell’incipit, e Max (Sadie Sink), anzi “Mad Max” – il cui soprannome è già tutto un programma. Nuovi personaggi vengono inseriti, però, anche tra i più grandi, alcuni interessanti altri meno, che portano a riflettere (in alcuni punti in maniera fin troppo didascalica) su tematiche quali la violenza sulle donne, il bullismo, l’emarginazione e la solitudine. A loro modo, i protagonisti di Stranger Things, che siano i bambini, i loro fratelli o genitori, sono tutti un po’ strambi, un po’ “freak”, un po’ soli, anche i più insospettabili come Steve, interprete di una crescita davvero notevole; o Jim Hopper, tra i caratteri maschili meglio scritti in assoluto.
Dunque, tanti personaggi, tanti temi ma anche tante storie che si intrecciano in questo secondo capitolo, più stratificato e articolato del precedente. Se il primo blocco della storia si caratterizzava per una narrazione lineare e ben salda, il secondo imposta più storyline che procedono perlopiù parallele, per sfiorarsi e poi ricongiungersi solo nel finale, con un ritmo altalenante tra situazioni tipiche della rom com e di dramma vero. Il più grande difetto di Stranger Things 2 è proprio questo: la mancanza di un racconto coeso e ben bilanciato in tutte le sue parti, che perde le fila del discorso per poi riprenderle in maniera frettolosa o prevedibile. La seconda stagione non trova, insomma, quel mix perfetto di sentimenti, suspense e azione che aveva contraddistinto il primo magico capitolo di Stranger Things. La formula magica, quindi, è ancora lì, intatta, peccato che non sia stata preparata con la giusta dose di ingredienti.