AHS 9: primo episodio
Benvenuti a Camp Redwood
AHS 9 parte senza troppi preamboli con un prologo che ci riporta ad orribili fatti di sangue narrati in puro stile slasher, per poi giungere, attraverso la sigla (diversa da quella delle edizioni precedenti, farcita d’iconici elementi anni ‘80 ma anche macchiata da molto sangue), al 1984, anno delle Olimpiadi a Los Angeles. Ci troviamo in una palestra nel pieno della febbre dell’aerobica ed è qui che ci vengono presentati i protagonisti, tutti muniti di immancabili scaldamuscoli, che si affannano al ritmo di un brano davvero significativo dell’epoca, “Far From Over” di Frank Stallone. L’apertura dei giochi olimpici in città sembra infastidire, per motivi diversi, tutti gli appartenenti al gruppo, tra cui emergono volti noti agli appassionati di AHS e delle serie di Ryan Murphy: Brooke/ Emma Roberts, Montana/ Billie Lourd, Xavier/ Cody Fern prestano ancora una volta i loro volti a personaggi che sembrano ben adatti alle loro capacità espressive. Xavier, assoldato come istruttore di aerobica, propone al gruppo di seguirlo per fare gli animatori a Camp Redwood, dove sembra ci sia una assoluta necessità di collaboratori.
Il ragazzo fa si che ben presto il gruppo si ritrovi in una location che da subito si rivela un omaggio agli slasher degli anni ’80 quali Nightmare, Venerdi 13, Sleppaway Camp con i giovani che ben presto si ritrovano dediti ad attività sessuali sempre prese di mira da un occhio misterioso che il pubblico individua come quello del serial killer. Perché un serial killer esiste da decenni, ha già commesso una strage trent’anni prima a Camp Redwood; il campo fu chiuso dopo quella strage efferata ma ora riapre sotto la direzione di un’alquanto equivoca donna (interpretata dalla ormai veterana Leslie Grossman), che all’epoca fu l’unica superstite, benché con un orecchio mutilato. Il mostro è appena scappato di prigione. E non è l’unica minaccia in giro, perché in città Brooke era già stata assalita nel suo appartamento da un uomo misterioso che ha minacciato di perseguitarla. Prendono così il via, tra telefoni pubblici dallo squillo sinistro e torbidi laghi da cui possono emergere o annegare cadaveri, eventi scanditi da una colonna sonora anni ’80 che sembra possa commentare, come un coro tanto trash quanto veritiero, ogni evento con una perla tratta dal pop eighties più estremo: brani come “Somebody is watching me” e “Cruel Summer” potrebbero essere stati scritti proprio per questa serie.
E’ il Murphy di Glee, che non può mai prescindere dalla sua passione musicale; ma è anche il Murphy di Pose, che riesce a trascinare, stavolta nelle vesti di una efficiente infermiera, uno dei suoi trans, Candy/Angelica Ross, in un ruolo che lo sdogana completamente come donna. Ed è un Murphy che non perde occasione per qualche frecciata politica, come promette già l’immagine di Reagan durante la sigla iniziale. Ma è soprattutto un creatore che ci vuole finalmente regalare un horror vero, che riesca miracolosamente ad essere un reale slasher del 1984, arricchitosi di tutta una lezione di otto stagioni precedenti di tv seriale, ma che resta un horror di gusto per chi ama il genere, uno show che sa offrire brividi veri che forse lo stesso Murphy fin qui ancora non ci aveva mai regalato, non in questa maniera così determinata e caratterizzata. E chissà se nel titolo, 1984, oltre al richiamo all’horror di quell’epoca, non ci sia anche qualche riferimento al romanzo di Orwell e che forse quell’occhio dell’assassino…
Staremo a vedere!