American Psycho, vent’anni dopo
Come Patrick Bateman uscì dalle pagine di Bret Easton Ellis per approdare sul grande schermo
“Sotto sotto non conta niente”.
– Patrick Bateman
“Voglio dire, dove sono i romanzi controversi, oggi? Quel mondo non esiste più. Non penso sia possibile, dopo Internet e i social media, scrivere narrativa che causi quel tipo di controversie. Se poi il mio libro sia stato fatto per causare polemiche o meno, questo è un altro discorso. In ogni caso, è sempre stato un romanzo onesto sotto molti aspetti”.
– Bret Easton Ellis
Quando nel 1991 esce nelle librerie “American Psycho”, molti rivenditori, data la natura sadica dei suoi contenuti, ne rifiutano gli ordini. Il suo autore, Bret Easton Ellis, si ritrova ad essere attaccato dai media, arrivando persino a ricevere, parallelamente, minacce di morte. Vituperato dall’ascia censoria e boicottato a più non posso dalle femministe della National Organization of Women, American Psycho narra le gesta di Patrick Bateman, yuppie ventisettenne di Wall Street – siamo nell’America della seconda metà degli anni Ottanta – che opera per conto della fantomatica Pierce & Pierce. Bateman è un tipo anaffettivo, ma ama visceralmente la musica pop da classifica; fa uso di cocaina e psicofarmaci e ha come idolo il futuro Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Oltre a ciò, è ossessionato da un ingombrante feticismo per lo sfarzo e per la cura del sè, a suggellare la sua natura più occulta, quella del killer-stupratore seriale. In merito all’adattamento cinematografico del suo romanzo di maggior successo, Ellis si è spesso contraddetto. A suo dire non sarebbe stato propriamente indispensabile, dato che come medium, il film richiede risposte che non è sempre in grado di fornire. La narrazione di Bateman, inoltre, è talmente inaffidabile che persino lui, in quanto autore del libro, non saprebbe dire se il protagonista descriva onestamente eventi realmente accaduti o se questi menta o sia preda di forti allucinazioni. In ultima istanza, Ellis ha definitivamente confermato di essere un ammiratore del film, avendo particolarmente apprezzato il lavoro svolto da Mary Harron e la modalità con la quale è riuscita a porre in risalto l’importanza del lato umoristico contrapposto all’aspetto prettamente violento, misogino e deliberatamente eccessivo del suo racconto, garantendo così al libro una “seconda vita” per i lettori a venire.
American Psycho, il film, debutta al Sundance Festival nel gennaio 2000, trascinandosi con sè una tortuosa storia di avvicendamenti registici e attoriali; corposi antefatti non così noti, su cui vale la pena soffermarsi. Nel 1992, i diritti del testo di Ellis vengono acquisiti dal produttore Edward Pressman e il timone della regia è inizialmente affidato a David Cronenberg. Per il ruolo di Bateman, lo spiega lo stesso Ellis in un’intervista per Rolling Stone, Cronenberg suggerisce il nome di Brad Pitt, ma solo per via ipotetica. Cronenberg coinvolge direttamente Ellis per adattare il libro in sceneggiatura, ma la combo – alquanto improbabile – non troverà nessuna intesa. Cronenberg pretenderebbe di modificare (leggasi sfigurare) l’essenza del racconto, mostrandosi oltremodo restio a utilizzare i nomi e i luoghi specifici descritti da Ellis, fra questi il ristorante Dorsia, il fantasmagorico e sontuoso tempio culinario in cui Bateman non riesce mai a prenotare. Un proposito più che mai immorale, quello del regista di Videodrome, che sceglie infine di abdcare cedendo ogni responsabilità alla regista Mary Harron. In precedenza, la Harron si era fatta notare al pubblico indipendente con il biopic sulla femminista radicale Valerie Solanas, Ho Sparato a Andy Warhol, il suo debutto nel lungometraggio. Nel decennio anteriore aveva scritto per l’Observer e per il Guardian, mentre andando a ritroso, nella seconda metà degli anni Settanta era stata redattrice del magazine Punk, cui si deve la diffusione editoriale del termine punk-rock, già precedentemente introdotto dai collaboratori della rivista americana Creem. Sobbarcatasi il non facile compito di dirigere American Psycho, la Harron stende a quattro mani la sceneggiatura, facendosi affiancare dalla screenwriter e attrice Guinevere Turner, lesbica dichiarata, che proprio nel film, per paradosso, compare in un cameo pronunciando la frase “Non sono lesbica!” (L’affascinante Guinevre, nei panni di Elizabeth, è la stessa che durante l’incontro a tre deride Bateman per l’encomio nei riguardi di Witney Huston. Secondo Bateman, “The Greatest Love Of All”, della Huston, è uno dei brani “più potenti al mondo”.) Per il ruolo del glaciale e rampante protagonista, la Harron si affida all’impavido Christian Bale, attore gallese già acclamato per la sua interpretazione di quattordicenne ne L’impero del Sole, dall’omonimo romanzo semiautobiografico di J. G. Ballard, e in seguito per il suo ruolo nel tributo di Todd Haynes al glam rock, il cult Velvet Goldmine, ove ricopre il ruolo del giornalista Arthur Stuart. Alla figura di Bale, la Harron congiunge gli attori Willem Dafoe (per il ruolo del tenente Donald Kimball) e Jared Leto, oggi decisamente più noto come frontman dei suoi Thirty Seconds To Mars. In American Psycho, Leto è il broker Paul Allen, malcapitato protagonista di una delle scene più esilaranti, in cui lo stesso è massacrato a colpi d’ascia mentre scorrono le note di “Hip To Be Square”, brano di Huey Lewis and The News, di cui Bateman si dice fervido estimatore (epico il monologo sul “merito artistico” della canzone che fa da sfondo alla brutale uccisione).
Quando però la Lionsgate acquisisce ufficialmente i diritti sulla distribuzione mondiale del film, a due anni dall’inizio delle riprese ufficiali, la stessa comincia ad ostacolare la presenza nel cast di Christian Bale, poichè, secondo gli executive, questi non è un attore sufficientemente popolare da potersi permettere un ruolo da protagonista. La Lionsgate, in realtà, anela a ingaggiare Leonardo DiCaprio (o, in alternativa, Edward Norton), che è poi la star maschile del momento, dato il successo senza precedenti conferitogli dal colossal Titanic. DiCaprio si dice interessato ad American Psycho, sarà perchè la sua richiesta di cachet – da 21 milioni di dollari – viene favorevolmente accolta dalla Lionsgate. Ignaro del lavoro sullo script già elaborato dalla Harron, DiCaprio sollecita il coinvolgimento di registi già affermati quali Danny Boyle, Martin Scorsese e Oliver Stone. Dei tre entra quindi in gioco Stone, il quale vorrebbe subito emendare quanto fatto dalla Harron, arrogandosi il diritto di rafforzare i tratti psicologici di Bateman, ma a scapito della satira nera che permea e che valorizza nella sua interezza l’immaginario descritto da Bret Easton Ellis. Nondimeno (e per fortuna), sia Stone che DiCaprio escono presto di scena (quest’ultimo per recitare in The Beach); la Lionsgate, dal canto suo, non demorde e propone a Ewan McGregor il ruolo di Bateman, ma quest’ultimo declina l’offerta, a quanto pare su esplicita richiesta di Christian Bale (i due erano già apparsi insieme nel cast di Velvet Goldmine). A quel punto, Bale e la Harron vengono reintegrati, ma con la promessa che la produzione del film non vada a sforare il limite dei 10 milioni di budget.
La metamorfosi di Bale in Bateman
Bale passa diversi mesi a lavorare con un personal trainer, cercando di ottenere un fisico adeguato per potersi meglio identificare con la personalità narcisisitca di Patrick Bateman. Tuttavia, in un primo momento Bale fatica a immedesimarsi nel ruolo; assumere la freddezza e l’impassività peculiari al carattere di Bateman gli risulta difficoltoso, fino a che, guardando casualmente la TV, non si imbatte in un’intervista a Tom Cruise durante il Late Night with David Letterman. Bale è impressionato dall’energia che Cruise è in grado di emanare. Più di ogni altra cosa, però, resta colpito dalle di lui espressioni facciali e da quella sua “intensa cordialità senza nulla dietro agli occhi”. Paradossalmente, Cruise è citato tra le pagine di American Psycho; Ellis colloca l’appartamento dell’attore di Top Gun nello stesso edificio di Patrick Bateman. In un paragrafo, infatti, i due si incontrano in ascensore. In American Psycho, Christian Bale raggiunge il suo apogeo artistico nel dare volto, corpo ed anima al personaggio di Bateman, in una simbiosi talmente devastastante con lo stesso, da sancirne irrevocabilmente l’entità sia fisica che estetica. Il volto di Bateman risulta essere inscindibilmente congiunto a quello di Bale e viceversa, tanto che, leggendo o rileggendo il capolavoro di Ellis, verrebbe quasi da pensare che lo scrittore si fosse retroattivamente ispirato alla figura di Bale per tracciare il profilo del protagonista del suo testo.
Durante l’appuntamento torinese per la presentazione di Bianco, l’ultima sua fatica non-fiction, un Ellis in grande spirito ha raccontato a un pubblico per di più ingessato, composto prevalentemente dai suoi odiati millenial e da perbenisti radical chic, di come effettivamente avvenne il suo primo incontro con Christian Bale. I due si erano visti in un ristorante di New York, dopo che Bale aveva spinto il suo agente a contattare Ellis, volendolo conoscere di persona affinchè lo stesso gli concedesse il benestare per come aveva reso il personaggio del libro. Pertanto, Bale si presentò all’incontro vestito esattamente come Patrick Bateman, sfoggiando addirittura la stessa tracotanza comportamentale. A quanto pare, non vi fu grande empatia fra i due, tanto che quando incapparono nuovamente l’uno nell’altro, Bale si mostrò schivo nei riguardi del narratore. Per American Psycho, la Harron ha impiegato un talento per l’immagine non così lampante ai più, forse, ma non affatto trascurabile, producendo – forse involontariamente – quello che a tutti gli effetti può essere considerato un cult movie. Fedele allo spirito del libro di Ellis, la regista non ha commesso l’errore di eccedere con lo splatter, lasciando ai posteri un lavoro in ogni caso succulento, cupamente lussuoso (anche grazie alla scelta delle ottime ambientazioni) e ancora godibile a distanza di vent’anni. Assieme all’omicidio di Paul Allen, diversi sono i momenti memorabili: l’elogio di Bateman a Phil Collins e al periodo più commerciale dei Genesis (con Collins alla voce), che precede il brutale incontro sessuale con la escort e la prostituta di strada; la spassosa ostentazione dei biglietti da visita fra Bateman e i suoi colleghi; l’affondo sulla routine mattutina di Bateman, da cui una panoramica sugli interni del suo appartamento. Appartamento sì appariscente, ma al medesimo tempo vuoto e dunque privo di un’anima. Un po’ come Ellis descrive il suo proprietario. Nel cast, da elogiare, anche Justin Theroux (nel ruolo di Timothy Bryce), cui David Lynch affiderà la parte del regista Adam Kesher in quel capolavoro senza tempo che è Mulholland Drive, onirico, intangibile mosaico psicologico neo-noir del 2001.