Ambra Principato: il fascino dell’Ombra
Conversando con la regista di Hai mai avuto paura?
Ambra Principato ha diretto Hai mai avuto paura?, dal 27 luglio in distribuzione nelle sale per Vision. Un horror-mistery ambientato nel 1813, in un borgo italiano nei cui dintorni imperversa una “Bestia” che pare scatenarsi a ogni pleniluinio. Gli attacchi hanno come bersaglio animali prima e quindi esseri umani. In una famiglia nobiliare del luogo, il piccolo Orazio nutre dei sospetti sul fratello Giacomo, adolescente inquieto e letterato, e comincia ad indagarne i comportamenti. Parallelamente, un cacciatore si mette sulle tracce della misteriosa Ombra massacratrice… Un racconto a livelli, è Hai mai avuto paura?, che avanza in sincrono tra gli enigmi della Natura e quelli della psiche e dell’anima.
Ho apprezzato molto il tuo film Hai mai avuto paura?, che, tanto per cominciare con una banalità, è realizzato in maniera formalmente e tecnicamente ineccepibile. Che non è affatto una qualità così scontata, oggi, in Italia, anzi… Questa, peraltro, è la tua opera prima, il primo lungo che hai diretto…
Sì, sono stata gettata nella mischia (ride). Riassumendo, in breve, la mia storia: mi sono diplomata al Centro sperimentale e ho poi lavorato in un’agenzia pubblicitaria, per anni, qui a Milano… Io sono di Milano… Realizzavamo video virali, cose di questo tipo, ma ho sempre avuto una propensione a scrivere cose un po’ più strutturate e contenuti un po’ meno “usa e getta”, mettiamola così. Quindi mi sono messa a scrivere soggetti per lungometraggi e a proporli, in quelle occasioni… ci sono ormai da un po’ di anni… che sono i pitch-dates. Prendevo il mio treno, scendevo a Roma e mi ritrovavo con quegli otto/dieci minuti a disposizione per convincere chi avevo di fronte della bontà del progetto. In uno di questi pitch ho incontrato il produttore Marco De Micheli della RedVelvet, che ha ascoltato il progetto che portavo ma che non era Hai mai avuto paura? Era un altro film che, tra l’altro, adesso stiamo cercando di avviare in pre-produzione, da un soggetto originale mio. Quindi, De Micheli mi ha conosciuto tramite quella storia che avevo scritto, ma prima di mandarlo avanti, mi chiese di leggere un romanzo di Michele Mari e di provare a lavorare sul suo adattamento. Così, mi sono messa a questa rielaborazione, che ha rivisitato ampiamente il testo di ripartenza…
Quindi, con la formula del “Liberamente tratto da…”
Esatto. Il libro si fermava a un certo punto, mentre il film prosegue a raccontare una storia che contiene tematiche che mi stavano a cuore e che mi appartengono. Non riesco a non fare da filtro e a non farmi attraversare dalle cose in cui mi cimento come scrittura. Non è una trasposizione diretta del libro di Mari, insomma. Le tematiche che ho inserito riguardano l’Ombra, la Dualità, la Natura di ciascun individuo, e spero emergano dal film.
Posso chiederti che tipo di progetto era quello che avevi portato al pitch e che ora mi pare di capire si stia concretizzando?
Era un teen-drama, ma sempre con un elemento fantastico, abbastanza cupo. Probabilmente il produttore ha visto qualcosa che poteva essere in sintonia con quell’altro progetto che voleva sviluppare….
Dal momento che stiamo parlando, anche se in senso largo, di qualcosa che affonda le radici nel terreno dell’horror-mistery, tu che rapporto hai con il genere?
Mi piace, sì. Se devo essere onesta, lo splatter o lo slasher, però, mi sembrano cose più da comedy (ride). Cioè, non sono categorie che mi appartengono, ma comunque mi divertono. Sono molto più attratta dal thriller e da tutti quei film che sotto abbiano una sostanza, cioè non il jumpscare fine a se stesso. Mi interessa molto il lavoro sulle tematiche interne, quindi tutto quello che è thriller psicologico. Ti basti sapere che il mio film preferito è Il silenzio degli innocenti.
C’è una frase, sul pressbook di Hai mai avuto paura?, con la quale tu chiudi le tue note di regia: “L’Ombra si nasconde in ognuno di noi, anche nel più insospettabile, e non va mai soffocata o ignorata. O andremo incontro a orribili conseguenze”… Che sta perfettamente nello svolgimento che hai dato al film, che è, oltretutto, un film in costume, quindi non credo semplicissimo da gestire. Sbaglio?
No, non sbagli: è stato tostissimo. Anche perché abbiamo girato in tre settimane, venti giorni di riprese! Un film in costume e con una bella presenza di minori, quindi, produttivamente, avere dei minori sul set, significa avere ancora meno ore per girare, compresi i notturni. Poi, la presenza di animali, perché, come hai visto, nel film c’è un lupo. Diciamo che non ci siamo resi la vita molto semplice. Suggeriscono di non girare con bambini, animali e barche: qui ci mancava solo la barca (ride). No, non è stato per niente facile, però la squadra che si è creata, anche con il direttore della fotografia, lo scenografo, la costumista, ha sposato il progetto e me li sono sentiti addosso a baluardo, proprio come un’armatura. Mi hanno molto aiutato, perché per me era un salto nel vuoto. Su questo set ho potuto constatare che abbiamo davvero delle maestranze incredibili, quindi mi stupisce che in Italia non si riesca a fare un po’ di più in questa direzione, verso un certo tipo di film, ma mi stupisce davvero tanto…
Il punto è sempre lo stesso: in Italia, ormai, o fanno i generi richiesti, che sono la commedia e il criminale, al livello di produzioni serie (il che non significa che siano buoni prodotti, ma solo che li fanno con mezzi seri). O altrimenti il resto, e specificamente l’horror, sono realizzati quasi sempre da gente che vuole celebrare le nozze coi fichi secchi. Qualche eccezione c’è, ma è una rondine che non fa primavera…
Io ho una mia idea: qui abbiamo un problema a livello anche di tempistiche di scrittura. Perché la base è la sceneggiatura, quello che proprio viene scritto. Non ti dico esattamente quanto tempo ho avuto per sviluppare la sceneggiatura di Hai mai avuto paura? ma è stato un tempo molto, molto contenuto. Però, questo è. Io ho messo insieme la mia esperienza, ma magari in gruppi di scrittura è ancora più difficile la faccenda, perché ci sono più teste… Ma ecco, alla base credo esista spesso un problema di scrittura e di sceneggiatura. Tieni conto che è un po’ come costruire una casa e se le fondamenta sono già disastrose, sopra puoi aggiungerci tutte le cose belle che vuoi, ma…
… ma poi crolla…
Esatto, poi crolla. E questa è una cosa. Poi, penso ci voglia più sinergia, proprio a livello di preparazione. E intendo che se una persona sa quello che vuole narrare, poi occorre un supporto da parte della produzione. Che nel mio caso, grazie al cielo, c’è stato. Un supporto per cercare di capire come sfruttare al meglio le risorse, proprio produttive. In Hai mai avuto paura? abbiamo molti effetti di post-produzione, molti dei quali non sono immediatamente percepibili, ma ci sono; anzi, sono forse più questi effetti “sottili”, rispetto a quelli più eclatanti. Tu sai benissimo che la post-produzione costa. E nota che noi in Italia abbiamo degli studi di post-produzione incredibili e qui al Nord ne abbiamo tantissimi che lavorano con l’estero. Costa, produrre, ovviamente costa. Ma se il progetto viene pensato, all’origine, nel modo giusto, e se esiste un corretto dialogo tra le parti… e questo avviene tra l’autore e la produzione… poi ci sarebbe anche il capitolo della distribuzione a complicare la filiera. Sai, io ho tanti amici autori, con i quali ci scambiamo idee: e ti posso dire che siamo in un panorama in cui c’è un magma che ribolle e tutti vorrebbero fare cose. Ma ci vuole anche un po’ di coraggio: lo so che è un rischio, perché è un rischio a livello produttivo, però ci vuole coraggio. Calcola poi che esiste sempre il “progetto ariete”, cioè quello che fa da sfondamento e che, se funziona, gli vanno tutti dietro. È così che funziona e questa roba qua mi spiace, perché ti garantisco che ci sono davvero un sacco di ottime idee in giro. Io, appunto, frequentando questi pitch, ho incontrato tanti autori e ti assicuro che fermento ce n’è…
Quindi, le tempistiche e l’organizzazione, oltre a un minimo di ardimento in più, sarebbero auspicabili…
Sì, io, come ti dicevo, arrivo dal mondo pubblicitario, quindi so bene come sono i tempi milanesi, però credo che il cinema abbia bisogno di altri tempi.
Beh, ma mi dicevi prima che hai girato in tre settimane. Una volta sarebbe stato assurdo pensare di girare in tempi così contratti. C’era, anche per produzioni piccole, in genere, uno spazio di tempo a disposizione più ampio. Quindi, posso solo immaginare la difficoltà di quadrare un film a questi ritmi…
Sono ritmi febbrili, che devi saper gestire. Io ho – passami il termine – un po’ di fortuna, grazie al fatto che visualizzo con lo storyboard. Ho una passione per l’animazione anche, io… e qui tocchiamo un altro problema, ovvero che l’animazione è ancora vista come una cosa per bambini. Per fortuna adesso Zerocalcare sta cominciando a dimostrare che qualcosa si può fare. Ma all’estero abbiamo cose come Arcane, cioè… un’animazione pazzesca! Noi non è che cose del genere non le possiamo fare, perché conosco animatori bravissimi, perché sono anche nel gaming, cioè sono in quella direzione lì: il post-apocalittico mi piace tantissimo… Ecco, potremmo fare un sacco di cose veramente fighe e invece… la sensazione è di avere il guinzaglio. Quando proponi un’idea nuova, originale, innovativa, spesso trovi dei muri di gomma, proprio perché manca il “progetto ariete”. Produzione e distribuzione, che sono strettamente legate, sanno che cosa vogliono e fanno le richieste: in Italia vanno il medical e i commissari, i progetti che riguardano la mafia o la camorra, e tu ti ritrovi in un circolo vizioso in cui ti chiedono quel tipo di roba lì. Gli autori più giovani, e dico quelli della mia generazione o magari quelli che verranno, sono in qualche modo frustrati da questo andazzo e vanno a cercare magari fuori, all’estero, i progetti, i film o le serie che li ispirano. Avremmo proprio bisogno di un cambio generazionale, secondo me, sostanziale.
Sì una tabula rasa, un mutamento totale del paradigma. Che azzeri la richiesta univoca di un certo tipo di prodotti e basta.
C’è un bel video di Frank Zappa, che, nei suoi anni, faceva un discorso, lui alludeva alla produzione musicale, illuminante. In sostanza, diceva che una volta c’era una maggiore propensione al “rischio”, perché non si sapeva cosa si volesse. C’era il beneficio del dubbio. Invece oggi, lo dice anche la serie di Boris, l’algoritmo sa tutto, sa esattamente quello che vuoi e quindi, di conseguenza, sei nella bolla. Siamo in una bolla, fondamentalmente.
Rientrando nel discorso del film: il casting come è stato? Mi sembra funzionino tutti bene, gli interpreti…
Sì, i casting li ho seguiti personalmente, appunto perché, magari, ti arrivano un sacco di offerte, di volti, dalle agenzie, però io sono molto attenta anche alla dizione e ho un occhio di riguardo al background dell’attore. Ho fatto proprio una ricerca per andare a scovare, per esempio, la bambina, Elisa Pierdominici, che interpreta Pilla: l’ho trovata io, in rete, dopo avere visto una sua intervista in cui diceva che le piaceva il sangue finto e che si guardava le serialità per grandi. A parte i bambini, che sono stati incredibili, per gli adulti cercavo non solo dei volti, ma delle personalità adatte. Per esempio, con Mirko Frezza, nel suo ruolo di Scajaccia, abbiamo costruito questo personaggio un po’ sopra le righe, che mi ispirava. Tant’è che nella mia testa, anche dopo la fine, la storia continua, perché il personaggio mi ha ispirato nuovi sviluppi. Mi piacciono i personaggi ai quali l’attore riesce a dare corpo. E Frezza è riuscito a dare corpo a Scajaccia. Sveva Mariani, che fa Silvia, ha giocato più sulla dolcezza. Anche la Contessa, Marta Richeldi è stata pure lei eccezionale, nella riservatezza di questo suo personaggio chiuso.
Invece Giacomo, Justin Korovkin, ha fatto diverse cose, lo ricordo in The Nest di Roberto De Feo, poi stava anche in Favolacce…
Sì, era in The Nest, che è un film che ho apprezzato. Perché, tornando al discorso che facevamo, De Feo è uno di quelli che spingono un po’ sul genere, insieme a Paolo Strippoli. Ecco, mi chiedevi prima dei miei gusti horror, io sono orientata verso quel tipo di film, alla The VVitch…
Ho sentito che lo citi spesso, infatti. Quindi, l’horror che confina e sfonda nell’arthouse. Noi lo abbiamo battezzato in un dossier di Nocturno l’Art-horror…
Beh, è una direzione bellissima, quella, ma per fare cose del genere, devi avere tempo. Io, per dirti, sul set avevo a volte soltanto un ciak. Ecco, per potersi godere uno studio di inquadrature, che devono comunicarti una certa emozione, ci vuole il tempo giusto per chi sta creando questo studio. Ovviamente, metto anche in calcolo il fatto che io sono agli inizi, quindi ci sta che avessi un tempo contratto. A un autore un po’ più importante, credo vengano concesse tempistiche più ampie.
Però il lavoro sulle inquadrature in Hai mai avuto paura? viene fuori. Mi dicevi che lavori molto con gli storyboards: anche quello immagino abbia avuto il suo peso…
Sai, ci abbiamo lavorato parecchio per arrivare sul set preparati, che significa avere già le idee chiare in pre-produzione, studiare già bene i dettagli. Magari non ci fai caso, ma, per esempio, il VFX è usato anche sui quadri. Uno non se ne accorge, ma nel momento in cui Giacomo sta parlando, alle sue spalle il quadro, fuori fuoco, cambia di espressione. Non lo noti distintamente, però ti accorgi che c’è qualcosa che stride. Ed effetti del genere li ho disseminati nel film, erano dettagli studiati per creare una sensazione particolare, quasi il fastidio di non capire bene che cosa stia accadendo. Ma sono tutti particolari che devi definire già in fase di preparazione. Più studi, più hai la possibilità di meravigliare, di sorprendere, di dare agli attori il modo di andare in temperatura.
Tu visualizzi già con precisione, la scene e i suoi dettagli, mentre scrivi e descrivi?
Guarda, ho una forma mentale molto onirica. A volte mi capita di pensare talmente a qualcosa, che poi me la sogno. Sembra assurdo, ma il mio processo lavorativo è profondamente onirico. Quindi, non faccio altro che descrivere quello che vedo. Cioè, è come se qualcosa mi dettasse la parola… vedo per immagini. Vedo come dei frames e li fisso sulla pagina della sceneggiatura. Infatti, scrivendo già in sceneggiatura come se volessi montarlo, il film, spesso vengono tanti cut e quindi mi sgridano (ride)… perché io già lo monto, in testa, mentre dovrei stare un po’ più aperta. Poi, naturalmente, bisogna sempre vedere che cosa è possibile fare, anche in base alla location. Infatti, la sceneggiatura di Hai mai avuto paura? è cambiata parecchio rispetto alle prime stesure. Ne ho sviluppate sette di stesure, anche perché poi le ultime che si fanno riguardano concretamente le possibilità di location. Infatti alla fine ho dovuto un po’ barcamenarmi, essendo regista e sceneggiatrice, nell’adattare di corsa le ultime cose del copione alle locazioni, mentre facevo i sopralluoghi.
Bene, in bocca al lupo, Ambra…
Grazie, è proprio il caso di dirlo (ride)