Baby Reindeer, perché è una serie fondamentale oggi

Una visione finalmente a fuoco su violenza, abusi, sessismo e persone trans
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È molto difficile oggi riconoscere una buona serie quando si trova, soprattutto visto il “marchio di infamia” assegnato a Netflix, per cui sembra che ogni cosa targata Netflix sia automaticamente una sciocchezza. Non è il caso di Baby Reindeer, uno dei migliori prodotti recenti della piattaforma (qui la recensione). La serie più discussa del momento, didattica e di denuncia, tocca temi più attuali che mai: in tempi in cui molta gente ha serissime difficoltà nella comprensione di testi basilari, film e serie con lo “spiegone” si dimostrano addirittura necessarie più che utili.

A un primo sguardo la serie appare incentrata sulla vicenda di una stalker, Martha, che prende di mira il protagonista Donny, uno stand-up comedian che lavora nel pub da lei frequentato. O meglio così viene presentata, ed è così che a un’analisi semplicistica e superficiale appare: un presunto ribaltamento del #MeToo, l’inversione dei ruoli in cui l’uomo subisce violenza dalla donna e tutte quelle cavolate che vanno tanto di moda tra gli MBEB (=cercare su Google). In realtà la serie parla principalmente dell’educazione emotiva che viene impartita al genere maschile e delle sue conseguenze, soprattutto la spirale di violenze di cui è causa e responsabile. C’è la questione diffusa secondo cui non si parlerebbe abbastanza del fatto che anche il genere maschile subisce violenza, ma il punto fondamentale che sfugge ai più è che la stragrande maggioranza delle violenze subite da uomini sono per mano di altri uomini.

La serie parla della violenza di chi approfitta della propria posizione di potere per abusare degli altri, specialmente di chi è in condizione di vulnerabilità: come nel caso di Darrien il produttore che seduce Donny promettendogli lavori in Tv e collaborazioni artistiche, per poi stuprarlo ripetutamente dopo avergli somministrato droghe. Parla di come aver subito violenza ti renda predisposto ad attirare persone abusanti e a metterti in situazioni ambigue e degradanti, pur di farti notare e sentirti apprezzato da qualcuno. “Sapete, l’abuso funziona così, mi ha trasformato in questa calamita per casi umani. Una ferita fresca da cui sono attratti. Sapevo che [Martha] era pazza e pericolosa, ma mi lusingava, e questo mi bastava”: Donny, nel bellissimo monologo in cui si lascia andare verso la fine della serie, ammette di aver bisogno delle attenzioni di Martha per riaffermare la sua virilità, polverizzata dai continui stupri subiti dal suo aggressore.

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Donny subisce del sessismo anche quando si presenta alla stazione di polizia per denunciare la stalker: se al posto suo a denunciare fosse stata una donna, sarebbe scattato automaticamente il processo sulle responsabilità della vittima (“Cosa hai fatto per provocarlo?”). Donny invece, in quanto uomo, non viene creduto e la sua situazione minimizzata, addirittura messa in ridicolo, lui stesso si schernisce dicendo di denunciare Martha perché “preoccupato per lei”, come a volersi giustificare e rimarcare la sua virilità. Tutti atteggiamenti e comportamenti derivati dall’educazione emotiva subita. Essa prevede che genere maschile e femminile debbano corrispondere e allinearsi a specifici e determinati standard: la donna è tentatrice e ha per forza stuzzicato il suo aggressore; un uomo che subisce violenza da una donna è ridicolo, una barzelletta.

Sempre per lo stesso motivo Donny si trova in grandissima difficoltà ad ammettere davanti ai suoi genitori la sua bisessualità, a raccontare di aver subito delle violenze, soprattutto davanti al padre: la paura è quella di venir giudicato e respinto in quanto “meno uomo”. Donny non riesce nemmeno ad accettare e vivere liberamente la storia con Teri, una donna trans (finalmente una persona trans rappresentata non in ruolo di zimbello o martire, ma forte, realizzata, indipendente), l’unica che in tutta la vicenda riesce a rimanere lucida e focalizzata; anche e soprattutto grazie al suo percorso di vita che l’ha portata inevitabilmente, in quanto donna transgender, a fare i conti con le violenze di cui sono generalmente vittime le persone trans, e a intraprendere un percorso psicologico di realizzazione di sé ed educazione emotiva che l’ha resa, tra tutti i personaggi della serie, quella più consapevole ed equilibrata.

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Anche Martha ha subìto violenze da piccola, come si evince al momento del processo: più che perseguitarla e ridere di lei (e del mostruoso femminile che rappresenta), sarebbe da chiedersi se nella sua situazione, con un intervento tempestivo ed esperto, avrebbe potuto aspirare a una vita adulta più serena, sana e funzionale. La serie ci tiene fortemente a rimarcare la differenza tra chi ha comportamenti violenti dettati da una posizione psichica vulnerabile, e gli abusi manipolatori di chi, a sangue e mente fredda, approfitta della propria posizione: un atteggiamento tipicamente alla base della cultura patriarcale. Emblematico anche il fatto che i figli sani di tale cultura si sono immediatamente precipitati a rintracciare e bullizzare la vera Martha, mentre nessuno si è minimamente posto la questione di chi sia il vero Darrien.

“La violenza di genere si trasmette come un virus: oggi sappiamo che i bambini e le bambine esposti a episodi di maltrattamento hanno più probabilità di subirli o agirli nella vita adulta. Nessuno ne è immune e se, dal mio punto di vista, questa serie ha un pregio è proprio questo: parlare agli uomini di come certi vissuti possono impattare nella loro vita di persone adulte, di come lo sforzo di mascherare le proprie emozioni cercando di aderire a un certo standard di maschilità si possa rivelare pericolosissimo, di come le battute sessiste, le micro-aggressioni e quel cameratismo che produce aggregazione attraverso la prevaricazione sull’elemento più debole generi conseguenze nefaste, per tutti”. Lo scrive Alessia Dulbecco in un ottimo articolo su L’Indiscreto: cogliendo, con parole estremamente chiare e condivisibili, il vero nocciolo della serie.